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I camosci di Dario - Terza Parte

Ero già pronto al tiro, dito sul grilletto, quando…tornarono alla carica i coglioni che frequentano le montagne! Questa volta erano due, a piedi e coloratissimi, vocianti sull’altro lato della conca e convinti d’essere allo struscio serale o all’uscita dallo stadio. Li sentimmo tutti, specialmente i camosci, ma anche quella volta fui…forte e saggio: il mio basculante tacque!
Che fosse…buona la terza lo speravo davvero, salendo in una valletta laterale che mai avevo frequentato.
Dario aveva saputo da amici cacciatori della presenza di diversi piccoli branchi di camosci in una zona dove gli animali occupavano la parte alta di fitti boschi di larice e mughi, gli ontani s’insinuavano come serpi tra le rocce, e rododendri e ginepri tappezzavano scoscesi canalini.
Con noi quella volta c’era Angela, compagna di Dario ed emula di Diana cacciatrice. Lei aveva la fascetta per l’abbattimento d’una femmina di cervo in Val Susa, ma la sua presenza era comunque utilissima, visto l’allenamento ad individuare ungulati e un’acutezza visiva che io ho smarrito per strada.
I camosci c’erano davvero, al limite superiore della vegetazione, e vedemmo un paio di soggetti prelevabili.
La distanza era eccessiva e così dopo aver aspettato inutilmente che gli animali muovessero per avvicinarsi, decidemmo di farlo noi.
Il sole s’era alzato, e scaldava ormai come un boiler e se i camosci fossero ridiscesi nei boschi avremmo dovuto aspettare sino a sera.
C’incamminammo, ma non si fecero che una ventina di metri che Dario buttò indietro il braccio, invitandoci a buttarci a terra. Lo fece anche lui, schiacciandosi al suolo come fosse un marines in missione.
Strisciò aiutandosi con i gomiti sino ad un cespuglio, e poi estrasse il lungo dallo zaino.
Centocinquanta metri più su, forse meno, una furtiva e sospettosa femmina ci aveva già inquadrati, ma non sembrava eccessivamente allarmata. Non aveva un bel trofeo e non pareva bellissima, ma era priva di prole e qualcosa faceva intuire fosse un animale strano, diverso dagli altri.
Dario decise, e posizionò la carabina sullo zaino. Ci invitò a coprirci le orecchie e subito dopo il suo potentissimo Weatherby tuonò, con fragore amplificato dal freno di bocca. La palla sibilò velocissima e tesa e l’animale crollò sul posto, rotolando qualche metro più in basso.
Angela rimase lì a controllare carabine e zaini e io e Dario ci occupammo del recupero, anzi io gli feci compagnia perché lui…innestò le marce basse, e quasi fosse un trattore dotato di cingoli risalì e discese il pendio trascinando la camozza.
La fucilata era stata perfetta, e la palla aveva lavorato egregiamente senza danneggiare minimamente la spoglia.
La sensazione fosse…animale particolare fu confermata quando la vedemmo: il pelo sul petto sembrava lanoso, quello d’una pecora piuttosto che d’una camozza in salute, d’un colore opaco e segno forse di qualche anomalia o disturbo ormonale. Pulendola Dario ne ebbe conferma: la femmina era certamente sterile perché…priva dell’utero! Questo, pensammo noi, spiegava il fatto fosse isolata dal resto del branco. Anche i tecnici del controllo rimasero stupiti, tanto da volerla fotografare.
Dario così aveva completato il suo piano, ma toccava ancora a me.
Iniziava novembre e il meteo annunciava il prossimo arrivo di piogge e nevicate sui monti; i camosci si sarebbero certo mossi ma c’era anche il rischio di non avere il tempo per completare i piani, dato che dopo tre settimane avrebbe chiuso la caccia al camoscio. Non si doveva più fallire.
Tornammo dove Dario aveva fatto bottino, io e lui soli.
I camosci si mossero presto, uscendo dai boschi a godersi i primi raggi del sole.
Questa volta erano più lontani, quasi al confine con una rinomata azienda venatoria. Andavano avvicinati.
Tagliammo poco sopra le piante, quasi al filo di queste per restare coperti, traversando alcuni ripidi canalini dove l’erba secca era scivolosa ed insidiosa come fosse ghiaccio. Dario avanti, io a seguirlo attento a non capitombolare e ruzzolare verso valle. Ogni tanto ci si fermava a binocolare, silenziosi e prudenti per non trascurare alcun segno della presenza di animali.
Arrivammo in un punto che dominava due o tre avvallamenti, consentendoci di coprire tutta la zona con un tiro utile, ancor etico. Dario d’un tratto si buttò a terra, facendomi segno di farlo anch’io.
Poco sotto rumore di pietre mosse da qualcuno.
Una femmina, con un trofeo stretto ma piuttosto alto, apparve per un attimo, inseguita da un superbo maschio in...tempesta ormonale. Sparirono entrambi tra pini ed ontani.

