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ANLC Toscana: Regione immobile sull'emergenza lupo, intanto si sfiora la tragedia a Colle

Riceviamo e pubblichiamo:

Mentre la Regione Toscana, ormai da anni, non riesce a porre rimedio al proliferarsi di lupi o idridi di lupo, continuano non solo gli avvistamenti in pianura e vicino ai centri abitati, ma anche gli attacchi all'uomo.

Di pochi giorni fa il racconto di un cacciatore aggredito da un branco di 6 lupi che hanno ferito gravemente il cucciolo di cane che era al suo  seguito e poi si sono scagliati contro l'uomo facendogli a brandelli i vestiti. Solo l'intervento di un compagno di caccia, il padre, accorso sentite le urla disperate del figlio, ha messo in fuga il branco.
Sempre nel territorio di Colle si sono ripetuti altri attacchi in pieno giorno, simili a questo, che ormai cominciano a diffondersi a macchia d'olio su tutto il territorio regionale.
Questi fatti tesimoniano come sia importante la figura del cacciatore oggi, unica sentinella presente sul territorio, capace di intercettare ogni cambiamento della natura.
I branchi non si accontentano più di predare gli animali selvatici durante la notte, sono talmente cresciuti di numero che cercano sempre maggiori risorse alimentari e poco importa se si tratta di animali da compagnia o di esseri umani, l'istinto predatorio e la fame non fanno differenza tra specie.
Come Libera Caccia siamo stati tra i primi a lanciare questa allerta insieme ai tanti allevatori che sono stati messi in ginocchio da continui attacchi ai loro animali; stiamo parlando non solo di greggi ma anche di cavalli e perfino mucche da latte.,
La particolare protezione di cui gode la specie lupo ha avuto senso di esistere negli anni del dopo guerra per ovvie ragioni di tutela della specie, ma ogni gruppo animale non adeguatamente monitorato e quindi contenuto nella sua dimensione, è destinato a generare squilibri nell'ambiente naturale e pericoli per le persone.
Non vogliamo girarci intorno, che si tratti di ibridi o li lupi o di cani inselvatichiti la soluzione è una sola: l'abbattimento!
E' quindi necessario un censimento veloce di questi animali e procedere successivamente a mettere in atto un piano di abbattimento importante, per tornare a rendere sicuri i boschi e le campagne toscane.
Noi cacciatori siamo pronti a fare la nostra parte sia per supportare i monitoraggi, sia per concorrere agli abbattimenti. E non lo facciamo certo per aggiungere una specie protetta a quelle cacciabili, No! Come è noto il lupo non è famoso per la bontà della sua carne o per altro! Lo facciamo, coscienti anche del pericolo che corriamo, per proteggere la nostra società, le nostre famiglie, i nostri figli e ovviamente per ripristinare un equilibrio corretto dell'ambiente.
Non è certo con i risarcimenti che la Regione Toscana risolverà il problema. Può farlo impegnandosi presso le autorità competenti per chiedere misure adeguate al contenimento degli animali pericolosi per l'uomo e dando, di conseguenza, gli strumenti agli organi di vigilanza del territorio e a noi cacciatori, per intervenire insieme ed arginare questo fenomeno preoccupante.
Cosa si aspetta? Che ci scappi il morto? Sarebbe una tragedia annunciata!

