Le malattie dei nostri cani: Leshmaniosi
- Scritto da Prof. Ezio Ferroglio. Università degli Studi di Torino
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Già, dopo mesi ormai passati a parlare di malattie della fauna selvatica, qualcuno potrebbe chiedersi: “ma delle malattie dei nostri fidi cani, che sono per molti (ed io tra quelli) non un mero strumento, ma essenza dell’attività venatoria, quando se ne parla?”.
In effetti spesso ci si dimentica che i cani non sono solo ausiliari, ma attori comprimari dell’attività venatoria (quanti senza cane si sentono nudi a caccia?), ma ancora più spesso ci si ricorda dei nostri cani e della loro salute solo al riprendere dell’attività venatoria.
Sembrerebbe controcorrente parlare adesso di cura della salute dei nostri cani, ma vedremo come in realtà così non è.
Sempre più si va infatti diffondendo la consapevolezza che occorre preoccuparsi della salute dei nostri fidi ausiliari prima che questi mostrino i sintomi di malattia. Sempre più si effettuano screening di controllo per accorgersi per tempo della presenza di patogeni che possono portare a morte i nostri cani, ma che, se presi in tempo, possono venire controllati con maggiori chance di successo.
Proprio in questo periodo si esegue lo screening per importanti parassitosi che colpiscono i cani e che sono la filariosi e la leishmaniosi. Iniziamo a trattare la seconda, mentre in una prossima occasione discuteremo della profilassi e trattamento della prima.
Fino a qualche anno fa parlare di leishmaniosi nel cane significava avere interlocutori dell’Italia centro meridionale perché la malattia era presente solo in quelle aree.
Purtroppo, fra i molti risvolti legati al riscaldamento del clima, vi è anche la possibilità che alcune infezioni, tradizionalmente limitate a zone caratterizzate da “climi caldi”, arrivino a stabilirsi anche in aree a climi continentali. Questo rischio, spesso paventato, è purtroppo reale per la leishmaniosi canina, malattia del cane causata da un protozoo (Leishmania infantum) e trasmessa dalla puntura di piccoli insetti, i flebotomi o pappataci, che nel nostro paese sono generalmente attivi dopo il tramonto e prima dell’alba da maggio ad ottobre.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i flebotomi o pappataci non sono piccole zanzare, anzi hanno un comportamento molto diverso da quello delle zanzare. Il loro volo è infatti silenzioso e non ronzante come quello delle zanzare (da qui il nome di pappa taci) e soprattutto non hanno bisogno di acqua per completare il loro ciclo. Le uova vengono deposte nel terreno in presenza di sostanza organica e qui si sviluppano delle larve che in condizioni ottimali (estive) danno gli adulti in un paio di mesi. In autunno invece le larve bloccano il loro sviluppo che riprenderà solo a primavera inoltrata l’anno successivo, quando la larva si impuperà e sfarfallerà così l’insetto adulto.
Per completare il loro ciclo, i flebotomi necessitano di condizioni climatiche “calde” che in passato ne limitavano la diffusione ai paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo ed alla parte centro meridionale della penisola, dove si concentrava soprattutto nelle aree litoranee.
Gli studi svolti hanno mostrato che, più che le temperature estive, sono le temperature invernali quelle che regolano la presenza dei flebotomi, perché temperature molto basse in inverno portano a morte le larve in “ibernazione” impedendo così che ci possa essere un’altra generazione di flebotomi adulti l’anno successivo.
Ormai da una decina di anni i flebotomi sono stati segnalati in numerose aree del Nord Italia, dove sono stati registrati anche focolai autoctoni nei cani e anche qualche caso umano. Grazie ai risultati di alcune ricerche ancora in corso sappiamo che attualmente vi sono dei focolai di leishmaniosi canina soprattutto nelle aree collinari o pedemontane, in tutte le regioni del nord Italia, inclusa la Valle d’Aosta.
Analizzando la cartina si può, infatti, notare come tutta l’area pedemontana e prealpina, come anche nelle parti collinari e negli Appennini, l’infezione sia ormai diffusa nei cani.
Sicuramente, oltre ai cambiamenti climatici, anche la maggiore movimentazione di persone, cani e merci può avere favorito l’ampliarsi verso nord l’areale di diffusione dei flebotomi e della leishmaniosi. Quali che siano state le cause, resta comunque il fatto che questa infezione è oggigiorno presente in tutta Italia ed è divenuta una delle più frequenti malattie che colpiscono i nostri cani.
Fortunatamente, viste le numerose ricerche condotte, abbiamo oggi molte più informazioni sul parassita, sui flebotomi che la trasmettono e sulla patogenesi nel cane rispetto a dieci anni fa e questo si è tradotto in una migliore capacità di diagnosticare in tempo l’infezione e curare i cani colpiti, aumentando le probabilità di successo della terapia.
Ciclo di trasmissione della leishmaniosi. Il flebotomo si infetta ingerendo sangue da un cane infetto e poi, durante i pasti di sangue successivi può iniettare il parassita in un altro cane, o trattandosi di una zoonosi, ad un uomo.
La disponibilità di diversi insetticidi ad azione anche “repellente”, da applicare sul cane da maggio a ottobre, permette infatti di ridurre il rischio che i nostri amici vengano punti dai flebotomi; si è visto, infatti, che il loro livello di protezione è di circa l’80-90%.
