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Alessandro Bassignana

Alessandro Bassignana

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Cacciare la lepre: il "Cravin" piemontese

Per l’appassionato cinofilo l’arrivo della primavera porta appresso la ripresa dell’attività, con le prime gare di stagione che vedono nuovamente impegnati i nostri amici quattro zampe. 
E che questi siano inglesi o continentali, impegnati ad emozionarci con i loro ampi lacets e ferme scultoree, piuttosto che nevrili mute di segugi che scagnano dietro a qualche orecchiona, lanciata come un missile tra campi e coltivi, cambia poco, perché ogni fine settimana a partire da fine febbraio ogni angolo d’Italia è ricco di impegni per tutti gli appassionati.
E non è solo l’ENCI con le sue prove ufficiali a darsi da fare, ma pure le associazioni venatorie o i singoli circoli locali di cacciatori  che le organizzano attraendo moltissimi appassionati. 
Domenica 12 marzo le Langhe, recentemente assurte al ruolo di “Patrimonio indisponibile dell’Umanità  Unesco”, sono state occasione per vedere all’opera i segugi in un’importante manifestazione organizzata da Federcaccia Piemonte.
Cacciare la lepre è da sempre tradizione venatoria piemontese, insieme alla caccia a starna e pernice rossa, ormai quasi scomparse, e quella alla tipica fauna alpina, ancora praticabile nei comparti alpini della regione; ma i segugi e la lepre si può davvero dire che siano nel cuore degli appassionati subalpini.
Chiusa la vecchia stagione s’attende quella nuova, e la possibilità di gareggiare diventa quindi l’opportunità irrinunciabile per far nuovamente lavorare gli ausiliari, e così molti conduttori-cacciatori hanno sciolto i loro magnifici cani sui dolci pendii dei colli albesi, ansiosi di vederne le azioni, ammirarne le tecniche di scovo, udirne lo scagno rabbioso incalzare la lepre, ormai costretta alla fuga.
Molte sono le razze di segugio adatte a cacciare la lepre, italiane ed estere, ma mentre i francesi possiedono oltre 25 razze di cani da seguita, molte delle quali inventate o nate dall’incrocio tra alcune di esse e successivamente riconosciute a livello internazionale (FCI, Fédération cynologique internationale), da noi oltre al magnifico segugio italiano nelle sue due varianti di mantello (raso e forte) e colore (fulvo e nero-focato), e il segugio maremmano (pelo raso e forte), più adatto al cinghiale che alla lepre, si è recentemente riusciti a riconoscere anche il segugio dell’Appennino, anche questo in due differenti varietà di pelo. 
Non è finita lì, ed altre ve ne sono di razze ancora di non ancora riconosciute, sebbene alcune di queste vantino una storia molto antica, ed una consuetudine al loro uso che ha attraversato generazioni di cacciatori.
Una di queste è proprio nata in Piemonte, ed ebbe un grande sviluppo durante le due guerre e per il decennio immediatamente successivo all’ultimo conflitto mondiale: il “Cravin”, al momento ritenuto una variante a pelo duro del segugio dell’Appennino.
Quando mio padre iniziò a cacciare, e si parla di metà anni cinquanta, lo fece proprio con i segugi, ed allora le campagne attorno a Torino pullulavano di lepri, tanto che quella era la specialità venatoria cui si dedicavano quasi tutti.  
Le mute di segugi non erano certo quelle selezionate cui siamo abituati ora, ma tra essi si vedevano molti soggetti che avevano un’impronta comune a caratterizzarli, e che i cacciatori definivano per l’appunto “Cravin”, quasi esso fosse un sinonimo del termine “segugio da lepre”. 
In realtà, oltre a fantasiosi incroci che avvenivano senza alcun preciso criterio, le caratteristiche di questo capacissimo segugio, diverso dall’italiano anche perché più piccolo di esso, erano già molto nette e delineate, fissate con una certa omogeneità.
Il nome gli deriva dal pelo, semi ruvido, che nel suo caso è un po’ più lungo del normale, specialmente all’altezza di gomito e ginocchio, e simile a quello di alcune capre alpine presenti in Piemonte. 