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Già smoccolavo per l’occasione perduta quando ci accorgemmo d’altri animali, più defilati alla nostra sinistra.
Anche tra loro c’era una femmina, certo meno bella dell’altra, ma pur sempre abbattibile.
I camosci sembravano giocare a nascondino e scomparvero, per riapparire dopo alla nostra altezza e ad una distanza inferiore ai cento metri.
Quando la camozza si mise in posizione favorevole ebbi poche altre esitazioni, e il mio basculante in 243W fece sentire la sua voce. La monolitica trapassò l’animale, che crollò sul posto.
Il recupero non fu facile, ma…Hulk Dario volle pensarci lui e per me, che mi sono consumato cartilagini e menischi per attività sportive giovanili e recuperi d’animali negli anni addietro, fu gran sollievo.
Rendemmo omaggio all’animale e poi, camoscio in spalla (di Dario, ovviamente e fortunatamente) si rientrò all’auto. Un’ora di cammino e per me e Dario si chiudeva definitivamente la stagione 2014 di caccia al camoscio.
In Lingua Piemontese Arvëdse (arrivederci), in quella Venatoria Weidmannsheil.

I camosci di Dario - Seconda parte

di Alessandro Bassignana

A me questo destino è toccato spesso, capace come sono di perdere e, ahimè, riprendere, venti o trenta chili in pochi mesi, con un effetto fisarmonica che diventa devastante su ginocchia e caviglie, e un salto di un paio di taglie.
Quest’ anno ero nella fase… “tripla extra large”, e così avrei voluto rinunciare a quella caccia se non fosse che c’era un amico che avrebbe desiderato parteciparvi. Nel mese di luglio chiesi l’assegnazione di una femmina in Val Germanasca e mi fu concessa.
L’idea era quella d’accompagnarvelo, e così m’organizzai in modo da aspettare la sua visita per cominciare la mia nuova stagione con la canna rigata.
Nei mesi di luglio e agosto salii alcune volte per verificare percorsi (non sapendo se lui fosse abituato a certe camminate in alta montagna volevo evitare di portarlo in posti duri o pericolosi) e presenza di animali.
Come noto l’ultima l’estate è stata bizzarra, con piogge ripetute e clima poco stabile per tutta la stagione, ma poi verso l’inizio dell’autunno le temperature si mantennero alte, e così i camosci non si abbassarono di quota, con femmine e piccoli ad occupare stabilmente creste e cime, che da noi oscillano tra i 2.600 e 3.000 metri, a volte oltre. La caccia sarebbe stata particolarmente faticosa.
Quando il mio amico poté venire per il fine settimana s’erano già perse alcune uscite, e fummo anche penalizzati da una giornata grigia e piovosa.
I camosci riuscimmo a vederli, in realtà molto pochi e per lo più maschi isolati, ma tutti lontanissimi e difficili da avvicinare. Tentammo con una femmina sola, telemetrata a quasi 500 metri, ma sparita immediatamente come questa vide profilarsi la nostra sagoma oltre le rocce che ci coprivano. Sfumò così l’unica occasione.
L’amico non poteva riprovare e così mi toccò organizzarmi da solo, ben sapendo come la caccia al camoscio esercitata in solitaria sia sempre esperienza bellissima ma oltre modo faticosa e anche pericolosa. Non si dimentichi mai questo elemento quando se ne parla, purtroppo comprovato da incidenti che talvolta diventano fatali; uno di questi, tragici, è accaduto proprio quest’anno, là dove io stesso avevo cacciato diverse volte alla ricerca di camosci o coturnici.
