Ma da noi, queste malattie ci sono?
- Scritto da Prof. Ezio Ferroglio. Università degli Studi di Torino
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Spesso durante, o alla fine, di una serata divulgativa mi sono sentito rivolgere questa domanda: perché quando si parla di malattie dei selvatici con le persone di campo bisogna passare dai discorsi teorici alla pratica? Un conto è raccontare quali malattie hanno i bisonti di Yellowstone, i cinghiali in Spagna o le alci in Svezia.
Le esperienze accumulate in altri contesti, e magari anche specie per noi esotiche, sono sicuramente utili e interessanti, ma sapere cosa accade sul territorio in cui si opera è sicuramente più “interessante”. Che cinghiali, cervi e daini in Spagna abbiano la tubercolosi è una notizia importante, ma, considerando che si tratta, come abbiamo visto nelle scorse volte, di una situazione ben diversa dalla nostra, può essere istruttivo, ma non ci tocca direttamente. Ho sempre sostenuto che gestire significa progettare per il futuro, ma che per gestire bene bisogna conoscere l’esistente. Abbiamo già parlato di monitoraggio e ho stressato, in quell’occasione, l’importanza di monitorare lo stato di salute delle specie animali che vivono in un’area. Ma cosa vuol dire monitorare? Quali e quanti animali bisogna includere nel monitoraggio? Quando si può smettere, perché ormai si è “inquadrata” la situazione sanitaria in una zona?
L’epidemiologia, la scienza che studia la diffusione e la trasmissione degli agenti patogeni, usa calcoli statistici per valutare il numero di soggetti da analizzare per valutare se in un’area è presente un determinato agente patogeno.
Quindi in teoria si potrebbe pensare che analizzati un certo numero di soggetti si possa chiudere il discorso e con questo il monitoraggio. In realtà voglio portarvi esempi concreti, accaduti nelle nostre realtà di quanto poco sappiamo sulla presenza di determinati agenti patogeni e malattie nel nostro paese.
Vi parlerò dell’esperienza accumulata in questi anni con il collega e amico Rossi in una piccola porzione d’Italia, quella corrispondente all’area alpina di Torino e Aosta.
In questi ultimi 15 anni, grazie alla collaborazione, basata per anni su rapporti di amicizia personale con gli agenti provinciali, e recentemente della Regione Piemonte, sono arrivati in Facoltà migliaia di animali rinvenuti morti o abbattuti durante i piani di controllo (volpi, cornacchie e minilepre). L’analisi di questi capi ha rappresentato una mole di lavoro enorme, che per anni è stato svolto senza alcun supporto economico. Posso dire che, oltre alla crescita personale, i risultati prodotti sono stati sicuramente importantissimi perché credo, senza sentirmi immodesto, che lo stato di conoscenza sanitario che c’è nell’area di cui sopra, sia tra i migliori al mondo. Semmai bisognerebbe chiedersi perché spesso le autorità sanitarie non siano orgogliose di questo e non cerchino di sfruttare le conoscenze e competenze acquisite. Sappiamo tutti però che, nel nostro paese, chi deve prendere decisioni lo fa spesso con criteri che vanno al di là del merito e della sostanza e preferiscono privilegiare amicizie e “tessere” alla reale conoscenza. Ma non era una disquisizione sui mali della nostra Italia che volevo raccontarvi, quanto sono rimasto sorpreso da quanto poco sappiamo realmente sui patogeni che sono presenti in una zona.
Nella tabella sottostante sono riportati i principali patogeni, ma ne ho lasciati fuori almeno altri 10 rinvenuti in Piemonte negli ultimi 10 anni, trovati nell’area da noi maggiormente monitorata.
Mi vorrei soffermare sui primi parassiti citati perché rappresentano dei buoni esempi per mostrare quanto poco si sappia dei patogeni che sono presenti in un’area che vanta comunque una grande tradizione sulle indagini sanitarie nella fauna.
Il primo parassita, Physaloptera sibirica, è un buon esempio di quante sorprese ci riservino gli animali selvatici in fatto di malattie.
Si tratta, infatti, di un verme tondo che vive nello stomaco dei carnivori e che è stato trovato anche in topi quercini e che è presente nelle aree montuose dell’Asia centrale e della Siberia.
Esemplari di Physaloptera sibirica, sembrano molle arrotolate, sulla parete dello stomaco di una volpe. Il contenuto nerastro che si vede nello stomaco è sangue che fuoriesce dalle ulcere gastriche dovute alle lesioni provocate dal parassita.
Sorprendentemente 15 anni fa è stato casualmente osservato in una volpe proveniente dalla Val di Susa e da allora ci sono stati numerosi rilevamenti sia nelle volpi che nei tassi sia nelle arre alpine del Piemonte che in Valle d’Aosta. La cosa interessante è che si tratta di un verme che ha un ciclo particolare per cui le uova, eliminate nelle feci, per potersi sviluppare devono essere ingerite da dei coleotteri che vengono poi predati dai carnivori o dai topi quercini che così si infestano.