Anche il colore, fulvo chiaro ed uniforme, lo rende facilmente distinguibile da soggetti simili.
Sulle sue origini nulla vi è di certo, ma pare essi discendano da incroci tra alcuni tipi di segugio dei tempi antichi, come i “Ciaplen”, piccoli segugi fulvi a pelo raso con maschera facciale e bianchi su zampe e punta della coda, ed altri, unicolori dorati o bianco arancio con pelo lungo e forte, tipici dell’area alpina savoiarda.
Comunque sia da questi cani nacque quello che poi divenne uno dei cani più amati dai nostri nonni cacciatori.
Il “Cravin” si presenta come un cane robusto e vivace, ma di taglia medio-piccola non superando i 47-50 cm al garrese per i maschi, ed un po’ meno le femmine. I suoi muscoli sono asciutti e scattanti, ed anche l’ossatura ne fa un ausiliare capaci di reggere pesanti ritmi di caccia anche su terreni impegnativi, siano essi di pianura piuttosto che di collina o media e bassa montagna, sgombri piuttosto che coperti di folti o spini; del resto il pelo semi-ruvido lo protegge efficacemente dalle offese della vegetazione.
Instancabile e capace di cacciare tutto il giorno, esso prima dello scovo mantiene un trotto sostenuto, alternandovi brevi momenti di galoppo. 
Naso a terra ed alta concentrazione, il piccolo lepraiolo dei nostri nonni segue la pista, non indulgendo su quelle meno valide, ed accompagnando il tutto con rapide sciabolate della coda sui fianchi, e da abbaiate secche e squillanti, mai abbondanti o fastidiose come capita con talune razze di segugi.
Chi lo usa ne magnifica le doti di eccezionale inseguitore, capace di regalare soddisfazioni ed occasioni di tiro anche ai cacciatori meno propensi alle lunghe camminate, caratteristica che si sposa più che bene con il profilo del cacciatore attuale, piuttosto avanti nell’età.
I “Cravin” lavorano bene sia in coppia che al singolo, ma lui non è un cane da vere e proprie “mute”, semmai potendosi nel suo caso parlare di gruppo, e comunque quasi mai superiore ai quattro soggetti.
Il tentativo d’alcuni appassionati è quello di arrivare al pieno riconoscimento della razza, autonome e non come una variante del segugio dell’Appennino.
Per farlo servono i numeri, e questa è la sfida perché per poter aprire le procedure con l’Enci debbono esserci almeno 800 soggetti con caratteristiche di razza, e cioè omogenei, ma di almeno 8 diverse famiglie, e questo per garantire la dovuta variabilità genetica al progetto di selezione. 
In Italia esiste una società specializzata che s’occupa della tutela delle razze da seguita, la S.I.P.S. (Società Italiana Pro Segugio), che venne intitolata al suo fondatore Luigi Zacchetti, e proprio a lei è delegato il compito di riconoscere il “Cravin”, quale autentica razza di segugi da lepre.
I segugi…dei nostri nonni!
Lo standard del “Cravin” è stato realizzato dal Dott. Bruno Ottino, scomparso proprio in questi giorni, e detto già dell’altezza vediamo ora quali siano i principali caratteri somatici del nostro piccolo segugio subalpino:
testa di lunghezza media; la lunghezza del muso è leggermente inferiore alla metà della lunghezza totale della testa. Il cranio leggermente convesso, non stretto, pur essendo la larghezza inferiore alla lunghezza. Lo stop naso frontale è evidente senza essere troppo marcato.
Tartufo nero. Labbra poco sviluppate.
Occhio in posizione sub-frontale, grande, rotondo, di colore marrone, molto espressivo.
Orecchio non molto lungo (arriva appena al tartufo), termina a punta; è portato quasi piatto poiché la cartilagine auricolare è di una certa consistenza.
Arti con appiombi normali e piede leggermente ovale. La coda, mai pesante e grossolana, è piuttosto corta, 1 centimetro sopra il garretto.
Il pelo è piuttosto lungo (circa 5 cm), semi ruvido, distribuito su tutto il corpo escluse le orecchie che si presentano a pelo raso e gli arti e la coda dove è duro ma corto.
Il colore è fulvo chiaro tendente al biondo dorato.
 