Sisto Dati

Vice Presidente Nazionale ANLC

FIDC: quando la fauna diventa un pericolo

Da tempo la diffusione e l’aumento di diverse specie di fauna selvatica confligge con le attività umane e in certi casi può rivelarsi una minaccia anche per la sicurezza dei cittadini. Il fenomeno interessa tutta l’Europa e riguarda soprattutto gli Ungulati, in costante crescita da diversi decenni. Tra queste specie il cinghiale primeggia per i più alti tassi di crescita, il maggiore impatto sulle coltivazioni (e non solo) e un elevato tasso di incidentalità stradale. Il grave incidente avvenuto il 3 gennaio scorso sull’autostrada A1 nei pressi di Lodi, dove un branco di cinghiali è entrato di notte su una carreggiata provocando inevitabili impatti con auto, a seguito dei quali una persona purtroppo è deceduta e diverse altre sono rimaste ferite, ha di nuovo acceso l’attenzione dell’opinione pubblica sulla necessità di porre sotto controllo questo selvatico. Le tendenze demografiche registrate su scala continentale indicano che la caccia non è uno strumento sufficiente per mantenere sotto controllo le popolazioni degli ungulati selvatici e in particolare del cinghiale. Massei e collaboratori (2015), ad esempio, hanno analizzato le tendenze demografiche di questa specie accertando un tasso medio di crescita annuale (numero di cinghiali cacciati all'anno, suddiviso per il numero di capi cacciati l'anno precedente) di circa il 20%; cioè, le popolazioni di cinghiale in Europa aumentano mediamente del 20% l’anno. Tutto ciò malgrado la caccia intensa cui è soggetto. Qual è quindi il ruolo della caccia? Uno studio realizzato da Quirós-Fernández e coll. (2016) nella regione delle Asturie (Spagna) ha ovviamente dimostrato che precludendo la caccia le popolazioni di cinghiale crescono molto di più e che la caccia rappresenta il fattore di maggiore impatto sulla dinamica di popolazione del cinghiale, anche se effettivamente non in misura tale da bilanciare il fenomenale tasso di crescita tipico della specie. E il ruolo del lupo? In generale la predazione da parte del lupo non limita significativamente la dinamica di popolazione di questo ungulato, con buona pace di molti ambientalisti che vorrebbero lasciare tutto ad un’evoluzione naturale. In realtà, questo predatore agisce più da regolatore delle popolazioni, piuttosto che da reale fattore limitante, com’è giusto che sia tra specie co-evolute in natura. Un fattore limitante naturale è costituito, invece, dai rigori invernali in certe annate (soprattutto quando coincidono con annate di penuria di frutti e di semi forestali), ma anche questa è una condizione relativamente rara nell’Europa mediterranea e in più l’effetto del global warming tende, piuttosto, a determinare inverni sempre meno rigidi e con maggiore disponibilità alimentare. 

