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A caccia di acquatici nella Maremma Laziale 2 parte


Testo e foto di Paolo Bocchini

Nei freddi mesi invernali, a dicembre in particolare, gli spostamenti dei germani riservavano belle sorprese.

Ormai è sempre più raro abbattere un germano di passo, i “germanelli” dal peso di 8-900 grammi, con il beccone bello giallo ed il collo fino: bellissimi. Adesso siamo abituati ad abbattere germani che superano anche il chilo e mezzo.
C’è da dire che comunque negli anni ’50 i cacciatori, visto anche il momento storico e la carenza di soldi, tendevano più a sparare ai branchi, agli “uccelli grossi”.
La caccia era anche praticata come sussistenza, gli animali selvatici permettevano di incamerare nelle case una ottima quantità di carne.
Ma la passione era la medesima.

Tanti cacciatori “cittadini” partivano in treno dalla stazione termini di Roma, con il fucile sulle spalle per recarsi a caccia nella maremma laziale.
Il litorale tra Civitavecchia e Pescia Romana era un susseguirsi di ambienti ideali per qualsiasi tipo di selvaggina.
La caccia sul prato umido era una di quelle attività venatorie molto specialistiche negli anni 40-50-60. La massiccia presenza di trampolieri: pavoncelle, pivieri, chiurli, svernanti nelle pianure viterbesi attraevano una gran numero di cacciatori che utilizzavano un gioco fatto per lo più di stampi a tavoletta con delle forme rudimentali, spesso richiami vivi, con le pavoncelle accodate che oggi sono addirittura considerate pratiche di sevizia verso gli animali, capanni fatti con teli di iuta, abbigliamento non proprio tecnologico come quello dei giorni nostri, fucili e cartucce non performanti, ma tutto ciò garantiva comunque grandi soddisfazioni e cacciate memorabili.

Nei laghi di Bracciano, Bolsena o Vico fino agli anni ’60 si aspettava che i grandi assembramenti di folaghe raggiungessero le migliaia di unità per dare inizio al periodo delle “tele”, ovvero una caccia in cui vi era una grande partecipazione di barcaioli, tiratori, cacciatori di recupero con i cani che si recavano dopo la caccia sulle sponde del lago a recuperare i feriti rifugiati nella vegetazione palustre proprio.
La tela consisteva semplicemente di stringere le folaghe verso i barchini con i cacciatori posti di fronte ai branchi. Le folaghe sentendosi incalzate iniziavano a mettersi in volo passando inesorabilmente a tiro dei cacciatori.
Questo tipo di cacciate determinavano carnieri di centinaia di capi di selvaggina, che spesso andavano a riempire le dispense di ospedali o orfanotrofi dei paesi del circondario .

La stagione venatoria, almeno dai racconti dei vecchi cacciatori, aveva un periodo di fermo alla fine di dicembre.
Dopo il passo e gli spostamenti degli uccelli a causa dei freddi e del ghiaccio, a gennaio il cacciatore di acquatici rimaneva a casa o frequentava altri ambienti o tipologie di caccia.
La caccia alle anatre e trampolieri ricominciava da metà febbraio, quando la migrazione pre nuziale, o ripasso, iniziava la sua comparsa facendo apparire i primi grandi branchi di pittime e combattenti spinti dai tiepidi venti di scirocco.
Dopo le copiose piogge invernali il litorale era un susseguirsi di piccoli o medi specchi d’acqua, dove gli uccelli migratori riuscivano a trovare in questi micro habitat le risorse proteiche necessarie per raggiungere i luoghi di nidificazione.

Fine febbraio, marzo: tempo di marzaiole! Questo era il periodo in cui la caccia agli uccelli acquatici richiamava tanti appassionati lungo la costa.
I metodi di caccia erano i più svariati, l’importante era essere all’appuntamento con il passaggio di questa stupenda anatra che noi oggi possiamo solo sognare e rivivere nei ricordi di chi ha avuto la fortuna di essere appostato in uno di quei capanni lungo la battigia.