Chi fosse interessato ad approfondire l’argomento può contattare Carlo Coggiola delegato dalla Pro Segugio di Torino (011 8223614)
 

I cacciatori sono innocenti: la lupa fu uccisa dal branco

Ad uccidere la lupa trovata nelle Valli Lanzo furono consimili, e non  una fucilata come incautamente sostenuto da alcuni, e riportato dai principali quotidiani. 
A confermarlo l'autopsia eseguita dal Prof.Luca Rossi dell'Università degli Studi di Torino, che ha riscontrato sul corpo dell'animale, una lupa di dieci mesi e del peso poco superiore ai venti chili, numerosi morsi inferti da consimili.
Subito si era puntato il dito contro i cacciatori, confondendo i morsi con forri provocati dai pallini di un fucile, e gli stessi forestali, ora incorporati nell'Arma dei Carabinieri, avevano accreditato questa tesi, a ciò si sono aggiunti alcuni articoli di giornale che sostenevano apertamente questa tesi.
Oggi su La Stampa la smentita, con le durissime reazioni di Federcaccia Piemonte, da sempre in prima linea per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla serietà del "problema lupo".
Ora, si legge nell'articolo, Federcaccia Piemonte intenderebbe portare la questione all'attenzione della magistratura, denunciando apertamente un atteggiamento di omertà ogni qualvolta vengono segnalate la presenza o le predazioni da parte di lupi.
Ricordiamo come recentemente proprio grazie ad un'iniziativa dei cacciatori subalpini s'è potuto dimostrare l'attacco di un piccolo branco di lupi ad un cane e al suo padrone, con tentantivo d'aggressione anche verso l'uomo.
Il tutto era avvenuto ad inizio gennaio a Giaveno (TO), Val Sangone, e i campioni raccolti da Federcaccia Piemonte attraverso l'ausilio di alcuni veterinari hanno permesso ad ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale) di individuare il Dna di due diversi lupi maschi, facenti parte del piccolo branco dei quattro soggetti che era già stato segnalato in zona più volte.
Molti altri sono gli episodi denunciati da Federcaccia, ed ora si spera si possa fare chiarezza su un fenomeno che ormai pare del tutto fuori controllo, basti pensare al fatto che l'ultimo dato ufficiale fornito da Life WolfAlps ci dice della presenza di 80/90 lupi in Piemonte, suddivisi in 21 branchi (7 in provincia di Torino, 14 in quella di Cuneo), mentre dal giorno di quelle dichiarazioni solo con la lupa delle Valli di Lanzo sono quasi trenta gli animali recuperati morti in tutta la Regione.
 
Scarica l'articolo de La Stampa in pdf...

Il Trofeo Gualtiero Quaglino

Le prove ed il raduno di Ceresole d’Alba- Il Trofeo Gualtiero Quaglino
 
Presenza numerosa e qualificata alle manifestazioni cinofile organizzate a Ceresole d’Alba dal Setter Gordon Club, in collaborazione con Federcaccia Cuneo e Gruppo Cinofilo Langhe Roero; la manifestazione era intitolata alla memoria di Gualtiero Quaglino, cacciatore e cinofilo cuneese scomparso a dicembre 2015 e che con i suoi setter gordon seppe imporsi sui campi di gara di tutta Europa.
Una ventina di gordon italiani, francesi e svizzeri si sono confrontati nelle prove di caccia a starne sui magnifici terreni di Ceresole e Sommariva sui quali, nonostante le condizioni climatiche del tutto avverse, si è avuto modo di constatare, con grande soddisfazione di tutti, una buona presenza di starne, frutto del costante impegno del locale ATC CN3 Roero.
Di seguito i risultati:
• caccia a starne libera inglesi del 3 Marzo, giudici Grasso e Madia, nessun gordon in classifica;
• caccia a starne speciale gordon del 4 Marzo, giudici Grasso e Martinovic, 1°Ecc. Fillies of English Beauty di Karin Nievergert, 2°MB Etna du Buisson au Cerf di JP. Macuglia;
• caccia a starne libera inglesi del 5 Marzo, giudici Grasso e Moretti, 1° Ecc. Logan ( LO145546)
di S.Doglio, 2° MB Fillies of English Beauty.
 
Nella giornata del 4 Marzo si è svolto anche il previsto raduno di razza, giudicato dal dott. Amedeo Bottari, che ha avuto i seguenti risultati:
Lavoro Maschi: Camusfearna Pearl Harbor 1°Ecc Cac ; Fidelio du Clos de la Capitainerie 2°Ecc 1°riserva Cac; Hunter English Beauty 3° Ecc.; Dario di Val Bruna 4°Ecc.; Logan MB.
Libera Maschi: Giordan 1°Ecc.; Sgurrmor Ikaro 2° MB.
Intermedia Maschi: Jaret at Camusfearna Black Ivy 1° Ecc. Cac
Giovani Maschi: Bruk 1° Ecc.
Lavoro Femmine: Illuminatta des Quasars 1° Ecc.; Era di Val Bruna 2° Ecc.; Fillies Gordon English Beauty 3° Ecc.; Black Rider Noira 4° Ecc.; First English Beauty MB; Independence English Beauty MB; Oona vom Eixelberg MB; Cherry MB; Daenerys MB; Etna du Buisson au Cerf MB; Galia des Terres de Mandrin MB.
Libera Femmine: Born to be a model 1°Ecc.; Dossadossi 2° MB, Cecilia di Velhatri 3°MB
 