La gestione degli animali selvatici è un processo molto complesso, guidato dalle interazioni tra le dinamiche naturali, il processo decisionale e il comportamento degli stakeholder (cacciatori, agricoltori, opinione pubblica in genere). Il problema è che ognuna di queste componenti è in grado di modulare in modo indipendente le tendenze delle popolazioni di ungulati, il che significa, che nessuna di esse può essere trascurata quando si pianificano le azioni di gestione o di controllo. Spesso nel nostro Paese si tende, invece, a procedere in modo tradizionale, schematico (invece che adattativo) o sull’onda “emergenziale”. Le Amministrazioni pubbliche tendono ad imporre norme, piani venatori e piani di controllo non sufficientemente condivisi ed efficaci (basti pensare alla imposizione dei “metodi ecologici”, ridicoli almeno per questa specie), gli agricoltori vedono solo una parte del problema (i danni colturali) e trascurano del tutto il fatto che questo fenomeno è strettamente legato al diffuso “arretramento” dell’agricoltura dalle aree interne, gli ambientalisti denigrano la caccia ed incolpano i cacciatori, contribuendo così da decenni a diffondere un’errata percezione dalla caccia nelle società urbane (attività depauperante il patrimonio naturale, non etico utilizzo degli animali selvatici, ecc.), percezione che nel tempo ha contribuito a disincentivare il reclutamento dei nuovi cacciatori e, in definitiva, il loro consistente calo numerico. Posto che la caccia rappresenta il maggiore fattore limitante (anche se insufficiente) per le popolazioni di cinghiale, quale scenario si prospetta per il futuro? L'efficienza dei cacciatori di cinghiale dipende dalla struttura del paesaggio ed è correlata positivamente allo sforzo di caccia, ovvero al numero dei cacciatori, ai giorni di caccia, ecc..; ma sappiamo che da trent’anni a questa parte lo sforzo di caccia si è fortemente ridotto, e questo è un fatto oggettivo. È vero che tra le diverse forme di caccia quella nei confronti del cinghiale, per ora, risente meno di altre della riduzione dei praticanti, tuttavia, la prospettiva di un progressivo declino è ineludibile. Di conseguenza è facile prevedere che la caccia sarà sempre meno efficace nel limitare l’impatto della specie. Il rischio reale è che venga travolta la sopravvivenza della già mal ridotta agricoltura delle aree interne italiane, e sia ancor più sotto minaccia la sicurezza dei cittadini sulle strade, la conservazione di specie rare vulnerabili, l’economia di importanti settori zootecnici per la possibile diffusione di gravi patologie (la Sardegna è purtroppo un esempio tangibile), ecc.. Per far fronte a questa preoccupante prospettiva, anziché polemizzare ed incolpare inutilmente i cacciatori (come avviene in Italia), in diversi Dipartimenti francesi, a fianco delle azioni di pianificazione faunistica, si pianificano anche misure per facilitare il reclutamento dei giovani cacciatori. E, non si trascuri, in quel Paese il calo nel settore venatorio è decisamente inferiore al nostro.
Serve un deciso cambio di approccio sul ruolo dell’attività venatoria in Italia, non solo per contrastare in modo più efficace l’espansione degli ungulati e di altre specie problematiche, ma per diffondere la consapevolezza che la caccia costituisce in Europa un mezzo sostenibile per valorizzare (economicamente, culturalmente, ecc.) le aree rurali e certi beni naturali rinnovabili, che diversamente (ovvero mal gestiti o non gestiti) non inducono reddito e possono al contrario risultare un problema anche dal punto di vista economico e sociale. Il contributo sociale dei cacciatori alla gestione degli ungulati selvatici non si limita all’aspetto venatorio, essendo praticamente le uniche forze sul campo (anche all’interno delle Aree Protette, benché gli Enti gestori tendano opportunisticamente a non renderlo di pubblico dominio) in grado di prestare opera di volontariato nelle attività tecniche di “controllo” del cinghiale e di tutte le specie problematiche. Questo ormai da decenni. Orbene, una recente “interpretazione rigida” del dettato dell’art. 19 della Legge n. 157/1992 da parte della Corte Costituzionale (sentenza 14 giugno 2017 n. 139, che ha avuto ad oggetto la L.R. Liguria n. 29/2015) – si noti, avvenuta dopo 25 anni di diversa interpretazione della Legge da parte di tutte le Regioni – ora intende precludere proprio questa funzione sociale ai cacciatori, a meno che siano anche proprietari o conduttori dei fondi interessati o siano residenti nelle province autonome di Trento e Bolzano. Un assurdo, da qualunque punto di vista lo si intenda vedere, al quale occorre che il Legislatore nazionale ponga rimedio quanto prima. Per la verità ciò si applica ai territori aperti alla caccia e alle aree precluse a norma della Legge n. 157/1992; paradossalmente, nelle Aree Protette a norma della Legge n. 394/1991 (es. i Parchi Nazionali e Regionali), dove, appunto, quasi si ha pudore a rivelare l’impiego dei cacciatori nelle attività di “controllo” della fauna selvatica, questo è pienamente legittimo.