Ci si dormiva in riva al mare, per 20 giorni almeno. Nei capanni, nelle tende, o in tempi recenti nelle auto parcheggiate a ridosso della spiaggia.
L’alba riservava poche sorprese, ma era con il sole alto che le emozioni cominciavano a mettere a dura prova anche i paludai più esperti. Il canto del maschio della marzaiola fa venire la pelle d’oca, sentire un branco di questi uccelli dirigersi verso il gioco lasciava a bocca aperta. Si vivevano le loro continue acrobazie senza respirare, fino al momento in cui arrivavano “incoppate” sul gioco.

A caccia di acquatici nella Maremma Laziale 1 Parte

A caccia di acquatici nella Maremma Laziale 1 Parte
Testo e foto di Paolo Bocchini

La Maremma Maremma laziale è un ampia fascia litoranea a cavallo tra Lazio e Toscana, divisa tra le Province di Viterbo e Roma. Si estende dal confine toscano delimitato dalla foce del Fiume Chiarone, ed arriva fino alla piana di Cerveteri che rappresenta la parte finale dei Monti della Tolfa.
In questo territorio sono comprese diverse località con una storia venatoria antichissima, come: Montalto di Castro, Tuscania, Canino, Tarquinia, Tolfa, Ladispoli e Cerveteri, dove la grande diversificazione dell’ambiente ha permesso ai cacciatori residenti nella zona di dedicarsi in diverse attività venatorie, sia su selvaggina stanziale che migratoria.

La maremma è sempre stata interessata da un abbondante transito di uccelli migratori, che ha determinato una specializzazione dei cacciatori in base alla loro ubicazione.
Infatti là dove erano (ed in parte sono ancora) presenti le reti fluviali, le zone umide e i laghi, la caccia agli uccelli acquatici è sempre stata abbondantemente praticata e in passato, come vedremo in seguito, utilizzata anche come mezzo di sostentamento per intere famiglie se non paesi.

La linea di costa, l’autostrada dei migratori che attraversano il nostro paese, nel corso dei decenni è stata soggetta a profondi cambiamenti.
Negli anni ’30, ancor prima che iniziassero le bonifiche, l’ambiente e la pianura litoranea era una grande zona umida, mentre al giorno d’oggi a parte la rete di fiumi, canali e torrenti, le zone umide litoranee sono pressoché scomparse.
Lo sviluppo edilizio perpetrato nel corso degli anni ha trasformato la linea di costa creando, laddove transitavano centinaia di migliaia di migratori acquatici, un susseguirsi continuo di case, ville, villette, paesi, località turistiche e un dedalo di strade asfaltate dove al posto di pittime, pavoncelle, alzavole, marzaiole, adesso si trova una grande distesa di…cemento!
Anche questo è avvenuto grazie al benessere, alla modernità, allo sviluppo di una società che però ha iniziato a perdere di vista la cultura rurale: le nostre radici.

ambiente piscina litoranea

A ridosso del litorale nonché lungo il corso dei fiumi principali della maremma laziale, il Mignone, il Marta, il Fiora, il Tafone, si sono sempre creati invasi d’acqua, “piscine” naturali causate dall’esondazione degli stessi fiumi o canali.
Il territorio pianeggiante, grazie alle piogge che in questo tratto della regione Lazio sono sempre state abbondanti, era – ma lo è ancora - meta ideale di una grande varietà di specie acquatiche che svernavano in queste zone.
Gli anatidi spesso venivano cacciati lungo il mare, sulla spiaggia, nelle paludi costiere o negli stagni che si formavano nei tomboli retrodunali.

 Ad inizio stagione sono le alzavole e i germani nidificanti a riempire i carnieri dei cacciatori di palude; ma quando la caccia apriva ad agosto lo erano anche le tante marzaiole di passo che tornavano dai luoghi di nidificazione del Nord Europa.

Il proseguo della stagione era scandito dalla migrazione vera e propria delle altre specie, quella che ai giorni nostri quasi non accade più.
Ad ottobre iniziavano i fischioni, moriglioni, i rallidi con le folaghe in testa, poi toccavano ai codoni arrivare con i freddo seguiti dalle canapiglie, senza mai dimenticare le onnipresenti alzavole.