A seguito dei risultati sopra riportati il primo Trofeo Gualtiero Quaglino è stato assegnato a Fillies of English Beauty, proprietario e conduttore Karin Nivergert, allevatore Giuseppe e Brigitta Scandella, che ha ottenuto complessivamente 22 punti.
Un particolare ringraziamento a Marco Primavera consigliere provinciale Federcaccia Cuneo, Pasqualino Tibaldi Presidente GC Langhe Roero, Alfonso Gallese ATC CN3 Roero, ma soprattutto ai soci Franco Bavaro, Barbara Faccio, Sandro Doglio e Giuseppe Sclerandi.
 
A conclusione del ciclo di prove di selezione il giudice esperto Giuseppe Grasso ha convocato i seguenti soggetti: Alfeo del Castellare, Ciro, Logan, Malcottinensis Sisco detto Nash, Oldrado da Ponte; riserva Cherry.
 
 

Dove osano gli stambecchi

L’occasione era ghiotta, una di quelle cui non rinunciare.
Eravamo nel CATO4 (Valli di Lanzo, Ceronda e Casternone), a Usseglio, una piccola borgata della Valle di Viù, nelle Valli di Lanzo, e dove un’interrotta catena di cime alpine fanno da corona a quella piccola regina alpina.
Da molto s’aspettava quel giorno e, come in tutte le storie a lieto fine, il momento finalmente arrivò.
Alle 15,00 d’una domenica dicembrina grigia ma non fredda, veniva tirato giù il telo dal monumento che tutti aspettavano con ansia: quello al…cacciatore!
Sì, avete capito bene, proprio il cacciatore, e nel caso specifico quello montagna, un genere della specie umana, sottospecie…cittadino, quello che qui da noi pare debba sempre dover a giustificare la sua attività e la sua passione, quando non costretto celarla, nemmeno fosse colpa o delitto cui vergognarsi. 
Perché ciò accada è uno dei misteri ai quali riesce difficile dar risposta, essendo la caccia un’antichissima attività, addirittura la prima che sviluppò l’uomo quando seppe mettersi diritto su due gambe, smettendola di camminare come un quadrupede, ed imparò ad usare gli utensili; costruì le prime armi rudimentali, e poi con il fuoco forgiò i primi metalli rendendole sempre più efficienti. 
La caccia accompagnò l’uomo nei millenni, sino a diventare nel mondo moderno non più strettamente necessaria, almeno per quelle popolazioni che hanno raggiunto un sufficiente livello di benessere; resta un’attività tradizionale, ricreativa e forse anche ludica, ma certo lecita, regolamentata da leggi severe e praticata quasi ovunque.
Da noi in Italia, e in Piemonte in particolare, pare non sia più così, e vi è il sospetto che il cacciatore sia ormai un soggetto poco raccomandabile, un disadattato che vive ai margini della società.
Ecco dunque che l’inaugurazione del monumento diventava l’occasione per regalare alla comunità un omaggio ad un’attività…antica come l’uomo!
E allora parliamo ora un po’ di caccia, e di quello che è l’ospite più nobile e diffuso del Comprensorio Alpino Torino 4: lo stambecco!
Sì, proprio lui, la mitica Capra ibex ibex che in realtà non è cacciabile ma da queste parti è di casa tanto da essere raffigurata nel logo del C.A.
Com’è possibile che quegli animali, vietatissimi alla caccia da decine e decine d’anni, siano così numerosi nelle Valli di Lanzo?
Per prima cosa inquadriamo geograficamente l’area.
Il CATO4 si trova a nord di Torino, tra la Valle di Susa e il Canavese, al confine con la Francia e non lontano dal Parco Nazionale del Gran Paradiso dove, ben prima dell’Unità d’Italia, venne costituita una riserva di caccia reale, per garantire ai Savoia il diritto di cacciare camosci che lì erano abbondantissimi.
C’erano anche gli stambecchi, altrove ormai estinti mentre lì ancora presenti, seppur in numeri molto limitati: quando il 21 settembre 1821 Carlo Alberto, Re di Sardegna, creò la riserva c’erano 35 maschi, 35 femmine e 30 capretti. Gli scopi erano certo venatori, ma ciò salvò dalla definitiva estinzione uno dei più straordinari animali che abbiano mai popolato le nostre montagne. 
