Lipu: “L’ideologia acceca la verità”
- Scritto da Luca Gironi
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Riportiamo questo comunicato giuntoci da Emilio Galano dell'Arcicaccia di Ischia relativo alla soluzione di una sanzione amministrativa comminata ad un cacciatore ischitano nella scorsa stagione venatoria da tre guardie volontarie della Lipu. L'episodio, assolutamente increscioso, si è concluso con il rinvio a giudizio dei tre agenti di vigilanza:
Tre appartenenti all’associazione Lipu che si occupa di contrastare i cacciatori di frodo sono stati rinviati a giudizio dal pubblico ministero con l’accusa di falso materiale. Nella sostanza hanno sottoscritto un verbale in cui confermavano di aver elevato contravvenzione ai danni di un presunto cacciatore che sarebbe stato beccato in un giorno e in un orario vietato alla caccia. E per avvalorare il verbale aveva contraffatto la firma del contravventore. Tutto risultato confezionato ad arte e tale da meritarsi il giudizio dinanzi al tribunale.
Dovranno comparire dinanzi al giudice gli imputati Davide Zeccolella, Daniele Ghillani e Nicola Toscani. Questa è l’imputazione che di fatto riassume quanto denunciato e verificato dalla polizia giudiziaria: «Perché, in concorso e riunione tra loro, in qualità di agenti venatori appartenenti alla associazione Lipu, apponevano in calce ad un verbale di accertamento e contestazione di violazione venatoria elevato alla parte offesa Di Scala Marco la firma del predetto, apocrifa, e segnatamente: Zeccolella apponeva materialmente di proprio pugno la firma del Di Scala, e successivamente Ghillani e Toscani sottoscrivevano, a loro volta, il verbale di contravvenzione contraffatto».
Il tutto prende spunto dalla denuncia proprio del Di Scala che si era ritrovato inconsapevolmente sottoposto ad un’azione amministrativa. Una sanzione legata ad una circostanza non vera e facilmente riscontrabile. Ossia di essere stato fermato dai tre appartenenti alla Lipu che attestavano che l’infrazione era stata contestata in un orario diverso. Al solo scopo di poter applicare la multa. Non trovando alcuna disponibilità di chi in quel momento si riteneva nel giusto, nel rispetto della legge, avrebbero manomesso la firma del presunto contravventore. Tutti e tre ne attestavano la veridicità. E’ bastato eseguire quei riscontri minimi per ritrovarsi di fronte ad un “abuso” che il pubblico ministero ha identificato nella ipotesi di reato di falso materiale. Per fatti risalenti a qualche anno fa e solo ora giunti all’attenzione del tribunale. Seppure la denuncia era stata sottoscritta nei termini previsti dalla legge. Partendo dal momento del fatto, specificando l’orario esatto, dove si trovasse il cacciatore, cosa stesse svolgendo e chi erano i soggetti che lo avevano fermato per un controllo: «Il giorno 12.11.2011 verso le ore 16.15 circa, l’istante dopo aver trascorso il pomeriggio a caccia in collina, località Fango in Casamicciola Terme, decideva di far ritorno alla propria abitazione, allorquando, al di fuori del bosco, con il fucile ormai scarico, si imbatteva in tre agenti venatori Lipu, sig. Zeccolella Davide e sig.ri Daniele Ghillani e Nicola Toscani, nel mentre stavano effettuando un controllo ad un altro cacciatore».
Di essersi ritrovato di fronte ai tre appartenenti alla Lipu che posero in essere quelle attività per identificare i presunti trasgressori: «Appena fu visto, gli fu intimato di rimanere fermo, e di attendere la fine del controllo di un altro cacciatore, per poi essere controllato a sua volta. Il tutto avveniva intorno alle ore 16.30 circa».
Il lasso di tempo dal momento dell’incontro alla identificazione, alla verifica di quanto portasse con sé, aveva di fatto provocato lo sforamento dell’orario consentito per la caccia. I rappresentanti della Lipu, secondo il denunciante, avrebbero dovuto scrivere nel verbale che i controlli erano iniziati alle 16.30 e non al termine del confezionamento del verbale: «Pazientemente il sig. Scala attendeva la fine dei controlli sull’altro cacciatore, allorquando, dopo circa mezzora, incredibilmente, si vedeva contestata la violazione dell’art. 31 lett. G L. 157/92, perché esercitava la caccia in orario non consentito, in quanto nel frattempo si erano fatte pressappoco le 17.00, quindi quando erano passati circa 10 minuti dalla chiusura della giornata venatoria».