Puglia: Federcaccia risponde alla richiesta di estensione delle aree a divieto di caccia

Continuano i tentativi dell’associazione anticaccia VAS per fare estendere il divieto di caccia lungo la costa dell’intera regione Puglia, per una fascia di 500 metri all’interno della terraferma. Nei giorni scorsi, in risposta all’ennesima immotivata richiesta della VAS, Federcaccia Puglia e l’Ufficio avifauna venatoria si sono rivolti nuovamente a tutte le Istituzioni nazionali e regionali competenti per chiarire l’assoluta infondatezza della stessa. Di seguito il testo:

In merito alla lettera in oggetto, che ripropone il tono intimidatorio completamente fuori luogo della precedente richiesta, si segnala che la stessa contiene nuovamente palesi errori, omissioni e falsità, che rendono evidente l’inconsistenza della reiterata proposta di creazione di oasi di protezione della fauna lungo la costa dell’intera regione Puglia, per una fascia di 500 metri all’interno della terraferma.

La risproposta è ancora totalmente infondata sul piano legale, biologico, tecnico e giuridico per le seguenti motivazioni:

Sul piano legale si prende atto che l’associazione VAS accoglie quanto segnalato dallo scrivente Ufficio nella precedente lettera, cioè che l’argomentazione sulla necessità di istituire zone di protezione lungo le rotte di migrazione è errata. La nuova argomentazione dell’associazione VAS riguarda oggi la percentuale di territorio protetto in regione, ma anche di questa non se ne comprende il senso, poiché il Piano Faunistico Venatorio Regionale è in fase di redazione e discussione, quindi le percentuali di territorio protetto devono essere raggiunte. Non è dato di capire, vista la complessità e la ricchezza in biodiversità del territorio pugliese, secondo quale ragionamento l’unica oasi necessaria sarebbe quella lungo la costa marina.
Sul piano biologico le affermazioni dell’associazione VAS non sono sostenute da alcun dato scientifico ma si classificano come speculazioni non fondate su dati di fatto. Che la caccia sul mare vanifichi le funzioni delle aree umide protette pugliesi è una fantasia che si scontra con i dati di presenza di avifauna acquatica in dette aree (es. 376.494 uccelli acquatici censiti nel gennaio 2008, oppure ben 11 zone umide pugliesi che si classificano come importanti a livello nazionale o internazionale per la densità di uccelli acquatici-dati ISPRA-, o più di 10.000 fischioni svernanti a Margherita di Savoia o le 4000 volpoche – dati ISPRA). Allo stesso modo la temeraria affermazione secondo cui “è innegabile il disturbo lungo le coste pugliesi” è smentita dal dato di fatto che la gran parte delle aree protette pugliesi sono situate vicino alla costa e ospitano migliaia e migliaia di uccelli acquatici. Inoltre il disturbo causato dalle fucilate è ristretto alle giornate di caccia (no martedì e venerdì, poca presenza in giorni feriali, nessun disturbo dal 31 gennaio al 1 ottobre) e limitato a non più di 200 di metri dal punto di sparo.
Sul piano giuridico e tecnico l’argomentazione della presenza delle coste pugliesi nel piano antibracconaggio non ha alcun significato rispetto alla richiesta di precludere alla caccia addirittura la costa marina di un’intera regione. Il piano antibracconaggio segnala la necessità di intervenire con appositi controlli (come ad esempio eseguito alcune settimane fa nel Delta del Po), e non precludendo alla caccia intere aree dove i cacciatori onesti hanno la possibilità di cacciare gli uccelli acquatici, la gran parte dei quali hanno tendenze demografiche favorevoli in Italia e in Europa. Del resto non si comprende come il divieto di caccia possa fermare il bracconaggio, che è di per sé un’attività illegale, non mancano in effetti gli esempi, proprio in Puglia, di atti di bracconaggio compiuti all’interno di aree protette.
Per quanto sopra esposto la richiesta di divieto di caccia entro i 500 metri dalla battigia lungo la costa marina pugliese, è del tutto infondata su ogni punto di vista, di conseguenza s’invita la Regione Puglia a non prendere in considerazione né la proposta, né le ridicole minacce contenute nel testo della lettera dell’associazione VAS. Ci permettiamo di segnalare che la comunicazione alla Commissione Europea non ha per nulla la conseguenza di apertura di una procedura EU Pilot, per nostra fortuna la Commissione esamina e analizza tutte le segnalazioni e solo un’infinitesima percentuale di queste diventano procedure. La minaccia dell’associazione VAS, per i suoi inconsistenti contenuti, non ha alcuna speranza di essere trasformata in una procedura EU Pilot.

