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Racconti di Caccia

5:40 Doc, Mino, dietro! La percezione del mondo si restringe ai pochi metri di luce del frontalino. Il trascorrer del tempo è scandito dal susseguirsi cadenzato dei passi sul sentiero, pensieri bislacchi s’intrecciano oggi nella mia testa, ieri sera c’è stato “fumo in baita”. E’ buio pesto, non mi son neppure accorto d’esser passato dalla Madonna delle nevi ma un’ave gliela dico lo stesso. Campello, Rosee, Le Banchelle un dopo l’altro gli alpeggi si sgranano come pater noster nel rosario dei passi. Una cacca di mosca! Sorrido, è quel che mi sento volgendo gli occhi al firmamento imbrillantato dal vento. Cavaccia, il cielo schiarisce dietro i crinali di Vasnera, lo sguardo abbraccia più ampi orizzonti. Fontana del prete, l’acqua più buona della valle, valida scusa per fermarsi ad ammirare lo spettacolo che Ottobre ha dipinto sui fianchi dei monti. Struggente nostalgia di A.Campo e delle notti di bivacco al punto d’appoggio. L’Erta.

I cani si staccan dal dietro filando naso all’aria verso l’alto, ”la solita pecora spersa...” e invece dalla sommità del forte declivio una volata di coturne si leva compatto e virando d’ala si infila a salire nell’orrido di un salto del torrente.  “Troppo pulito non avrebbero mai retto”. I cani ammatiscono sulle pasture tagliando la strada alla ritardataria che si butta verso il basso, l’attendo.. la colgo, Doc me la porge, faccio in modo che Mino condivida, l’annuso sotto l’ala. Lascio che i cani si sfoghino dopo ore di attesa, poi li richiamo al dietro: “oggi ho in mente le bianche”. Scanetti, Giare, quanti ricordi di caccia legati a questi luoghi, albe di caccia avvinghiati ai cani che raddrizzan le orecchie nell’udire lontane metalliche note salutare le prime luci del giorno. Lago di mezzo: “Viaa alè!” Ore e ore a romper l’ossa per valloni aspri sconvolti dai massi, giavine e morene, altane di verde smunto su pareti a picco. Tracce di sangue lasciate dai cani. Su un fazzoletto d’erba pungente adagiato su un pulpito di roccia mi godo un po’ di riposo e lo spettacolo dell’alta montagna in un tripudio di contrasti di luce e colori.

Vi son dei momenti in cui ho la netta sensazione che il paradiso sia lì, dove le cime più alte s’abbracciano col cielo. Poi ancora aspre rocce e placidi limpidi laghetti, lingue di neve in canalini dai toni azzurrini,macchie rosse di radi mirtilli su verdi tappeti di magri rododendri d’altura. Quando il sole s’appresta a scavalcare le cime d’occidente bisogna raggiungere in fretta un sentiero affinchè il passo, nei giochi di luce, resti sicuro. Giù, nel bosco, al ponticello di ferro che attraversa il torrente, la luce del frontalino rivela il sentiero sotto il manto di foglie ma non scioglie l’insidia delle dubbio d’aver “saltato” il bivio. L’ansia dell’arrivare muove i passi che la stanchezza vorrebbe fermare. Il suono del telefono mobile annuncia l’imminente ritorno al mondo moderno: Max ha fatto il suo gallo. Non vedo l’ora di togliermi gli scarponi, sono le 7:36 chiamo casa “Tutto bene sono alla macchina”.

Semper sù bel dri

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