Alzi la mano chi, cacciatore con il cane, non ha mai sognato di poter addestrare il proprio ausiliare in modo da renderlo efficiente e collaborativo, utile alla sua azione di caccia.
Bisogna risalire alla notte dei tempi, certamente almeno 10/12.000 anni fa per scoprire quando il cane cessò d’essere…lupo, rendendosi domestico all’uso dell’uomo. E di certo questi nostri ancestrali progenitori, ancora coperti di pelli, con clave o asce di selce come armi, indirizzarono le qualità naturali di quel nuovo amico per procurarsi cibo, cacciando con loro. Graffiti rupestri raffigurano antichi segugi seguire cervi, e dipinti egiziani, etruschi o romani li raffigurano impegnati a scovare uccelli, combattere con cinghiali, orsi, lupi.
Millenni fa furono scritti i primi manuali, partendo dal "Cinegetico" del greco Senofonte, fino a Gaston Phoebus con il suo “Livre de la chasse” redatto prima del 1400 d.C., ma a quei tempi la caccia era ancora appannaggio di regnanti e nobili, e così erano pochi coloro che potevano permettersi d’usare un cane a caccia; di questi la gran parte dei quali erano segugi.
Facciamo però un salto di secoli, e veniamo ai tempi moderni, con l’attività venatoria trasformatasi in passione popolare, illustrando brevemente alcune tecniche d’addestramento per i cani da ferma, quelli cioè che arrivati a ridosso del selvatico si bloccano, vanno per l’appunto…in ferma, indicando al loro conduttore la posizione della preda, che così può essere cacciata efficacemente.
Le razze da ferma sono molte, generalmente distinte tra inglesi (setter inglese, irlandese nelle due varietà- rosso e bianco rosso- e gordon, oltre al pointer) e continentali, divisi in italiani (bracco e spinone) ed esteri, con gli epagneul, i griffoni e svariate razze di bracchi, diffuse in po’ tutto il continente europeo e non solo.
Sia ben inteso che alcuni passi dell’addestramento sono comuni ad ogni tipo di cane, e con questo ci riferiamo principalmente a quelli legati all’obbedienza, ma altri, come il consenso o il fermo al frullo, sono tipici e specifici delle razze da ferma, per intuibili ragioni che vedremo poi.
I cani da ferma vengono utilizzati principalmente per cacciare la piuma, gli uccelli; principalmente ma non esclusivamente, perché molti di questi cacciano e fermano volentieri anche la lepre, sebbene i puristi della materia ritengano che questo sia comportamento da non incentivare, preferendo e cercando di selezionare il cane che ignora l’usta del lagomorfo ed insegnandogli a non inseguirla mai.
In commercio ci sono molti manuali di addestramento, ma i più noti hanno decine e decine di anni, alcuni scritti tra l’Ottocento e il Novecento. I più famosi che ebbero a scriverne furono Angelo Vecchio, Gastone Puttini, Giulio Colombo e Felice Delfino, il cui celeberrimo “Addestramento del cane da ferma” non può certo mancare nella libreria dell’appassionato cinofilo.
Sin da cucciolo il cane può manifestare doti o attitudini che lo fanno già reputare un buon soggetto su cui investire tempo e, per chi se lo può permettere, anche denaro; ci sono cani giovanissimi che, pur senza addestramento, accompagnati a caccia si comportano sin da subito come se l’avessero sempre fatto, cercando il selvatico con la sagacia d’un cane ormai fatto. Esistono ma sono rari, e nella norma un sano percorso di dressaggio diventa fondamentale per ogni soggetto.
Il cucciolo già a pochi mesi ha l’istinto alla ferma, certo alla vista di qualche uccello od animale, ma anche con la classica piuma, che viene gli agitata davanti per costringerlo a bloccarsi, sfruttando il suo istinto alla predazione.
Il sistema più semplice è quello della canna da pesca, cui viene legata la piuma al fondo della lenza per farla penzolare avanti al cucciolo, che s’appassiona così a questo gioco. Un altro gioco frequente è quello del riporto, lanciando piccoli oggetti e invitando il cane a recuperarli. Non va ovviamente dimenticato come al giovane cane vada insegnata prima d’ogni altra cosa l’ubbidienza, abituandolo ad accorrere ogni volta lo si chiamerà con la voce o un fischio, premiandolo con una carezza, un complimento o magari qualcosa di stuzzicante da sgranocchiare.
Delfino, che prenderemo oggi a modello, individua cinque comandi base, propedeutici a tutto il resto l’addestramento: chiamata, dietro, terra, va, porta.
Che il cane accorra alla “chiamata” diventa essenziale per poter governare la sua azione di caccia; scarsità di selvaggina e necessità di avere ausiliari che estendano sempre più l’azione di cerca impone che questi rientrino quando il conduttore lo desidera, senza per questo dover usare collari elettrici (tra l’altro vietati) o punirli una volta recuperati. Felice Delfino ci spiega bene come con il cane si debbano usare metodi non stringenti, poco duri, cercando di guadagnare la fiducia dell’ausiliare poco per volta; solo così, sostiene lui si arriverà ad avere dal nostro amico quattro zampe la massima collaborazione. La correttezza poi è una qualità da ricercare e sviluppare sempre, anche perché un cane scorretto è in grado di vanificare qualsiasi azione di caccia. E cosa intenda per correttezza Delfino appare evidente quando lui ci spiega l’utilità dei vari comandi, e del “terra” in particolare.
