Federcaccia: agricoltura e fauna selvatica ai tempi del coronavirus
- Scritto da Luca Gironi
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Dall’Ufficio Studi e Ricerche Faunistiche e Agro-ambientali della Federazione Italiana della Caccia, alcune riflessioni sugli effetti del “lockdown” sulle dinamiche dell’agro-ambientale e dell’attività venatoria nel nostro Paese
Roma, 27 aprile 2020 - L’emergenza per il COVID 19, che stiamo affrontando ha rivoluzionato in maniera radicale il nostro modo di vivere, ma soprattutto determinerà delle profonde modifiche nel nostro immediato futuro. Dovrà cambiare la nostra economia, la nostra socialità e dovrà cambiare anche il nostro rapporto con l’ambiente. Molti settori economici del mercato sono infatti già in profonda crisi e saranno necessari dei piani straordinari per la ripresa, ma soprattutto servirà una nuova visione d’insieme e di strategia di sviluppo della società in base alla complessità di effetti che ha determinato questo fenomeno. Sarà soprattutto necessario un nuovo approccio nei confronti dell’ambiente poiché quest’emergenza sanitaria ci ha messo in guardia sulla nostra vulnerabilità e sulla necessità di individuare nuove strategie economiche e sociali sempre più sostenibili nei confronti del territorio. Molte attività e servizi legati a quest’ultimo necessitano così di una valutazione in base agli impatti determinati dall’emergenza COVID 19.
Di seguito si presentano alcune riflessioni e considerazioni al riguardo in merito ai servizi ambientali della fauna selvatica nel comparto agricolo nazionale.
Agricoltura e fauna selvatica - Il settore agricoltura in Italia sta subendo evidenti impatti negativi dall’avvio del lockdown per COVID 19. Sebbene non ci siano state intere chiusure delle attività produttive, come invece è avvenuto in gran parte degli altri settori economici nazionali, alcune problematiche di diverso ordine si sono ugualmente verificate in diverse filiere di produzione agricola ed in determinati settori. Attualmente è infatti chiusa l’attività dell’agriturismo e delle forniture per ristorazioni e mercati; in forte crisi è anche tutto il comparto florovivaistico ed enologico, per l’evidente flessione delle vendite, e a rischio sono molte produzioni di frutta e verdura per la mancanza di manodopera stagionale.
Gran parte delle altre produzioni agricole invece stanno reggendo, ma rimangono ugualmente a rischio latente per l’incertezza del mercato attuale in questa situazione e soprattutto per il fatto che non essendo l’agricoltura un sistema chiuso, ma legato all’economia complessa di tutto il Paese, vi è comunque in agguato il rischio di un’ulteriore crisi che può essere alimentata dal sovrapporsi di altre potenziali problematiche.
Questa criticità non deve distogliere l’attenzione dagli altri fattori e servizi offerti dall’agricoltura, come quelli del comparto agroambientale che proprio in questo particolare momento possono risultare anche più evidenti e chiari nella loro valutazione ed importanza.
Uno di questi è l’equilibrio tra agricoltura e fauna selvatica: un delicato e complesso obiettivo da raggiungere e di alto valore ambientale, ma che può creare impatti negativi se sfugge al controllo e se soprattutto non viene adeguatamente mantenuto e gestito.
Da anni infatti gli agricoltori segnalano ingenti danni alle colture agricole ed alla zootecnia causati da diverse categorie faunistiche come grandi carnivori, ungulati, corvidi, turdidi, columbidi, piccola selvaggina ed altre ancora. Molte di queste specie sono d’interesse venatorio e pertanto un’adeguata e corretta attività di caccia programmata può potenzialmente contenere le popolazioni e limitare così gli impatti negativi all’agricoltura. Diverso è il caso per le specie faunistiche di non interesse venatorio, presenti in aree protette o che comunque sfuggono al controllo e che causano così ulteriori ed ingenti danni in agricoltura. Per queste categorie sono necessari dei piani di contenimento numerico che esulano dall’attività venatoria e vengono svolti da operatori individuati a norma di legge.