I Savoia erano tutti cacciatori e certamente lo fu Re Vittorio Emanuele II, non a caso definito “Re Cacciatore”; lui realizzò strade e strutture, costituì un corpo di guardie e pose le basi di quello che diventerà parco nazionale.
Suo nipote Vittorio Emanuele III, pure lui un …Re Cacciatore, ma certo meno appassionato del nonno, nel 1922 donò allo Stato la riserva reale, trasformandola in Parco Nazionale, quello, per l’appunto del Gran Paradiso, il primo a nascere in Italia.
In pochi anni il numero di stambecchi crebbe, passando dai 2.370 capi del 1924 sino ai 3.865 del 1934. 
Durante il secondo conflitto mondiale la gente patì la fame, e così il bracconaggio portò quasi all’estinzione la nostra “Capra ibex ibex”.  Da un censimento fatto nel 1945 se ne contarono appena 419.
Da allora molto è cambiato, e lo stambecco oltre ad aver ripopolato tutte le Alpi Europee, dalla Francia alla Svizzera, Germania e Austria sino alle più recenti reintroduzioni in Slovenia e Bulgaria, si è espanso all’esterno dei confini del parco.
E dalle pendici del maestoso Gran Paradiso (4.065 mt.) era naturale migrasse più a sud, dove le Alpi Graie sgranano cime altrettanto imponenti e maestose come il Rocciamelone (3.538 mt.), il Ciamarella (3.674 mt.), il monte Croce Rossa (3.566 mt.), il Lera (3.355 mt.), e tante altre vette che superano la fatidica…quota tremila, il regno dello stambecco!
Già negli anni cinquanta e sessanta le formidabili capre alpine fecero la loro apparizione nelle Valli di Lanzo, ma fu nell’ultimo decennio del secolo che il numero aumentò, arrivando a raggiungere consistenze davvero elevate, e certamente compatibili…con un prelievo venatorio.
Sarebbe così quasi ovunque, e infatti all’estero lo si caccia regolarmente, ma non in Italia, perché lo stambecco risulta specie non cacciabile, anzi “particolarmente protetta”, godendo con la l. 157/92 di una particolare tutela; come l’Italia fa la Francia, mentre in Svizzera, Austria e Slovenia, lo si può prelevare con criteri selettivi.
Eccezione fa la Provincia Autonoma di Bolzano, da sempre molte avanti nella gestione venatorie e dove, godendo i privilegi dello Statuto Speciale, da una ventina d’anni se ne autorizza il prelievo d’alcune decine di capi, principalmente vecchi e malati.
Chi frequenta le montagne dove loro sono presenti li può avvistare con facilità, i grandi maschi con le loro lunghissime corna a sciabola con quei particolarissimi anelli d’accrescimento nodosi, che consentono d’attribuirne l’età con una certa facilità, ma specialmente perché lo stambecco risulta animale piuttosto confidente, lasciandosi avvicinare sino a poche decine di metri. 
Se questo accada perché da molto tempo lui…non sente più sibilare il piombo, oppure per caratteristiche proprie della specie, questo risulta difficile a sapersi, certo spiegherebbe facilmente le ragioni del suo declino nei secoli passati, sino al limite dell’estinzione.
Lo stambecco è un animale imponente, capace di scalare pendii impressionanti e da tempo gira su Youtube (fate una breve ricerca sul web e vi garantisco che rimarrete impressionati) un filmato incredibile girato in Piemonte, in Valle Antrona, nel Verbano, e dove questi formidabili arrampicatori offrono uno spettacolo quasi circense, risalendo la ripidissima parete della diga del Cingino per leccare il sale che fuoriesce in forma di salnitro; gli animali paiono…appesi ad una muraglia, con pendenze che arrivano sino al 90%!
Sono le zampe a consentire queste mirabolanti imprese, quasi fossero delle ventose, con zoccoli larghi ed elastici, dotati di cuscinetti adiposi che fanno presa sulle rocce come tenaglie. 
I maschi sono dotati di formidabili trofei, permanenti e che possono superare il metro di lunghezza, mentre le femmine sono pure loro portatrici di corna, lunghe al massimo 30/35 cm.