L’impiego di questi insetticidi andrebbe esteso soprattutto ai cani già infetti (soprattutto quelli con sintomi di malattia), poiché il trattamento causa un’ elevatissima mortalità nei flebotomi che hanno fatto il pasto di sangue. Considerando che, per trasmettere l’infezione, i flebotomi devono prima assumere il parassita presente nel sangue, è evidente come, trattando i cani infetti, si riduca il rischio che i flebotomi, che muoiono dopo il contatto con il cane trattato, riescano poi a trasmettere l’infezione ad un altro cane o all’uomo. Infatti un caso abbastanza tipico è la presenza di un cane ammalato che non viene prontamente trattato e che finisce con il diventare una fonte d’infezione per i flebotomi, favorendo e permettendo così il passaggio dell’infezione ai cani che vivono nelle vicinanze.
Le prove condotte da diversi anni sul campo hanno mostrato come i prodotti a base di permetrine sintetiche siano efficaci sia come collare a lento rilascio che dura per circa 6 mesi, sia come spot-on da mettere sulla cute del garrese ogni 4 settimane. Un consiglio che mi sento di dare è che i prodotti migliori, spesso, non hanno bisogno di tanta pubblicità (magari anche in TV) per reclamizzarsi.
Bisogna sapere che i flebotomi sono insetti molto piccoli (circa 2 mm) che si spostano di poche centinaia di metri e questo spiega la diffusione dell’infezione a chiazza di leopardo. Le piccole dimensioni dei flebotomi fanno si che questi riescano a passare attraverso le normali zanzariere, per cui chi vuole proteggere il cane dovrà usare una rete a maglie più fini.
Poiché spesso il cane affetto di leishmaniosi muore per le complicazioni (il decesso è spesso dovuto a insufficienza renale), è alla possibilità di diagnosi precoce che oggi ci si affida per salvaguardare la salute dei cani.
Per i soggetti che vivono in aree endemiche, e per quei soggetti che in estate si sono recati, al seguito dei proprietari, in zone endemiche, è divenuto ormai routinario un esame del sangue per la ricerca degli anticorpi anti-leishmania fatto in Febbraio-Marzo.
Oggi poi per il veterinario è possibile effettuare tale test, in modo rapido ed efficace, direttamente a livello ambulatoriale, senza dover attendere i tempi di risposta dei laboratori di analisi e questo favorisce, ovviamente, una più rapida diagnosi dell’infezione. La disponibilità di nuove tecniche di biologia molecolare, e l’esecuzione di analisi cliniche che permettono con accuratezza di valutare la funzionalità renale del paziente, consentono inoltre di avere una visione abbastanza chiara del quadro clinico.
Ovviamente, proprio perché si tratta di una malattia cronica dove i danni al cane sono progressivi, appare evidente la necessità di individuare fin da subito i soggetti malati e provvedere con rapidità al loro trattamento.
Non va, infatti, dimenticato che si tratta di una zoonosi, cioè una malattia che può essere trasmessa anche all’uomo dai flebotomi infetti.
Il cane, quindi, non è direttamente un rischio d’infezione per l’uomo; uno studio svolto in Piemonte ha mostrato come chi ha un cane non corra maggiore rischio rispetto a chi non ha un cane malato.
Chiaramente se un cane è infetto, può fare da serbatoio trasmettendo la leishmania ai flebotomi quando questi fanno il pasto di sangue, e questi potrebbero successivamente trasmetterlo, oltre che ad altri cani, anche all’uomo.
Flebotomo che sta facendo il pasto di sangue. Si tratta di moscerini di circa 2 mm, di colore giallastro. (Foto M. Maroli)
Una sempre maggiore consapevolezza dei proprietari, frutto di una più qualificata divulgazione, non può, quindi, che contribuire a una maggiore attenzione verso la salute degli animali che convivono con l’uomo, evitando il rischio di fobie infondate, ma, contemporaneamente, preservando la salute dei nostri amici animali e dell’uomo stesso.
Un ultimo aspetto che non va trascurato è rappresentato dai possibili serbatoi selvatici dell’infezione. Se fino a pochi anni fa si diceva che le volpi potevano infettarsi, ma non rappresentavano un buon serbatoio per il patogeno, oggigiorno l’acquisizione di nuovi dati sta modificando questa “credenza”. Infatti ricerche svolte sia in Spagna che in Italia hanno mostrato come un’alta percentuale di volpi sia infetta (il 30% in Liguria) e che le volpi hanno ceppi del parassita spesso diversi da quelli presenti nei cani che vivono nelle stesse aree. Questo suggerisce che le volpi siano in grado di mantenere il parassita nelle loro popolazioni anche in assenza di infezione originata dai cani.
Questo ovviamente è il risultato dell’applicazione di nuove metodiche di indagine basate sull’impiego di tecniche di biologia molecolare, ma anche della disponibilità a collaborare dei cacciatori che portano le volpi prelevate ad un veterinario per la raccolta di campioni.
Tipico aspetto, da “cane vecchio”, della leishmaniosi in un cane. In passato era frequente che i cani raggiungessero questo stadio, ma oggi grazie ai controlli più frequenti, si riesce a diagnosticare la malattia in fase iniziale.