La scrivente associazione conferma l’assoluta contrarietà alla proposta d’istituzione di divieto di caccia lungo la costa marina, e la sua completa infondatezza.

Per contrastare il fenomeno del bracconaggio si segnala la necessità di eseguire maggiori controlli e di investire energie e risorse, in tal senso la Federazione Italiana della Caccia è a disposizione per un’azione coordinata con le Forze dell’ordine e il personale della Regione Puglia.

Qualsiasi azione di preclusione totale di aree alla caccia quale tentativo di contrasto al bracconaggio, oltre a non essere una soluzione, costituisce un’azione antidemocratica e una sconfitta per le Istituzioni.

 

Presidente Federcaccia Puglia Avv. Mario Basile

Responsabile Scientifico Ufficio Avifauna Migratoria Dott. Michele Sorrenti

Toscana: ATC Siena 3 Nord risponde a Libera Caccia

Notiamo con piacere e soddisfazione di avere molti “attenti” osservatori che guardano agli ATC Senesi non solo come modello virtuoso evidentemente ma che passano il loro tempo a spulciare e passare con la lente da filigrana ogni provvedimento, regolamento o iniziativa dell’ATC 3 Siena Nord. Ci fa piacere e ci inorgoglisce questo atteggiamento voyeuristico, salvo però quando dal nulla e con pretesti non reali, si creano roboanti appelli contro provvedimenti presi dall’ATC 3 Siena Nord che aprirebbero il varco alla privatizzazione della caccia, abolendo addirittura l’articolo 842 del codice civile.

Nulla di tutto questo ovviamente, ma procediamo per ordine.

L’ATC 3 Siena Nord ha reso pienamente operativo il sistema di teleprenotazione per la caccia di selezione nelle aree non vocate (previsto dalla Legge Obiettivo) e ha inserito tra i soggetti che possono prenotare i settori di caccia in area non vocata i proprietari e conduttori dei fondi agricoli iscritti all’ATC in possesso di abilitazione al prelievo selettivo sulla specie di riferimento (come sancisce la Legge Obiettivo e non l’ATC è bene ricordarlo).

Orbene abbiamo previsto tecnicamente che i proprietari possano accedere alla caccia di selezione solo tramite teleprenotazione, e che le fascette per la loro attività siano fornite direttamente dall’ATC.

I proprietari e conduttori dei fondi non potranno prenotare altana/punto di sparo esistenti sulla loro proprietà al fine di evitare di togliere diritti di utilizzo di queste strutture ai selecontrollori del distretto.

Ogni proprietario avrà a disposizione nel sistema di teleprenotazione le particelle richieste, su un poligono creato appositamente per loro e solo il proprietario potrà prenotare quel particolare poligono (da qui il termine priorità).

Se però all’interno di tale poligono esistessero altri punti sparo o settori di caccia, come già sopra specificato, questi potranno essere utilizzati solo dai selecontrollori del distretto, anche contemporaneamente all’utilizzo del proprio settore di prelievo da parte del proprietario, non essendo prevista nessuna forma di caccia in via esclusiva.

Per questo motivo inviteremo i proprietari a tenersi in contatto con il distretto e soprattutto con i selecontrollori che gravitino nella zona e viceversa, per evitare di disturbarsi a vicenda.