Tornando alla prevenzione degli incidenti stradali, inutile dire che occorre anche una prevenzione tecnicamente efficace, basata sia sul controllo delle presenze degli ungulati nelle aree più a rischio, sia sulla realizzazione di infrastrutture di trasporto tecnicamente sicure ed ecologicamente sostenibili. Nel primo caso è evidente che non si possono tollerare cinghiali nelle aree di pianura intensamente coltivate, com’è quella nei pressi di Lodi dove è avvenuto il grave incidente. A prescindere dalle attuali difficolta normative, necessita che le Regioni codifichino queste aree e si organizzino con un’efficace rete di monitoraggio e attraverso la costituzione di “squadre di pronto intervento permanenti”, alle quali sia affidato il compito di rimuovere prima possibile gli ungulati che vi si introducano, costituendo un rischio per la pubblica incolumità e le colture. Questa funzione dovrebbe essere permanente e non soggetta a singole autorizzazioni. Nel secondo caso il problema va distinto tra le infrastrutture stradali ordinarie (soprattutto in collina e montagna) e le autostrade o super-strade. Nelle prime il problema è più complesso e può essere affrontato monitorando i tratti stradali storicamente più critici (come alcune Regioni già stanno facendo) dove predisporre set di misure, quali fasce di rispetto prive di vegetazione arbustiva e arborea a margine della carreggiata e/o dispositivi deterrenti per gli ungulati (dissuasori ottici riflettenti, barriere olfattive e sonore), o sistemi segnalatori per gli automobilisti, attivati da sensori che captano l’approssimarsi degli animali alla sede stradale. Misure evidentemente applicabili solo nei tratti più critici, che comunque stanno dando risultati concreti dove sperimentati. Il caso delle strade a scorrimento veloce, nelle quali è d’obbligo una recinzione laterale, con un approccio semplicistico si potrebbe dire che le recinzioni debbono essere realizzate a regola d’arte e in seguito vanno monitorate e sottoposte a costante manutenzione. Il tema vero è che purtroppo le recinzioni esistenti nella maggior parte delle autostrade e super-strade italiane sono appena in grado di contenere un animale domestico, ma non sono tecnicamente costruite per impedire il passaggio di ungulati selvatici (o lupi e orsi) motivati a passare in un punto qualsiasi. Non solo i cinghiali possono facilmente oltrepassare una rete non adeguatamente interrata (come pare sia avvenuto nei pressi di Lodi), ma tutti gli altri ungulati possono con grande facilità saltare le modeste recinzioni oggi in essere. Per non parlare della scarsa manutenzione di dette recinzioni, come ognuno può constatare, frequentemente avvolte dalla vegetazione rampicante. Inutile dirlo, l’odierno scenario faunistico del territorio italiano è alquanto diverso da quando furono realizzate le principali autostrade italiane, in primis la cosiddetta “autostrada del sole”.
Non va trascurato poi il fatto che l’Italia è profondamente arretrata, rispetto a molti Paesi europei, nella prevenzione della frammentazione degli habitat naturali prodotta dalle grandi infrastrutture viarie. Si tratta di un problema ecologico importante, non soltanto poiché responsabile della perdita di biodiversità (l’isolamento delle popolazioni è per sé stesso un danno), ma perché in determinati settori le infrastrutture viarie (spesso recintate) interrompono le cosiddette reti ecologiche, che sono in sostanza le vie di comunicazione per la fauna selvatica, ovvero i punti nei quali più spesso si osservano gli attraversamenti o i tentativi di attraversamento, da parte di numerose specie terrestri. Sono dinamiche che vanno comprese anche ai fini della prevenzione degli incidenti stradali e per questo occorrono analisi territoriali specialistiche, in relazione ai gruppi di specie che si intendono in qualche modo tutelare. Per fortuna, soprattutto in Appennino, sono numerosi i passaggi delle grosse arterie stradali in galleria e su viadotto, ma in mancanza di “naturali” punti di attraversamento per la fauna, in molti Paesi si progettano da tempo degli attraversamenti artificiali, anch’essi in galleria o sopra-elevati. Già nel 1998 l’UE aveva lanciato, nel quadro della Cooperazione europea nel settore della ricerca scientifica e tecnica (COST), l’Azione 341 per contrastare la frammentazione degli habitat causata dalle infrastrutture viarie. L’obiettivo era di riunire le conoscenze, le competenze e le esperienze dei diversi Paesi europei al fine di elaborare strumenti adeguati per realizzare delle infrastrutture di trasporto paneuropee sicure ed ecologicamente sostenibili. A tale Azione aderirono 14 Paesi (Austria, Belgio, Danimarca, Spagna, Francia, Gran Bretagna, Irlanda, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Repubblica Ceca, Svezia e anche la Svizzera), ma non l’Italia. Sul sito http://www.iene.info è disponibile un’ampia documentazione a tale riguardo, per chi volesse approfondire l’argomento.
I tempi hanno cambiato inesorabilmente la morfologia del paesaggio italiano e il conseguente assetto faunistico del territorio, occorre che anche la gestione faunistica del Paese e le nostre infrastrutture viarie siano ammodernate, senza ulteriore indugio, per evitare guai peggiori nel prossimo futuro. Rimandare o minimizzare rischia di comportare costi sociali molto pesanti.
(Giorgia Romeo – Valter Trocchi – Centro Studi Federazione Italiana della Caccia)