Il terra è comando basilare per ogni tipo addestramento, e consente al conduttore di costringere il cane a schiacciarsi al suolo, senza più muoversi. Ciò si rivela indispensabile in molte situazioni, specialmente se il cane è lontano dal padrone che s’avvicina per servirlo: metterlo a terra gli offre la possibilità di raggiungerlo senza correre il rischio che lui forzi il selvatico ad involarsi. Egualmente se il cane è abituato a quel comando sarà facile imporgli il fermo al frullo, evitando così che l’ausiliare si getti all’inseguimento dell’uccello, creando difficoltà nel tiro. Molti sono i sistemi per insegnarlo al cane, partendo da quello più semplice, e che io stesso utilizzo, di stringere nella mano un pezzo di cibo annusato prima dal cane, e poi poggiare il pugno sul terreno, accompagnandolo con l’altra mano il movimento del cane mentre si pronuncia la magica parola: “terra”.
Mano a mano che si procederà con l’addestramento si potrà perfezionare la posizione del cane, sino a che lui avrà imparato ad eseguirlo perfettamente, a semplice comando; ma bisogna continuare, e non permettere al cane deroghe, perché altrimenti in poco tempo dimenticherà gli insegnamenti, vanificando il nostro lavoro.
Io qualche volta l’ho provato, e mi rendo conto di come sia importante far acquisire questo tipo di obbedienza al cane. Il terra può essere impartito a voce, con un fischio o un gesto della mano, ma bisogna essere coerenti perché i nostri amici quattro zampe sono abituati a sviluppare ragionamenti semplici ma molto logici, e dunque non capirebbero.
Diviene anche utile per quei cani che non hanno un consenso naturale e quando si caccia con più soggetti: un cane scorretto, che interrompa l’azione del compagno in ferma è dannoso…quanto la grandine nella vigna! Insegnare il consenso non è eccessivamente difficile, e si può fare sin da quando è cucciolone portandolo su un altro cane già in ferma ed imponendo lo stia anche lui, trattenendolo per il collarino o mettendolo a terra.
Quando saremo certi che sappia eseguire alla perfezione il terra allora diventerà più semplice fargli eseguire anche il “dietro”, per costringerlo a stare dietro al conduttore o al cacciatore, comando molto utile quando si desidera che il cane non s’allontani da noi, prendendo iniziative. Io l’uso molto in montagna, quando devo spostarmi lungo sentieri o mulattiere, magari attraversando zone dove non voglio che i cani caccino, e nemmeno intendo metterli al guinzaglio per la difficoltà o i pericoli del camminamento. Non è difficile da insegnare, ma serve molto esercizio, ed inizialmente si può insegnare tenendo il cane molto corto al guinzaglio, e portando indietro il braccio mentre si procede ripetendo il comando.
Altrettanto importante è che il nostro compagno risponda al “va”, con il quale fargli riprendere l’azione di caccia dopo averlo messo a terra, seduto o al dietro. Il cane impara così ad entrare in azione solo quando è il conduttore a chiederlo, evitandogli problemi. Io, se l’ho vicino, l’uso accompagnandolo con una pacca sul posteriore o una carezza, e l’incito a voce; se invece il cane è lontano, e l’abbiamo messo a terra, bisogna insegnarli a rispondere al fischio o al movimento del braccio.
Il “porta” è l’ultimo dei cinque semplici comandi indicati da Felice Delfino, e rappresenta un po’ la sintesi degli altri.
Il cane, a nostra richiesta, deve recuperare il selvatico appena abbattuto, in maniera solerte e senza divagazioni. Una volta rientrato deve sedersi di fronte a noi e consegnarlo, o lasciare lo si prenda delicatamente dalla sua bocca; quando l'esegue il cane va premiato.
“Dente duro”, o tentativo d’inghiottirlo, cosa che talvolta capita con cuccioloni alle prime armi su selvaggina piccola come la quaglia, sono difetti che dobbiamo subito correggere; i sistemi ci sono, talvolta un po’ rudi come l’uso del sale, ma vanno usati con cautela, evitando sempre le botte che corrono il rischio di sortire l’effetto opposto, facendoci perdere la fiducia del cane.
Felice Delfino
Ufficiale di carriera e decorato durante la Grande Guerra, Felice Delfino nacque a Saluzzo nel 1875.
Cacciò moltissimo in alta montagna, e ovunque gli fosse possibile, collaborando con riviste venatorie, in primis “Il Cacciatore Italiano”, scrivendo di cinofilia cui s’appassionò sin da subito.
La sua fama era tale che molti amici, o ricchi signori, gli affidavano i loro cani perché li addestrasse.
Nel 1911 pubblicò “Addestramento” con lo pseudonimo di Kaff, ma l’opera che lo rese famoso è “Addestramento del cane da ferma”, pubblicata a partire dal 1931 in diverse edizioni e ristampe; purtroppo con il fallimento dell’ultima casa editrice è diventata irreperibile, se non in mercatini o librerie specializzate.
Delfino morì a Cuneo, nel 1968.