Manca purtroppo la quantificazione complessiva e precisa del danno a livello nazionale, poiché molti impatti da fauna selvatica sono difficili da valutare e soprattutto non vengono tutti denunciati dagli agricoltori a causa delle modeste quote di risarcimento messe a disposizione dalle amministrazioni locali competenti. Si presume tuttavia che l’ordine di grandezza del danno causato dalla fauna selvatica all’agricoltura a livello nazionale possa ammontare a diverse decine di milioni di euro all’anno. Si pensi infatti che nel 2019 la Coldiretti Lazio ha stimato tale danno nella propria regione in ben 7 milioni di euro.
Nell’attuale periodo di lockdown questo livello di danno potrebbe però risultare ancora più rilevante sia per il fatto che le popolazioni di fauna selvatica sono ora più tranquille, e possono così proliferare ed incrementare più facilmente, sia per il fatto che purtroppo l’attuale stagione agraria sarà sicuramente ridotta di produzione e pertanto anche se le popolazioni di fauna impattante non aumentassero di consistenza il danno alle colture risulterebbe proporzionalmente più elevato.
Il problema di tutto ciò è riconducibile alla base, in quanto queste problematiche vengono troppo spesso affrontate solo a livello di emergenza mentre è poco sentita l’esigenza di effettuare comunque e a prescindere una corretta gestione della fauna selvatica negli ambienti agrari. Gestione che va intesa come valorizzazione della componente faunistica di un territorio, di tutela e conservazione, ma al contempo anche di valutazione del suo impatto sostenibile ed eventuale riequilibrio con azioni antropiche dirette.
Argomentazioni che in questo periodo sono ulteriormente messe a rischio dall’emergenza COVID 19, che chiaramente pone l’attenzione su altre questioni di priorità sociale, e anche per gli attacchi della parte animalista dell’opinione pubblica che in questo periodo si sono intensificati (per esempio contro i ricorsi ai piani di controllo attivati dalle amministrazioni regionali per limitare i danni in agricoltura o per richieste immotivate di limitazione delle attività venatorie e commercio carni per motivi sanitari).
A tutto ciò si aggiunge un ulteriore problema che consiste nell’attuale riduzione della presenza e del presidio del territorio agroforestale da parte dell’uomo e delle conseguenti riduzioni delle buone pratiche di cura e conservazione del territorio. Già da tempo infatti l’agricoltura nazionale soffre nelle aree marginali di una economia al limite della sussistenza e che rischia così l’abbandono dell’attività e del presidio stesso del territorio.
Inoltre, questo lockdown potrebbe limitare anche l’attività del mondo venatorio, che in queste particolari aree svolge un’importante azione di supporto al mondo agricolo soprattutto mediante azioni di presenza e di intervento di riqualificazione e miglioramento ambientale.
Il rischio della perdita del presidio di un territorio e il riappropriarsi della natura di tali aree (es. ritorno del bosco al posto dell’agricoltura) non hanno inoltre sempre dei risvolti positivi per l’ambiente. Non è infatti scontato che nel breve periodo ci possa essere un incremento del valore naturalistico di un’area abbandonata come si potrebbe presupporre a priori. Vi sono esempi infatti di dinamiche di vegetazioni povere in qualità ambientali e con conseguenti regressioni di specie preziose o addirittura incremento di specie faunistiche opportuniste (es. cinghiale) che compromettono nel complesso l’intera biodiversità di un più ampio sistema territoriale.
Conclusioni - Questo particolare momento emergenziale del nostro Paese non ci deve far abbassare la guardia e l’attenzione sulle questioni ambientali e in particolare nei confronti dei nostri territori agro forestali.
Dobbiamo più che mai far promuovere il ruolo dei cacciatori nell’attività di presidio del territorio e soprattutto sulla necessità di avere una costante gestione della fauna selvatica a livello nazionale. Fauna selvatica che deve essere sempre più considerata come una ricchezza e un valore ambientale per una agricoltura sostenibile.
Emergenze come il COVID 19 sono infatti degli ulteriori segnali che ci fanno sempre più capire come siamo vulnerabili e dipendenti dalla natura e dal nostro ambiente. Per questi semplici motivi il cacciatore stesso dovrà essere sempre più consapevole del suo fondamentale ruolo di conservatore del territorio e per tale motivo sempre più vicino allo stesso mondo agricolo.
Ufficio Studi e Ricerche Faunistiche e Agro-ambientali