C’era però con me Dario, amico e formidabile cacciatore d’ungulati, siano essi camosci, cervi, caprioli o cinghiali.
Lui solitamente caccia nel confinante Comprensorio, il CATO2 l’Alta Valle di Susa (il CATO2), ma con le nuove regole che lo permettono aveva chiesto l’ammissione anche al mio.
Di qualche anno più giovane, Dario trascorre tutta l’estate in alta Val Chisone, a curarsi del suo alpeggio e delle bestie che porta su verso giugno e là stanno sino ai primi di ottobre, a pascolare quelle nutrienti erbe alpine; dire di lui che è…forte come un toro significa fargli torto, perché lo è molto di più, dotato di energie e vigore inesauribili.
Anche Dario aveva chiesto una femmina di camoscio, e nella mia stessa area, ma questo non ci avrebbe creato alcun problema o competizione perché nella caccia ci si può accompagnare con rispetto anche se si cerca lo stesso animale, nello stesso posto
Eravamo alla seconda settimana di ottobre e provammo un’uscita nel vallone dov’ero stato con l’altro amico. Fu una giornata straordinaria: per il tempo, non una nuvola in cielo e temperatura estiva; per gli avvistamenti di animali perché incontrammo di tutto, dal lupo che vedemmo molto vicino alla malga appena abbandonata dai pastori rientrati ormai a valle, galli forcelli che rugolavano ovunque, caprioli, pernici bianche, aquile reali e magnifici stambecchi. Mancavano solo i camosci, sebbene alcuni maschi impertinenti, e forse sicuri di non rientrare nel nostro piano di abbattimento, si fecero vedere, e così vicini da poter essere colpiti con arco e frecce. Di femmine però, nemmeno l’ombra.
Salimmo sino in cresta, a quasi 2.700 metri d’altitudine, Dario a passo spedito, io un po’ meno, arrancando e distanziato di qualche decina di metri ma comunque sempre presente Poi tornammo verso valle.

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Scendendo la pace fu turbata da quattro coglioni, che rombanti salivano con moto da trial lungo percorsi a loro vietati e impestando di fumi e rumori quell’angolo di Paradiso. La nostra caccia finiva comunque in quel momento, ma la tentazione di provare l’efficienza dei nostri “sputafuoco” fu forte; alla fine prevalse il buon senso. Mancava copertura telefonica perché altrimenti almeno una segnalazione ai forestali l’avremmo fatta.
La successiva uscita avrei voluto fosse quella buona: Edo, mio figlio quattordicenne, era venuto con noi per la sua prima assoluta al camoscio.
Salimmo in una splendida conca glaciale, punteggiata da piccoli laghetti e dove residuavano installazioni militari del secolo scorso. Faceva nuovamente caldo, ma i camosci finalmente c’erano, altissimi.
Ne vedemmo un branco di quasi trenta e provammo a seguirli da sotto: noi a 2.400 di quota, loro quattro o cinquecento metri più su. Gli animali si muovevano in cresta, ma io e Dario speravamo di raggiungerli verso la fine della conca, dove le nostre strade convergevano e le distanze diminuivano. Non fu così, anche se l’occasione quella volta arrivò: femmina e binello avvistati da lui, occhio di falco, e avvicinati magistralmente sino a tiro utile. Continua...