Per saperne di più:
• Massei G., J. Kindberg, A. Licoppe, D. Gačić, N. Šprem, J. Kamler, E. Baubet, U. Hohmann, A. Monaco, J. Ozoliņš, S. Cellina, T. Podgórski, C. Fonseca, N. Markov, B. Pokorny, C. Rosell e A. Náhlik, 2015. Wild boar populations up, numbers of hunters down? A review of trends and implications for Europe. Pest Manag. Sci., 71: 492–500.
• Quirós-Fernández F., J. Marcos, P. Acevedo e C. Gortázar, 2017 - Hunters serving the ecosystem: the contribution of recreational hunting to wild boar population control. Eur. J. Wildl. Res., 63: 57 - DOI 10.1007/s10344-017-1107-4
http://www.iene.info

 

 

ANLC: Adesso basta!

Siccome è circa un mese che non si verificano incidenti mortali, le truppe animal-vegane riempiono il silenzio confezionando la solita accusa, qualunquista e del tutto infondata che chiama in causa i cacciatori incolpandoli dell’avvelenamento di centinaia di cani in tutta Italia, con un picco che, secondo loro, coincide con i mesi di febbraio e marzo. I soliti giornalisti, fra i quali spicca per acredine nei confronti dei cacciatori la signora Margherita De Bac e più recentemente Roberta Scorranese, pur senza uno straccio di prova e dimenticando che cani e gatti vengono regolarmente avvelenati a decine nei parchi pubblici all’interno delle grandi metropoli, ritornano ad accusare “per sentito dire” e a seguito di loro personalissime convinzioni, l’intero mondo della caccia che non ha nulla a che vedere con questa pratica barbara e criminale.

A riaccendere la periodica miccia contro i cacciatori è stata un’intervista con la scrittrice Susanna Tamaro che, addolorata per la morte di una sua cagnolina e pur ammettendo di essere «…amica di molti cacciatori e so che la maggior parte di essi ama la natura…»” non esita a puntare il dito nella solita direzione: «È morta per arresto cardiaco dopo aver ingerito uno di quei bocconi che certi cacciatori o allevatori lasciano in giro per neutralizzare le volpi o altri animali …oggi chiunque può andare a comprare un chilo di topicida senza controlli …». I nostri legali sono già stati incaricati di esaminare gli articoli pubblicati il 14 e il 15 gennaio sulle pagine del Corriere della Sera per ravvisare se sussistano gli estremi per sporgere denuncia formale per calunnia a mezzo stampa.


Il Presidente
Paolo Sparvoli

CCT: sul Calendario venatorio la regione Toscana getta la spugna…!!!

E così, dopo quasi un mese dall’Ordinanza del Consiglio di Stato sul Calendario Venatorio Toscano, l’ Assessorato e la maggioranza di governo della Regione hanno “gettato la spugna”. Con un comunicato laconico e notarile, ieri sera sembra essersi conclusa una fase nella quale, come da noi più volte sostenuto, la Regione Toscana avrebbe potuto e dovuto superare gli esiti di questa ingiustificabile sentenza con il coraggio e l’autorevolezza che le compete. A noi e a tutti i cacciatori non bastano certo gli attestati di solidarietà che l’ Assessore si è sentito in dovere di rappresentare, ne tantomeno saremo disposti ad assistere al solito “scaricabarile” sulle responsabilità. Non vi è dubbio che la sospensiva e la chiusura anticipata alle specie (Beccaccia, Colombaccio, Merlo, Corvidi e Anatidi) non è frutto di una volontà della Regione Toscana; ciò non toglie però il fatto che in questo lungo lasso di tempo la stessa non abbia fatto quanto necessario per giungere ad una soluzione positiva del problema.

