Il bosco ampio e ombroso dell’alta montagna, tappezzato di mirtillo e rododendro, di ginepri contorti o larici lievi come ballerine, nasconde molti tesori faunistici, ed uno dei più preziosi è lui, il diavolo nero, il gallo forcello altresì chiamato fagiano di monte.
Testo e foto di Alessandro Bassignana
La natura l’ha vestito d’un piumaggio unico, straordinario, nero bluastro quale fosse il mantello d’un mago, che però quando si distende ed apre le solide ali appare ancor più affascinante, con il bianco delle piume del sottocoda che spiccano come fosse la candida camicia di seta bianca sotto lo smoking d’un gentleman inglese, e il rosso carminio delle caruncole il suo splendido fiore all’occhiello.
Cacciarlo vuol dire innamorarsene, di uno di quegli amori che poi ti durano tutta una vita, non s’attenuano mai, semmai tornano prepotenti a galla quando sei lontano da loro, nel tempo o nello spazio.
Sarà per l’ambiente in cui vive, o forse per la difficoltà della sua caccia, ma quando si ha la fortuna di vederne uno frullare avanti al proprio cane in ferma è un tumulto d’emozioni, una raffica di flash che ti si stampano così bene nella mente tanto da ricordare ogni singolo forcello, anche a distanza d’anni.
Così è stato per me, a partire da quando, poco più che bambino, mio padre me ne raccontava.
Non che lui fosse uno specialista, al contrario in montagna ci andava molto poco, ma in quei tempi era ancora possibile cacciare tanto in pianura che in montagna e dunque qualche…puntatina in Paradiso la fece pure lui, accompagnato dal formidabile spinone Blek che certo era più abituato a beccacce e fagiani di pianura, ma seppe comunque fare dignitosa figura anche tra larici, ontani e rododendri.
Sulle Alpi Piemontesi il gallo è sempre stato ben diffuso, a partire da quei contrafforti montuosi che separano la regione subalpina dalla marittima Liguria e, via via snodandosi, lungo quell’arco di vette appuntite che confina anche con Francia, Valle d’Aosta, Svizzera e poi Lombardia, anche se lì più che altro si tratta di una prosecuzione.
Si tratta di un “recesso glaciale”, tanto che ad altre latitudini vive in pianura, mentre da noi lo si trova in zone di media e alta montagna, mediamente tra i 1.400 e i 2.200 metri, dove pini e larici lasciano il posto a muschi e licheni. L’ambiente è magico, e inoltrarsi tra mughi e mirtilli, o cercarlo all’ombra d’un contorto ginepro, è esperienza indimenticabile. Sempre!
Ancora ricordo del primo che abbattei, poco meno di una ventina d’anni fa alla mia seconda stagione alpina.
Ero andato con tre amici, due dei quali avevano con sé l’ausiliare: breton l’uno e setter gordon l’altro, mentre io ero accompagnato da uno splendido ausiliare francese, Asterix un epagneul breton dotato di un fondo inesauribile e accanito cacciatore di ogni tipo di selvatico.
Si cacciava in Alta Val Chisone, a Pragelato comune che qualche anno dopo ospitò numerose gare dei giochi olimpici di Torino 2006.
Quei posti li conoscevo come le mie tasche, anche perché mio padre affittava casa lì dalla fine degli anni settanta, e sapevo bene come vi fosse una discreta presenza di galli forcelli, con alcune covate che ogni anno si ripetevano più o meno negli stessi posti.
Uscendo in addestramento con Asterix avevo fatto diversi incontri, anche di giovani, ma si sa che quando poi inizia la stagione tutto cambia, e quei selvatici che sino al mercoledì erano in quell’angolo del bosco ora non li trovi più, nemmeno se setacci l’area palmo a palmo.
E così fu anche quel giorno, tanto che dopo alcune ore di inutili ricerche stavamo ormai pensando di cambiare posto; i cani avevano battuto ogni angolo potesse offrire rifugio ai fagiani di monte, ma senza risultato se non quello di far correre numerosi caprioli che, purtroppo inseguivano sfiancandosi. Del prezioso “diavolo nero” nulla.
Un ultimo tentativo andava fatto, esplorando un‘area che sormontava un piccolo rimboschimento, protetto da una pericolosa recinzione di fili metallici, dove non era consentito entrare e nemmeno cacciare; normalmente cercavo d’evitarla perché capitava i cani ignorassero il divieto, e allora diventava problematico recuperarli, oltre al rischio che si ferissero tentando di superarla.
Il terreno era piuttosto difficile, perché dal solito cespugliame di rododendri e mirtilli spuntavano pietre e piccole rocce che rendevano disagevole il procedere.