I camosci di Dario - Prima parte

di Alessandro Bassignana

Ogni stagione la scelta per il cacciatore alpino del CATO1 (Valli Pellice, Germanasca e Chisone) è sempre tribolata: capriolo, cervo, camoscio o muflone?
Eh sì, perché il mio Comprensorio Alpino predispone piani di prelievo selettivo per tutti questi ungulati, ed entro luglio ogni cacciatore che voglia praticare quel tipo di caccia deve decidere a quale di questi magnifici selvatici dedicare giornate d’ appassionata ricerca.
Quando cominciai a cacciare in alta montagna, quasi vent’anni fa, subito chiesi l’autorizzazione per il capriolo, in quegli anni frequentissimo e di facile incontro; il folletto rosso lo si cominciava a cacciare a settembre e lo si poteva agevolmente incontrare anche a quote molto elevate. A me piaceva insidiarlo alla cerca, esplorando alpeggi e lariceti come uno scout dell’ottocento, prudente e silenzioso, pronto a cogliere ogni segnale della sua presenza.
Ora di caprioli lassù ne sono rimasti molto pochi, un po’ per le formidabili nevicate del nefasto inverno 2008, ma molto per…l’appetito sempre più robusto di Ezechiele e i suoi fratelli! Sì amici, proprio il lupo, che giunto da noi chissà come e chissà perché (la tesi della migrazione spontanea dall’Appennino è contestata da molti), si è diffuso molto velocemente, divenendo il più efficiente dei cacciatori alpini, con la piccola differenza che per lui la stagione di caccia dura 12 mesi e può…allenare la sua potentissima dentatura anche su greggi e bestiame domestico.
Tornando alle mie scelte venatorie, dopo il capriolo volli provare l’esperienza del camoscio, ma in quegli anni il CA ne concedeva solo uno ogni due, a volte persino ogni tre cacciatori. Lo scelsi per alcune stagioni, senza molta fortuna perché una volta mi capitò di ferirlo senza poterlo poi recuperare e terminai la stagione in bianco, l’altra lo prese il mio compagno, mentre al terzo tentativo la dea bendata finalmente mi baciò, regalandomi una femmina abbattuta dopo una marcia di quasi cinque ore e un rientro…ancor più lungo, gravato dal peso della camozza nello zaino.
Quella faticosissima giornata m’insegnò quanto fosse straordinaria quella caccia, praticata a volte al filo dei tremila metri, tra praterie ripidissime, sfasciumi di granito, neve e ghiacci, seracchi da paura e creste ove ti sembra vi possa essere solo ospitalità per una croce, o la statua d’una Madonna messa lì a proteggere alpinisti e cacciatori.
Il camoscio entrò nel mio cuore, e a parte l’esperienza d’un paio d’anni con il cervo, da allora ha rappresentato la mia scelta venatoria…aurea.
Di quella caccia dunque sono molte le cose che affascinano coloro che la praticano: gli ambienti d’una bellezza che toglie il fiato, gli animali che paiono esseri sovrannaturali, sudore e fatica che accompagnano il cacciatore in un’esperienza sempre diversa, unica, e che talvolta cela rischi mortali anche per l’uomo.
Si comincia a salire prestissimo, con zaino a spalla e carabina a tracolla, talvolta quando è ancora buio e sono le stelle ad indicare il cammino. C’è da respirare a pieni polmoni quell’aria frizzante e lieve, assorbire ogni odore che arriva dai boschi o scende dalle cime, udire ogni rumore della natura che comincia il suo lento risveglio.