Perché tutto questo?

Semplice:

1) per controllore che i proprietari e conduttori dei fondi vadano effettivamente nei terreni di loro proprietà e conduzione e non si spostino eccessivamente o vaghino per l’ATC con la “scusa” del permesso loro rilasciato.

2) perché ai proprietari sia effettivamente consentito, evitando ostacoli burocratici di punteggio o di Distretto o di antipatia personale di praticare la caccia, nello spirito della legge 10 che tende ad una riduzione delle specie non vocate che danneggiano l’agricoltura. Da qui la consegna diretta delle fascette da parte dell’ATC e non per mezzo di intermediario all’interno del Distretto.

Se qualche Associazione Venatoria che in questi momenti lancia comunicati a destra e a manca sui social contro la Privatizzazione della Caccia voluta dall’ATC Siena Nord, si fosse peritata di chiederci un chiarimento non avremo certo lesinato le dovute risposte. Risposte e chiarimenti esaustivi che peraltro abbiamo dato al Presidente Provinciale e V. Presidente nazionale di ANLC che sono venuti proprio in questi giorni nella nostra sede su nostro invito.

I provvedimenti per la privatizzazione della caccia sono ben altri e sono stati fortunatamente sventati, proprio da questa ATC, quando è diventata pubblica nel novembre scorso la bozza di lavoro sul Piano faunistico Venatorio Regionale che teorizzava la creazione di grandi AFV che dovessero sostituire il modello degli ATC toscani. Non ci ricordiamo però di aver sentito in quell’occasione un’uscita forte e pubblica di quelle Associazioni che oggi si sgolano contro gli ATC senesi. Una dimenticanza grave. Si potrebbe dire che oggi si vede la pagliuzza e che a novembre si ignorò la trave…

Per quanto ci riguarda rimaniamo a disposizione di tutte le associazioni venatorie e agricole per chiarire le modalità di attuazione della caccia di selezione e mai ci sottrarremo al confronto. Confronto che auspichiamo trovi sempre meno spazio sui social e più in confronti seri in cui non sono mancati in questi ultimi mesi le occasioni.

Per gli amici voyeur: distraetevi un pochino e che diamine… non esiste solo Siena, la Toscana è grande ve lo assicuriamo e poi guardatevi un po’ in casa che non fa mai male.

Il Presidente ATC 3 Siena Nord

CCT: Le “capriole rovesciate” della Libera Caccia

Non è nostra abitudine rispondere o replicare ai comunicati che spesso agitano il dibattito, non lo facciamo per una questione di stile ma anche e soprattutto, per evitare uno spettacolo indecoroso a chi ci guarda da fuori. Chi vuole buttare ogni argomento in rissa, sappia che sta commettendo un errore diabolico e ferale per la caccia fornendo degli assist gratuiti ai nostri avversari e giganteschi alibi per la politica. Purtroppo e nonostante questa doverosa premessa, non possiamo rimanere silenti dopo aver letto ben due comunicati a firma della Libera Caccia particolarmente belligeranti quanto prive di qualunque fondamento. Non è possibile neppure fare a meno di notare le “capriole rovesciate” di una associazione venatoria che oggi, forse stimolata dalla campagna elettorale e dalle velleità di qualche dirigente, copre il volto movimentista e di lotta, dopo aver per mesi e mesi, organizzato iniziative pubbliche a sostegno delle Regione Toscana e dell’Assessorato lavorando in piena sintonia con gli uffici regionali. Scoprire oggi che i più allineati difensori e sostenitori del Palazzo, sono divenuti i principali contestatori e fomentatori della piazza, è forse la vera notizia del giorno. Potremmo asserire che la Libera Caccia finalmente esce dall’ equivoco e scende sulle posizioni che la Confederazione ha espresso da sempre. Posizioni manifestate in tempi non sospetti, quando non andava troppo di moda esprimere giudizi critici sull’ assessorato e sugli uffici, in merito ad una esperienza di governo regionale della materia caccia che farà ricordare questa legislatura non certo come la più virtuosa e lungimirante della storia. Sulla Legge Obiettivo le posizioni ferme e argomentate della CCT sono state enucleate già dalla presentazione. Decine di assemblee pubbliche, si sono tenute sul territorio, con le squadre di caccia al cinghiale, capi distretto, amministratori locali e le categorie interessate. 