Chi ne ha potuto assaggiare le sue carni riferisce siano succulente, e questa potrebbe essere un’altra delle ragioni che ne comportarono il declino, così come tutte le credenze e superstizioni che aleggiavano intorno alla sua figura, rendendolo animale ambitissimo per amuleti o medicinali. Bezoar cercati avidamente nelle sue vie digerenti perché ritenuti potentissimi antidepressivi, capaci pure di contrastare i veleni; corna sminuzzate e tritate, viste come un antico Viagra, in grado di riattizzare…potenze perdute; sangue bevuto perché benefico per i calcoli renali; lo stomaco anche lui in grado di agire contro la depressione; insomma un vero e proprio toccasana per malanni autentici ed altri immaginari.
Non è dunque difficile capire come mai questi straordinari animali, oltretutto facili da vedere e avvicinare, divennero preda facile, troppo facile pur se insidiati con le armi di duecento anni fa, prive delle ottiche mirabolanti che ormai fanno bella mostra sulle moderne carabine in grado di scagliare micidiali proiettili ad oltre mille metri secondo, con traiettorie tese e tanto precise da rendere possibili tiri da valle a valle.
I montanari del settecento e ottocento non disponevano certo di calciature sintetiche, torrette balistiche, calibri magnum, palle a deformazione controllata, ma sparavano sfere di piombo cacciate a forza nella canna di fucili lunghi e pesantissimi, imprecisi quanto insicuri eppure in grado di abbattere animali robusti come queste formidabili capre alpine.
Io non caccio nel CATO4, ma nel CATO1 quasi all’altro estremo dell’arco alpino torinese, nelle Alpi Cozie. Anche da noi gli stambecchi sono presenti, in numero più contenuto ma in costante crescita. Furono immessi negli anni sessanta in poche unità e da allora si sono diffusi con una certa regolarità favoriti dal fatto di non essere cacciati e d’aver pochi nemici naturali. Lo stesso lupo, ormai presenza frequente ed ingombrante nelle nostre valli, non li privilegia nella sua dieta vista le difficoltà di andare ad insidiarli su rocce e strapiombi (vedere i famosi video di cui sopra per capire), salvo i soggetti vecchi o malati.
A me è capitato di vederli molte volte, i primi tanti anni fa avvistandoli fugacemente sulle creste che orlavano i valloni che frequentavo, mentre ora l’incontro è quasi garantito ogni volta che si vanno a cercare i camosci a quote che superino i 2600/2800 metri.
Il fatto di non cacciarli più se da un lato li ha difesi, consentendogli di riappriopriarsi dei territori da cui erano spariti, ne ha certo limitato la selezione e, negli ultimi anni, ha pure comportato una diminuzione del loro numero.
E’ eclatante quanto accaduto proprio all’interno del Parco Nazionale del Gran Paradiso dove da…cinquemila e rotti, che erano nel 1993, il numero s’è ormai dimezzato tanto che l’ultimo conteggio effettuato ne ha registrati “solo” 2.563, comunque molti in assoluto e per un’area di oltre 70.000 ettari.
Il calo demografico ha colpito lo stambecco ovunque (vedremo dopo le tabelle del CATO4) e non solo in Valle d’Aosta; le ragioni sono molte, ma nessuna da sola è in grado di spiegare il fenomeno.
Di certo i cambiamenti climatici, con l’elevarsi delle temperature medie che anticipano la stagione vegetativa rendendo l’erba meno nutriente quando i maschi dovrebbero alimentarsi per affrontare la faticosa stagione degli amori e tutta la popolazione prepararsi per i rigori dell’inverno. S’è notato come vi sia uno squilibrio nei branchi di stambecchi, con molti vecchi maschi che vanno alla riproduzione e, al contrario, pochi capretti che passano il primo anno di vita (fenomeno che da noi sta colpendo anche i camosci). 
E poi le malattie, con la cheratocongiuntivite che anni fa ne falcidiò un gran numero, o la rogna sarcoptica infestazione che colpisce i bovidi alpini; le patologie respiratorie e polmonari e altro ancora.