Il mancato parere dell’ Ispra non può essere considerato il “parafulmine” della situazione, ne è possibile accettare le motivazioni di un diniego e di una mancanza da parte di un organo dello Stato e del Ministero, che per legge deve fornire pareri, che si è pensato di superare maldestramente con una tardiva, quanto inutile riunione organizzata a tempo scaduto. Il parere Ispra in realtà era già in precedenza stato fornito per la stesura del Calendario Venatorio. Un parere che non è stato intaccato dall’ ordinanza del Consiglio di Stato e che sarebbe stato nuovamente necessario solo per motivare una eventuale estensione dei tempi di caccia al 10 di febbraio; non per riconfermare i tempi stabiliti dal Calendario.
E così, anziché procedere speditamente per l’approvazione di una Delibera risolutiva o su una eventuale modifica di Legge, si è continuato a proseguire su una strada senza sfondo.
Le scelte possibili da intraprendere sotto il profilo legislativo ed amministrativo erano e rimangono la via maestra che purtroppo non è stata perseguita.
Per questo, ci troviamo costretti a dover registrare una grave sconfitta non solo per i cacciatori, ma soprattutto per la politica e la credibilità di tanti suoi esponenti. Una ferita che può essere risanata solamente con il coraggio e con gli atti necessari che anche oggi, qualora si volesse, il Consiglio Regionale potrebbe intraprendere. Inoltre, rimangono da chiarire gli effetti che si determineranno per la caccia nelle ZPS ed in altre aree dove non si è svolta la preapertura. Una precisazione urgente quanto inderogabile che la Confederazione Cacciatori Toscani torna a chiedere con forza alla Regione al fine di tutelare i cacciatori che svolgono l’attività venatoria in tali zone.
Per quanto ci riguarda, continueremo a resistere e rafforzare la battaglia futura sia nelle sedi di giudizio (TAR), sia per le proposte che dovremo formulare per il prossimo Calendario Venatorio, consapevoli che lo strappo che si è venuto a creare con la politica e la credibilità delle Istituzioni, caratterizzerà il nostro futuro atteggiamento. Lo “schiaffo” ricevuto dai cacciatori, non prevede che si porga l’altra guancia. Ad ognuno le proprie responsabilità!

Arci Caccia e Libera Caccia Pistoia: solidarietà al cacciatore aggredito dagli animalisti

"Nella mattinata di domenica, un gruppo di delinquenti, appartenenti a una qualche formazione animalista, ha aggredito un anziano cacciatore nei dintorni di Ponte Buggianese. I malviventi hanno accerchiato il malcapitato coprendolo di insulti, derubandolo di alcuni richiami e vandalizzando l’appostamento.
Alle proteste dell’uomo l’aggressione si è fatta violenta, tanto che il cacciatore si è ritrovato a terra. Ripresosi, ha avvertito i carabinieri, a cui ha poi presentato denuncia.
Siamo fiduciosi che le forze dell’ordine riescano ad assicurare alla giustizia i colpevoli, ma non possiamo fare a meno di pensare che qualcuno debba arginare questi fenomeni sul nascere. I cacciatori sono cittadini irreprensibili, con la fedina penale immacolata, che pagano fior di soldi per esercitare una passione costretta nel recinto di una miriade di norme che ne regolano ogni aspetto. Per questo meritano ogni rispetto e devono essere difesi da queste aggressioni squadriste compiute da vigliacchi che, facendosi forti col numero, attaccano cacciatori soli, meglio se anziani.
Il verificarsi di queste situazioni dovrebbe essere evitato con ogni mezzo. Non solo perché questi comportamenti sono contro la legge, ma perché questi provocatori giocano a un gioco veramente avventato, minacciando e spaventando persone che comunque girano armate.
I cacciatori sono persone per bene, lo abbiamo già detto, ma situazioni come quella verificatasi domenica rappresentano un enorme rischio. Noi consigliamo sempre e comunque ai nostri associati di non rispondere alle provocazioni, allontanandosi e avvertendo immediatamente le forze dell’ordine, ma anche l’uomo più pacifico, sentendosi in pericolo, può reagire in base al normale istinto di conservazione.
Per questo chiediamo alle forze dell’ordine uno sforzo ulteriore, per garantire la tranquillità e la sicurezza dei nostri associati, e alla politica di prendere provvedimenti contro questi gruppi di violenti. Bisogna far presto, prima che da queste aggressioni possa scaturire una tragedia".

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