La CCT ha prodotto due documenti di analisi e proposta, formalmente depositati all’attenzione del Presidente Rossi e della Commissione Consiliare e di tutti i gruppi che siedono in Consiglio Regionale. Posizioni, proposte e valutazioni presentate a seguito di un lungo iter di partecipazione, iniziato con la prima assemblea tenuta a Grosseto tre anni orsono, alla presenza di oltre cinquecento cacciatori, e sviluppate nella Conferenza Regionale della CCT tenuta a Firenze lo scorso 2 febbraio 2018 presso Villa Viviani. Oggi, alla luce dell’esperienza vissuta e soprattutto a fronte dei dati e dei risultati che in tre anni di applicazione di questa “finta legge speciale” ci hanno consegnato, il nostro giudizio negativo rimane immutato. Non serviva una Legge Speciale sugli ungulati; sarebbe stato sufficiente applicare il quadro normativo esistente, ma soprattutto era e rimane inaccettabile l’aver introdotto, con scelta politica e non tecnica, la logica del conflitto tra forme di caccia e cacciatori. Ciò detto e preso atto dunque che altri si siano tardivamente convertiti a questa impostazione e valutazione dei fatti, vogliamo anche chiarire e informare i più distratti, sulle ragioni che stanno alla base della sottoscrizione del Protocollo d’intesa; protocollo promosso dalla Regione, e rivolto alle Associazioni e gli ATC sulle tematiche inerenti la caccia.
Il tavolo di confronto recentemente istituito dal Presidente Rossi, è stato da noi e non soltanto da noi, sollecitato in più occasioni per ristabilire una prassi consolidata quella della concertazione e del confronto preliminare su tutte le questioni attinenti alla caccia. Ciò si rendeva necessario proprio per evitare il proseguimento di una strategia che ha portato in questi mesi la Regione all’approvazione di atti, delibere e norme, in assenza di qualsiasi discussione preventiva con i portatori di interesse. La stessa Legge Obiettivo è figlia di questa cultura politica i cui risultati negativi, sono ormai sotto gli occhi di tutti. Aver sottoscritto il patto di reciproca consultazione e confronto con la Regione, non significa come ovvio acconsentire o dare deleghe in bianco sui provvedimenti di cui il tavolo sarà chiamato ad occuparsi! Stare ai tavoli di confronto è un dovere politico per una grande organizzazione rappresentativa, così come lo è per gli ATC presenti con il loro coordinamento, per le Associazioni agricole come noi firmatarie del Protocollo, e anche per le altre Associazioni Venatorie che lo hanno sottoscritto.
Si afferma pertanto una falsità quando si dice che abbiamo firmato un accordo per la proroga della Legge Obiettivo così com’è!
Una strumentalizzazione priva di fondamento, in quanto la Legge in questione dovrà essere sottoposta ad una sua revisione radicale, con le osservazioni a suo tempo presentate. Una tematica che si pone peraltro all’interno di una serie molto importante di argomenti che caratterizzano il protocollo, vitali per il futuro della caccia in Toscana. Ciò detto non sta a noi giudicare il comportamento di Libera Caccia che ha deciso, legittimamente, di tirarsi fuori dal tavolo di confronto. Ne prendiamo atto, come prendiamo atto che forse si è rotto anche il patto che la lega innaturalmente ad altre Associazioni Venatorie.
La CCT per delega delle sue Associazioni Confederate porterà avanti la sua battaglia; se le sue proposte non verranno accolte, non esiterà a continuarla “fuori”, insieme alla migliaia di cacciatori che rappresenta.
La speranza rimane quella che almeno per una volta si smetta di scatenare una tempesta nel bicchiere d’acqua e lavorare uniti nell’interesse del mondo della caccia e dei cacciatori.

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