spalla
Quando poi il sole fa capolino oltre le creste, dopo averle incendiate dei gialli oro dell’alba, dei rossi e gli arancioni che diluiscono il cielo blu inchiostro della notte, colorandolo come fosse la tavolozza d’un pittore, tu spesso sei già su, puntando le lenti del tuo binocolo verso quelle praterie baciate dalle prime luci, o esplorando canali che tagliano il monte con ferite profonde come le rughe sul volto d’un vecchio alpigiano.
I camosci a volte appaiono subito, lontani centinaia di metri, o magari pure più vicini, ma comunque difficili da raggiungere senza correre il rischio d’essere avvistati. In quei casi iniziano lunghissimi avvicinamenti che fanno di quella, una caccia dal fascino unico, la caccia alpina per antonomasia.
Allo scoperto in conche immense, o seguendo ripide mulattiere, il cacciatore si trova costretto ad aggirare gli animali, cercando di non allarmare i loro sviluppatissimi sensi.
Negli ultimi anni s’è presa la pessima abitudine, ovviamente non da parte di tutti, di sparare loro da distanze iperboliche, di molto superiori a quei 250 metri che un tempo sembravano essere il limite massimo di tiro dettato del buon senso.
A favorire queste prestazioni da “snipers” l’uso di calibri sempre più tesi e potenti, oltre ad ottiche a 24 ingrandimenti, veri e propri telescopi in grado di sostituire lo stesso “lungo”, lo spektive, il cannocchiale da osservazione.
I camosci hanno però imparato a difendersi, regolando la loro distanza di fuga e divenendo molto più diffidenti e prudenti.
E’ una caccia che richiede la perfetta forma fisica, dovendo spesso l’uomo superare dislivelli di mille e oltre metri, magari più volte nella stessa giornata; camminare su terreni infidi con tutta l’attrezzatura che a quelle altezze deve essere completa, nulla lasciando al caso. Un chilo in più, alla fine, può pesare quanto un quintale, e lo sanno bene coloro che affrontano le Alpi con un peso corporeo da lottatore di sumo piuttosto che da fantino!

Continua....

Emilia Romagna: approvato il Calendario Venatorio 19-20

La scorsa settimana, la Regione Emilia Romagna è riuscita ad approvare il Calendario Venatorio. Il testo, che alleghiamo in versione integrale, è sostanzialmente identico a quello dello scorso anno. Un buon successo per l'amministrazione, che esce in netto anticipo sul resto d'Italia e indenne dai tanti ricorsi che hanno falcidiato i calendari della maggior parte delle Regioni Italiane.

 

Federcaccia Provinciale di Perugia ritrova la sua unita’

Oggi, sabato 13 aprile, si sono svolte le elezioni per il rinnovo degli Organi di “Federcaccia” Provinciale di Perugia.

Grande affluenza dei Presidenti e dei Delegati delle Sezioni Comunali, in un clima disteso che ha consentito un sereno confronto sulle tematiche di interesse venatorio ed associativo.

“Federcaccia” ha attraversato negli ultimi mesi momenti di confronto a tratti anche aspro, favorito dalla complessità cui il mondo venatorio è stato continuamente da più parti sottoposto.

Il grande attaccamento alla “Federazione” che nutrono i nostri Dirigenti a tutti i livelli, la comune passione per la pratica venatoria, la solidarietà tra gli associati, hanno consentito di riflettere e di recuperare un momento di grande unità in fase di rinnovo degli Organismi.

Ai venti di tempesta annunciati e temuti, è seguito invece il sereno.

L’Assemblea elettiva ha avuto modo di condividere quali linee comuni a tutta “Federcaccia” Provinciale, il recupero del metodo di confronto tra parti, il coinvolgimento di tutte le realtà territoriali nei processi decisionali, la pratica di una fattiva collaborazione con gli A.T.C., le Istituzioni e le altre Associazioni di interesse.

Parimenti è stato rimarcato il rispetto delle reciproche autonomie.

Nel corso degli interventi svolti si è anche rimarcata la comune volontà di dar vita ad una composizione degli Organi unitaria e rappresentativa di tutta la “Federcaccia Provinciale”.

Si è altresì evidenziato come ci si debba subito impegnare per affrontare le questioni urgenti, quali il “Piano Faunistico-Venatorio” ed il “Calendario Venatorio”.

Le votazioni hanno riscontrato voto unanime segretamente espresso, rispetto a quanto posto in votazione.

Presente il Vice Presidente della “Federcaccia Nazionale” Massimo Buconi che, alla luce di tutto quanto sopra esposto, ha espresso grande soddisfazione per l’unità e la maturità dimostrate, esprimendo altresì un grande ringraziamento a tutti coloro che a tutti i livelli hanno consentito e consentono di avere questa grande Associazione.

(FIDC FEDERAZIONE PROV.LE PERUGIA)

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