Anche se non si conoscono con esattezza i coleotteri che sono implicati in questa trasmissione si tratta però di specie che necessitano di condizioni fredde per sopravvivere. Questo perché nelle aree montuose il parassita si trova usualmente sopra i 600-700 metri di quota. A questo punto l’idea più plausibile è che la sua presenza nelle Alpi sia un relitto delle epoche glaciali.
Con il ritirarsi dei ghiacci e il seguente riscaldamento del clima, il parassita, non trovando più i “coleotteri adatti” (gli ospiti intermedi), è scomparso da buona parte del territorio europeo sopravvivendo solo nelle aree alpine. In effetti recentemente è stato rinvenuto anche in Spagna, ma anche qui si trova solo nelle aree montuose sopra i 700 metri. Sembra strano, ma per secoli è rimasto sconosciuto o meglio non riconosciuto, anche se negli anni precedenti erano state eseguite centinaia di necroscopie di volpi. Una cosa interessante è che questo parassita provoca lesioni a livello dello stomaco e si è visto che le volpi colpite sono spesso più colpite da rogna rispetto alle volpi che non hanno Physaloptera.
Anche per il secondo parassita (Thelazia callipaeda) siamo di fronte ad un parassita che proviene dall’estremo oriente. E’ anch’esso un verme che vive nella congiuntiva nuotando libero tra occhio e palpebre e viene trasmesso da un soggetto all’altro attraverso moscerini che si nutrono anche di scolo lacrimale dove sono presenti le forme larvali liberate dai parassiti adulti. Trovato in Europa per la prima volta nel cane 20 anni fa in Piemonte (nel pinerolese), è stato poi anche rinvenuto nelle volpi in buona parte del Piemonte.
Thelazie in una volpe. L'occhio è opaco solo per effetto post mortale e non per lesioni dovute al parassita, ma si vede comunque scolo lacrimale sul pelo.
Come questo parassita sia giunto dall’estremo oriente in Italia non è dato saperlo. Sicuramente il suo rinvenimento è stato più “voluto” che nel caso di Physaloptera, ma ha comunque richiesto qualche anno prima che ci accorgessimo che, oltreché nel cane, Thelazia era presente anche nelle volpi. Recentemente in provincia di Cuneo è stato trovato, come accade in estremo oriente, anche un caso umano. L’ultimo caso che voglio trattare in questa occasione è quello di Setaria tundra, anche lui un nematode che vive nel peritoneo (nuotando libero tra i visceri addominali) del capriolo.
Dopo aver fatto la necroscopia di oltre 2000 caprioli, il suo ritrovamento è stato casuale.
Una volta portarono in Facoltà la carcassa di un capriolo appena investito e ancora caldo, durante l’autopsia notai questi parassiti, sottili vermicelli, muoversi sulla superficie del rumine. Una volta identificati e classificati iniziammo a cercarli e li trovammo in molti altri soggetti provenienti da quella zona. Il problema era che nelle carcasse congelate il parassita, che è molto fine, passa, a meno che uno si metta a cercarlo con molta attenzione, inosservato. In questo caso la presenza di Setaria è dovuta all’introduzione di caprioli che albergavano il parassita che si è poi diffuso attraverso le punture di zanzare, che assumono le larve che il parassita libera nel sangue, e le inoculano poi in altri soggetti.
Cosa questi tre esempi dimostrano chiaramente è che spesso non troviamo perché non sappiamo neanche cosa cercare. Soprattutto, per quanto riguarda i patogeni della fauna, si ricercano spesso alcune patologie che interessano anche i domestici , ma solo la necroscopia di un buon numero di soggetti permette di conoscere quali patogeni sono presenti in un’area e di rispondere alla domanda: “ Ma da noi, che malattie ci sono?”.
Patogeno (malattia) | Specie colpita | Introdotta da | Zoonosi |
Physaloptera sibrica | Volpe, tasso | ? | no |
Thelazia callipaeda | Volpe, cane, gatto | ? | si |
Setaria tundra | Capriolo | Translocazione | no |
Camelostrongylus mentulatus | Capriolo | Dromedario di un circo | no |
Brucella abortus | Camoscio | Bovini | si |
Brucella melitensis | Stambecco | Pecore | si |
Hypoderma diana | Capriolo | Translocazione | no |
Brucella suis | Cinghiale | Traslocazione Lepri | si |
Ashworthius spp. | Cervo | Translocazione cervi | no |
Mycobacterium paratuberculosis | Capriolo, Cervo, Stambecco | ? Bovini? | si |
Neospora caninum | Cervo, Capriolo, camoscio, cinghaile, stambecco, lepre, minilepre | ? | no |
Mycobacterium bovis | Cinghiale | Bovini | si |
Mycobacterium bovis | Cervo | Translocazione | si |