Menu
RSS

facebooktwitteryoutubehuntingbook

Alessandro Bassignana

Alessandro Bassignana

Email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Perché la caccia deve interessarsi al lupo

Ieri il governo ha dato un primo assenso a quella parte del "Piano di conservazione e gestione del lupo in Italia", redatta dall'Unione Zoologica Italiana per conto del Ministero dell'Ambiente e presentata nel dicembre 2015.
Si tratta di un "sì" tecnico, cui dovrà seguire quello "politico" il 2 febbraio, e se anche questo arriverà non vorrà certo dire che in Italia...riapra la caccia al lupo! 
Non torneremo dunque a metter taglie sulla testa del predatore, come si faceva nell'Ottocento, esattamente 200 anni fa, pagando somme importanti per l'abbattimentodi una lupa (500 nuove lire), un lupo (400 lire) oppure un...lupicino (200 lire), ma quanto meno affronteremo il problema con maggior pragmatismo e meno fanatismo.
I lupi sono tornati a popolare la penisola, abbondanti come non sono mai stati nell'ultimo millenio, favoriti da una decisa ripresa di boschi e foreste e dall'esplosione numerica degli ungulati, anche loro al massimo degli ultimi secoli.
Noi l'abbiamo sempre scritto, precursori in questo di una battaglia che ora cercano di...cavalcare in molti, anche quelli che sino a poco tempo fa sbraitavano contro i pochi coraggiosi cacciatori che s'interessavano già ai lupi. 
 
Il lupo era argomento tabù, e questi soloni lo pontificavano in maniera perentoria: " la caccia stia lontana dai lupi, altrimenti la gente ci accuserà di volerli uccidere perchè li vediamo come competitori..." Questa ed altre amenità venivano ripetute ad ogni piè sospinto, ignorando come all'estero, e la Francia è l'esempio a noi più vicino, i cacciatori siano considerati indispensabili per affrontare questo problema, partecipino ai monitoraggi ed eseguano i piani di controllo.
I lupi sono tanti, ma noi nemmeno sappiamo quanti essi siano realmente, accontentandoci di stime numeriche che vengono regolarmente smentite da avvistamenti, predazioni, rinvenimenti di carcasse là dove nemmeno si pensava ci fossero. Noi quelle stime le abbiamo sempre contestate con forza, anche quelle contenute nel documento dell'Unione Zoologica.
Il lupo non va cacciato, bensì gestito come ogni altra specie che non sia a rischio d'estinzione e rischi di diventare, o già lo sia, problematica.
Noi abbiamo sempre affrontato il problema, e lo scrivente tanto come divulgatore di notizie sul suo sito web Cacciando, che come dirigente venatorio di Federcaccia Piemonte, bersagliato da numerose critiche, ma convinto che questa fosse la strada giusta.
La caccia deve interessarsi al lupo, prima di tutto rendendosi disponibile a monitorarli sul territorio, insieme al mondo agricolo e quello rurale, agli enti locali, alla scienza...ma quella vera rappresentata dalle Università e, perchè no, pure dall'ambientalismo illuminato, non fanatico.
In Piemonte abbiamo lanciato un progetto che va in questa direzione, ed abbiamo incontrato l'assessore ad Ambiente e Montagna insieme a questi nostri compagni di strada, chiedendo che del problema s'occupino le istituzioni, la politica, togliendone l'attuale gestione a parchi e..."progetti" assortiti, capaci questi sì di divorare montagne di quattrini, milioni d'euro, per poi darci risultati scadenti, numeri talmente assurdi da apparire ridicoli.
Basti pensare al caso del Piemonte dove gli "esperti" un anno fa ci raccontavano come vi fossero soli 80/90 lupi, divisi in 21 branchi (14 nella provincia di Cuneo, 7 in quella di Torino) e pochi soggetti isolati. Ebbene, nella regione subalpina in poco più di dodici mesi una ventina di loro sono stati recuperati tra boschi e specialmente sulle strade di montagna, collina, ma pure della pianura, dove questi grandi predatori carnivori vagavano liberi in cerca di prede o di compagni con cui formare nuovi branchi. Oltre il 20% del totale in un anno, quasi che gli automobilisti piemontesi potessero portare all'estinzione un animale sopravvissuto a secoli, se non millenni, di caccia e talvolta persecuzioni!
 
Le condizioni previste dal succitato "Piano" sono molto restrittive (si potrebbe arrivare ad uccidere il 5% della stima numerica minima, mentre gli animali crescono annualmente molto di più), ed in più richiedono anche l'assenso delle Regioni che dovranno decidere degli abbattimenti, tanto da pensare che difficilmente qualcosa si farà in tempi brevi, ma almeno la strada è stata aperta, e per la caccia v'è la possibilità di dimostrare come ormai la Natura non possa essere più lasciata a sé, ma vada regolata e gestita anch'essa. Dall'uomo!
Non dimentichiamoci mai che pure noi siamo animali, e che il lupo senza il nostro intervento non ha altri predatori naturali che possano controllarlo; questa in fondo è anche la sua difesa, la garanzia che questo splendido animale continui a sopravvivere nei nostri territori, certo ridotto nel numero, ma libero e selvaggio com'è sempre stato da che l'uomo ne sentì per la prima volta l'ululato.