Migliaia di animali muoiono ogni anno, aumentando la popolazione di animali “opportunisti”, quelli che si cibano delle carcasse, come i rapaci, i corvidi, lupi e volpi. Le aquile reali, al contrario, vivono un momento felicissimo, basti pensare che nel Parco del Gran Paradiso si sono contate ben 22 coppie!
Un’altra ragione che appare forse più congruente con la situazione piemontese la si può ricavare da uno studio effettuato, proprio sugli stambecchi torinesi, nel 2011 (Indagine sulla patologia spontanea della popolazione di stambecchi delle Valli di Lanzo). Autore il Prof. Luca Rossi, dell’Università di Torino.
Dalla lettura del documento si evince come negli adiacenti Gran Paradiso e Parc National de la Vanoise, oltre confine, il problema sia rintracciabile in una “onda lunga demografica”, con mortalità senile molto bassa; al contrario la popolazione del CATO4 appare più stabile, oltre ad essere “…la più numerosa popolazione di stambecco presente sulle Alpi, al di fuori di aree a regime permanente di protezione…”.
Il Prof. Rossi fa ancora notare come lo stambecco delle Valli di Lanzo faccia parte dell’unica metà popolazione mai estintasi di Capra ibex ibex, quella che dal nucleo sparuto della Valsavarenche ripopolò tutta l’Europa; quelli che scalano le rupi del Rocciamelone o della Torre d’Ovarda sono arrivati qui da soli, senza che nessuno ce li portasse, ma migrando spontaneamente lungo le creste che costellano le Alpi Graie. Sono una popolazione antica e che da duecento anni vive libera e senza…patemi d’animo!
Ciò nonostante anche qui l’apprensione per la loro salute sta aumentando, e si cercano soluzioni.
Una, auspicata certamente da molti, e avversata da altrettanti, sarebbe la riapertura della caccia.
I numeri lo consentirebbero proprio nelle Valli di Lanzo se si pensa come nel 1997 fossero stati già censiti 666 capi, saliti a 997 nel 2000, 1.291 nel 2004 sino al picco di 1.528 nel 2006 per “crollare” a 1.060 l’anno successivo (malattie?); da allora il numero è sempre oscillato tra i 946 del 2009, l’anno successivo al terribile inverno 2008 (con precipitazioni nevose record), e i 1.261 stambecchi contati quest’anno.
Lo stambecco potrebbe essere proficuamente cacciato, facendo pagare quote commisurate al valore del selvatico e del suo trofeo, riservando ai cacciatori che lo richiedessero un piano di prelievo che non metta minimamente a rischio la sopravvivenza delle popolazioni torinesi. Questo consentirebbe ai Comprensori che li ospitano, e dunque il CATO4 in primo luogo, d’avere un elevato flusso di reddito, con risorse che andrebbero a vantaggio di tutti, in primo luogo del territorio.
Ma si sa, l’idea potrebbe essere troppo innovativa ed intelligente in un Paese, l’Italia, che si muove a commozione per orsi e lupi e poi accetta d’essere saccheggiato da amministratori e governanti, ferito nel territorio, vilipeso nella sua storia e tradizioni, comprese quelle venatiche; la caccia, e quella alpina ancor più, è gestione del territorio e delle risorse da questo prodotte e non basta più scriverne o raccontarselo al bar, bisogna dimostrarlo con i fatti.
Per i cacciatori del CATO4 fortunatamente alla nobilissima Capra ibex ibex s’affianca altrettanta pregiata selvaggina ungulata quali il camoscio, pur lui molto diffuso, il capriolo presente anche in bassa valle, il muflone e il cervo (reintrodotto quest’ultimo dall'ex presidente Aldo Fantozzi in un centinaio d’esemplari dopo il 2000, ed ormai cacciabile) e il cinghiale, molto invasivo e oggetto di piani di contenimento durante tutto l’anno. Si caccia anche la tipica fauna alpina, e così pure la beccaccia, ma da qualche anno a questa parte vi è un nuovo ospite: ha fatto…irruzione “Ezechiele Lupo”, con incursioni continue e non solo a danno delle popolazioni selvatiche ma pure di quelle domestiche.
Ma questa è una storia che vi racconterò la prossima volta!
 