Eravamo a 2.200 metri d’altezza, limite estremo per trovare l’habitat ideale per il Lyrurus Tetrix, nome che al gallo forcello attribuì lo scienziato svedese Carl Nilsson Linnaeus, al secolo Linneo; oltre saremmo entrati nelle praterie alpine e gli sfasciumi di granito, regno dei camosci…
Asterix mostrò subito irrequietezza, cogliendo emanazioni sul terreno, mentre io ero piuttosto indietro rispetto allo scatenato folletto francese e così accelerai il passo per non perderne il contatto visivo.
Il cane scomparve rimontando un pendio piuttosto ripido tra mughi e larici per poi rallentare e bloccarsi.
Dal punto in cui mi trovavo sarebbe stato difficile salire a servirlo, anche perché avrei dovuto tenermi pronto a sparare se i selvatici fossero frullati improvvisamente. Mi spostai di lato cercando una posizione che m’offrisse buona visibilità e nel contempo per capire come raggiungere Asterix, ma tutto fu inutile perché i galli ci avevano sentiti e partirono avanti al breton.
Fortuna vuole che lui, pur correttissimo e dotato di solida ferma, così come altri soggetti della sua razza facevano sulla lepre avesse preso l’abitudine di dare un abbaio rabbioso di fronte all’animale che gli si sottraeva improvvisa.
Lo scagno mi mise in allarme e subito alzai lo sguardo verso il cielo appena in tempo per vedere una coppia di giovani galli che sfrecciava sopra le cime dei larici.
La fucilata fu d’istinto, con una rapidissima torsione del busto che ora certo non mi riuscirebbe più, e lo sciame di pallini avvolse uno dei forcelli che chiuse le sue ali precipitando al suolo.
La velocità del volo fece precipitare il fagiano molto più in basso rispetto a dov’ero io, e Asterix lo recuperò proprio accanto alla recinzione del rimboschimento.
Quando tornò con il forcello, un giovane dell’anno, delicatamente tenuto in bocca, provai una fortissima emozione e subito capii che quella caccia sarebbe stata la grande passione venatoria della mia vita.
Ora Asterix non c’è più e caccio con due setter: Marilyn e suo figlio Lemon, formidabile cane da forcelli; da quel giorno ho abbattuto altri fagiani e tanti di più li ho mancati, alcuni con incredibili…padelle, ma tutte le volte che il cane mi porta un selvatico dal piumaggio nero bluastro, con coda a lira e sottocoda bianco, per me è come tornare a quel giorno. Al mio primo gallo.
Il gallo forcello
Presente in tutto l'arco alpino, è il più elegante dei tetraonidi di montagna con la livrea nero-blu lucente dei maschi che contrasto con le penne bianche di sottocoda e sottoala, quasi fosse in smoking; ad ornare tutto la caruncola rosso vivo sopra l'occhio. La femmina invece ha piumaggio screziato di bruno, di grigio e di nero, mimetica col sottobosco, cosa molto utile nel periodo riproduttivo.
Lo si trova dagli 800 metri fino ai 2000/2200, limite della vegetazione arborea, ma predilige la fascia del limite superiore delle conifere, tra i 1500 e i 1700 metri, tra i mughi, i rododendri, i larici e gli ontani.
Il nome scientifico è Tetrao tetrix, ma anche Lyrurus tetrix.
Il nome tetrao deriva dal greco, e significa “che schiamazza”, per i versi che fa nelle parate amorose; tetrix ha le stesse origini, era il nome dato ad un uccello, mentre Lyrurus significa “con la coda a forma di lira”.
Grosso più o meno come un fagiano comune ha un peso medio di 1100/1250 g. per i maschi e 750/900 g. per le femmine.
Fucili e cartucce
Per insidiare il forcello, selvatico pregiatissimo, è bene evitare le mode dei piccoli calibri, utilizzando un 12 o un 20. Il maschio, si caccia solo quello, è uccello molto veloce capace di reggere bene le fucilate protetto com’è da un piumaggio che sui monti infoltisce in fretta; sarebbe un crimine ferirlo senza poterlo recuperare.
Per quel tipo di caccia si usano quasi esclusivamente il sovrapposto o la classica doppietta, quasi mai il semiautomatico. Canne da 66 sino a 71 e strozzature adeguate, tenendo presente che può capitare il tiro improvviso nel bosco, ma anche quello lungo all’uccello lanciato verso valle. Le due classiche combinazioni *** e * oppure **** e **.
Per quanto concerne e munizioni serve piombo (o acciaio dove richiesto dalla legge!) di numerazione adeguata, sparando 36/38 grammi. Io uso in prima canna un 6 borra feltro, ma scendo al 5 con l’avanzare della stagione, mentre in seconda un 4 con contenitore.