E’ consentito dalla legge che in ogni verbale di contestazione il presunto trasgressore ha la facoltà di poter chiedere di riportare le sue dichiarazioni, a discolpa di quanto viene invece ritenuto violato dai pubblici ufficiali o da coloro che hanno l’investitura a poter svolgere quelle determinate attività di controllo e verifica. E che comunque in quel frangente non era in un atteggiamento tipicamente da caccia e che il fucile risultava privo di cartucce: «A fronte della richiesta dello scrivente di rilasciare spontanee dichiarazioni, da apporsi in calce al verbale, che giammai il concludente si trovava in atteggiamento venatorio, perché fermo col fucile scarico e pazientemente in attesa di essere controllato, così come gli era stato richiesto, gli agenti si rifiutavano senza motivo».
Nel denunciare quanto accaduto al pubblico ministero, la parte offesa evidenziava che erano stati commessi dei veri e propri falsi allo scopo di penalizzare chi in quel momento era pienamente nel suo diritto: «Di fronte a tale atteggiamento di prevaricazione, il concludente rifiutava di firmare la copia del verbale, tuttavia il sig. Zeccolella, con fare repentino apponeva una sigla falsa e apocrifa sotto la dicitura il trasgressore.
Il verbale contiene due falsi evidenti: il primo relativo al fatto in sé, in quanto giammai l’istante all’atto del controllo si trovava in atteggiamento venatorio; il secondo, ancor più macroscopico e gravissimo, rappresentato dalla sigla apocrifa e falsa, apposta in calce al verbale medesimo, sotto la dicitura “Il Trasgressore”, sigla che si disconosce espressamente, perché falsa e mai apposta dal ricorrente».
Chiedendo al pubblico ministero di svolgere le opportune verifiche per i comportamenti tenuti dalle tre guardie venatorie. Ritenendo che vi fossero tutti gli estremi per un falso materiale, bastando leggere con attenzione il verbale in contestazione per acclarare che il Di Scala non ha mai sottoscritto alcunché e che il tutto sarebbe frutto di una libera scelta degli attuali imputati: «E’ stato precisato che gli atti pubblici di fede privilegiata sono quelli che, per forza di legge, comportano l’effetto preclusivo di vincolare ad assumere come certezza la rappresentazione della realtà contenuta nel documento.
In sostanza il verbale di accertamento e contestazione è destinato ab initio alla prova, ossia precostituita a garanzia della pubblica fede e, poiché redatto da un soggetto autorizzato, nell’esercizio della sua funzione certificatrice, diretta per legge alla prova dei fatti che lo stesso funzionario redigente riferisce come visti, uditi o compiuti direttamente da lui (Cassazione).
Nel caso di specie nel verbale di accertamento e contestazione v’è un duplice falso materiale, così come chiarito in premessa».
Nella denuncia si formulavano altre ipotesi che non hanno trovato ingresso a conclusione delle indagini preliminari. In particolare il falso ideologico, corroborato da una giurisprudenza costante della Suprema Corte di Cassazione, e nello specificare quando si integra e in che misura allorquando vi è la partecipazione di un pubblico ufficiale, ritenendo le guardie della Lipu in quel frangente rivestire quel ruolo: «Integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico la condotta del pubblico ufficiale che renda un’attestazione difforme dalla realtà nell’esercizio di una potestà certificativa inerente all’esercizio delle funzioni istituzionalmente attribuitegli.
Agli effetti delle norme sul falso documentale, il concetto di atto pubblico è più ampio rispetto a quello che si desume dalla definizione contenuta nell’art. 2699 c.c., poiché comprende non soltanto quei documenti che sono redatti con le richieste formalità da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede, ma anche i documenti formati dal pubblico ufficiale o dal pubblico impiegato incaricato di un pubblico servizio nell’esercizio delle sue funzioni, attestanti fatti da lui compiuti o avvenuti in sua presenza ed aventi attitudine ad assumere rilevanza giuridica (Cassazione).
Nel caso di specie non può dubitarsi della natura pubblica del verbale di accertamento e contestazione, né della sua redazione nell’esercizio di funzioni pubbliche, né dell’attestazione difforme dalla realtà contenuta nel verbale».
Come non ha trovato ingresso la scelta di chiamarli a giudizio per la ipotesi di abuso d’ufficio. Il magistrato inquirente non ha ritenuto integrata questa ipotesi, anche se il denunciante ne aveva sollecitata l’incriminazione in quanto nella circostanza si sarebbe consumato nei confronti del Di Scala un ingiusto danno in correlazione al falso materiale: «Sussiste il concorso materiale, e non l’assorbimento tra il reato di abuso d’ufficio in quello, più grave, di falso ideologico in atto pubblico, nel caso in cui la condotta dell’abuso di ufficio non si esaurisca in quella del reato di falso, ma vi siano due diverse condotte (Cassazione).
Nel caso di specie, oltre all’evidente falso materiale e ideologico, contenuto nel verbale di accertamento e contestazione, la condotta dei denunciati integra anche il reato di abuso d’ufficio, in quanto in violazione di legge i predetti prevenuti con la redazione del verbale hanno arrecato allo scrivente un danno ingiusto».