NUOVI PRODOTTI IRON ARMI A IWA SHOW 2017

  • Pubblicato in Le Armi
IRON ARMI, è una giovane azienda d’armi bresciana, composta però da maestranze e tecnici di esperienza maturata nelle piu importanti aziende armiere italiane.
IRON ARMI produce e trasforma una ampia famiglia di prodotti destinati alla caccia,tiro sportivo e per home-defence.
Ubicata in Flero in provincia di Brescia, IRON ARMI si avvale anche delle professionalità di aziende e artigiani presenti nell’area bresciana e in special modo nella zona di Gardone V.T.
Tutto ciò, ci consente una realizzazione di prodotti ricchi di innovazioni tecniche,tecnologiche e con un ottimo rapporto qualità–prezzo.Tutto questo con l’aggiunta di design che interpretano la miglior tradizione del “ Made in Italy“.
Seguendo il trend attuale di attività venatoria dei cacciatori, IRON ARMI, oltre agli altri, ha sviluppato e introduce sui mercati, una serie completa di fucili di piccolo calibro che si possono cosi riassumere:
- Semiautomatici in calibro  20-28-410
- Sovrapposti in calibro  20-28-410
- Doppiette in calibro  28-410
- A ripetizione manuale in calibro 36
Non ci siamo proprio fatti mancare niente per andare incontro alle piu svariate esigenze di qui cacciatori che interpretano,oggi giustamente, la caccia nei suoi valori piu alti e sportivi,dove la qualità del carniere e la soddisfazione del tiro, prevalgono sulla mera quantità del carniere stesso.
Sarà pure presentata ad IWA 2017, una nuova e piu aggiornata famiglia di fucili semiauto per TIRO DINAMICO SPORTIVO e PERCORSO CACCIA (Sporting). Su queste armi,abbiamo concentrato tutte le migliori caratteristiche tecniche,ergonomiche  e balistiche, nonché soluzioni tecnologiche accompagnate da effetti cromatici accattivanti; tutto cio,  per rendere tali armi davvero specialistiche per queste attività di tiro.
Non poteva mancare,vista la nostra lunga esperienza nella definizione e fabbricazione delle canne, l’introduzione sui mercati di un fucile semiauto in calibro 12 per cacce ad anatidi e colombacci.
Questo nuovo semiauto, ARES H.P. (hight power ), per altro caratterizzato da un design moderno e innovativo della carcassa, è meticolosamente studiato per ottimizzarne l’impostazione  a queste tipologie di caccia. ARES H.P. E’ DOTATO DI UNA NUOVISSIMA CANNA A STROZZATURA FISSA (valore di strozzatura compreso tra due e una stella), CON PORZIONI CILINDRICHE E CONICHE DEL TUTTO PARTICOLARI E CON UN ALESAGGIO INTERNO FINEMENTE DEFINITO NEL VALORE DI  18,6 mm. QUESTA CANNA; DENOMINATA“ STAR- BORE“, E’ PRESENTATA ATTUALMENTE NELLA LUNGHEZZA DI 76 cm,MAGNUM, ED E’ RIGOROSAMENTE RICAVATA CON“ FORATURA PIENA “ PARTENDO DA BARRA IN ACCIAIO BONIFICATO AL CROMO MOLIBDENO. LA PARTICOLARITA DI QUESTA METODOLOGIA DI FABBRICAZIONE (che ricalca,aggiornandole le tradizionali tecniche di lavorazione di fucili fini...), CONSENTE DI OTTENERE CANNE ESENTI DA TENSIONI E STRESS;CONDIZIONI QUESTE NECESSARIE,ASSIEME AD ALTRE PREROGATIVE, PER IL RAGGIUNGIMENTO DELLE MIGLIORI “PERFORMANCES“. LE PERFORMANCES DI QUESTA CANNA “STAR_BORE“, RAPPRESENTANO IL “FIORE ALL’OCCHIELLO“ DI ARES H.P ESSENDO L’ULTIMA SINTESI DI UN KNOW HOW DERIVATO DALL’ESPERIENZA RELATIVA AL MONDO DELLE ARMI E DELLA CONOSCENZA DEI CARICAMENTI PIU MODERNI DI CARTUCCE SIA CON PALLINI IN PIOMBO CHE IN ACCIAIO ( o materiali non tossici).
Detta canna,così come la carcassa,sono protette con le moderne tecnologie ceramiche. La colorazione scielta è un grigio satinato e antiriflesso che rende l’arma aggressiva,ergonomica e particolarmente protetta per resistere alle condizioni ambientali piu avverse. Le calciature sono protette con pellicola soft che richiama la fibra di carbonio.
Per ottimizzarne ancor piu l’impiego ela  personalizzazione del tiratore, sono previsti come “optionals“ due bilanciatori che possono essere rispettivamente posizionati all’interno del calcio( contrastato da due molle ), e/o avvitato sul tappo fissaggio canna. Con queste soluzioni,si possono personalizzare sia il peso dell’arma che il suo punto di bilanciatura. Le combinazioni possibili sono: 4 condizioni diverse di peso  e 4 di bilanciamento.
Per quanto riguarda invecie  il calibro 36/410, la presentazione del fucile sovrapposto (mod. ETRUSCO) e della doppietta (mod. ETRUSCA), vanno nella direzione di assecondare gli amanti delle cacce tradizionali, mentre le versioni semiauto (mod MITO 410) e a ripetizione manuale (mod. MITO M.O. 36) vanno nella direzione di cacce piu moderne ove è possibile sparare, con la scelta opportuna dell’arma, cariche calibro 410 (magnum dai 15 grammi in su  sul semiauto) e calibro 36 (qualsiasi carica depotenziate comprese sul Ripetizione manuale.
I due modelli MITO 410 semiauto e MITO MO 36 a ripetizione manuale, presentano ,per le ridotte dimensioni delle cartucce, CARICATORI AMOVIBILI da due colpi (piu uno in camera), e da quattro colpi (più uno), per eventuali usi sportivi o per paesi dove non vige la regola dei 3 colpi quale massima capacità in caccia. 
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