Parliamo del setter inglese con Meo Cavaglià

Pubblichiamo un'intervista fatta alcuni anni da una rivista di caccia greca ad un grande setterman piemontese, cacciatore alpino e appassionato cinofilo, capace di vincere con i suoi cani tanto sui campi di gara della Grande Cerca, come in prove di lavoro quali il Campionato Europeo Montagna oppure Saladini Pilastri e Gramignani.
Si tratta di Bartolomeo Cavaglià, da tutti conosciuto come Meo, padrone di grandi cani quali sono stati Aspis, Boniek, Boss e Lupin.
 
Allora Meo, com'è nata la tua passione?
Cinquantaquattro anni fa in quel di Santena, provincia di Torino, nasceva un bambino come tanti altri, ma in realtà gravemente ammalato di un male incurabile: LA CACCIA!
Mio nonno e mio papà erano già cacciatori, in casa nostra ci sono sempre stati cani, fucili da caccia, stivali, cartuccere e quant’altro; come potevo proprio io…guarire da tale malattia congenita? 
Ad un certo punto della mia vita incontro Luigina, ci sposiamo e nascono Andrea e Davide e con loro condivido gioie e dolori della nostra passione.
 
Quando hai cominciato?
Le mie prime uscite di caccia le ricordo benissimo, con papà tutto il giorno nei boschi a correre dietro a quattro segugi scatenati alla  ricerca disperata dell’orecchiona; a fine cacciata si andava a  pranzo con i compagni di cacciata.
Che bei periodi, quanti bei ricordi ancora vivissimi in me. Se fatte bene le cacce sono tutte belle e tutte impegnative; sicuramente con il cane da ferma, di razze inglesi, le più classiche sono la starna in pianura e la coturnice in montagna.
Due specialità dove si possono valutare al massimo tutte le qualità venatorie e stilistiche di un soggetto.
 
Quali sono stati i tuoi primi cani?
Per il mio primo porto d’armi ( a 16 anni ) papà mi regalò una bellissima Pointer; di questa femmina ricordo le ferme statuarie e le strappate mozzafiato, ma tre o quattro anni passano in fretta e anche la gran cagna invecchia e mi rendo conto che il tempo stringe.
Un amico di papà mi propone un setter maschio ed il passo e’ fatto, da allora non ho mai più cambiato, anche se molto onestamente  il primo amore non si scorda mai e tutt’ora guardo e seguo i cugini inglesi a pelo raso  sempre con molto interesse.
Dal mio racconto e’ evidente che il primo artefice della mia grande passione è papà, il resto lo ha fatto il mondo che mi circondava, i racconti di caccia, i discorsi di papà con gli amici, i cani e le prime uscite in montagna con il mio caro amico Franco.
Il bosco, la selvaggina e la montagna per me fin da subito hanno avuto un fascino particolare,una voglia di scoprire e capire, il tempo poco a poco mi ha aiutato in tutto ciò.
 
E quindi alla fine sei arrivato al setter inglese?
La mia storia di setterman  inizia proprio con Aspis, un regalo del mio carissimo amico Marco Gerardo, a quei tempi proprietario di setter famosi quali Cris del Varo e Astel;di lui mi ricordo la prepotenza , il carattere esuberante e la facilità di andare a punto, doti che in carriera gli valsero oltre cinquanta tra C.A.C. e C.A.C.I.T in grande cerca.
Momenti importanti nella sua lunghissima carriera ne ricordo un infinità: le partecipazioni a Coppa Europa 1995, 1996 e 1997 coronata con la vittoria, il campionato europeo setter grande cerca 1998 e 1999 e non meno prestigiosa la vittoria della gara d’eccellenza del 1994 in Belgio vincendo un bellissimo barrage a quattro, una classica a quaglie dove lo presentai io e vinsi in barba a Lombardi, Taccon, Scipioni ecc.
Ricordo ancora quando d’estate lo portavo con me in montagna a fermare galli  forcelli per farlo divertire; peccato che tutto passi e…tutto finisca. 
 
Con Boniek hai vinto moltissimo, com' era quel cane?
Boniek, Paco per gli amici, un cane che come qualità migliore sicuramente ha avuto l’addestrabilità, la voglia di farmi contento, il voler fare sempre il giusto senza strafare, in definitiva un cane facile.
Paco non inventava nulla, ma non tralasciava niente. In tutte le gare, nei cinque anni di Saladini è sempre andato al richiamo, è andato fuori una sola volta per trascuro, e i Saladini vinti potrebbero essere quattro se al primo anno avessi fatto qualche gara in più: con solo due gare finì al secondo posto. Di lui ricordo un Grandissimo turno al campionato Europeo, con due richiami a seguire senza incontro, e ricordo ancora un grandissimo punto a caccia su di una beccaccia di rimessa in una faggeta.
La vittoria più importante è stata sicuramente quella ai fontanini di Foppolo  nel 2000, 1 ecc. cac  cacit  che gli valse il trofeo Saladini di quell’anno e allo stesso tempo la proclamazione a campione Italiano e Internazionale di Lavoro; un turno al cardiopalma con il suo eterno rivale, il grande Po, di Piero Cossali, davanti ai quali mi inchino tutt’ora, un signor cane e un grande gentleman della cinofilia venatoria.
Il conte Saladini quando istituì il trofeo aveva nel suo intento di poter selezionare i migliori cani da montagna giudicandoli su tutto l’arco alpino, con l’ausilio dei migliori giudici esperti di montagna.
Ditemi un po’ voi se l’attuale trofeo  rispecchia  ancora queste volontà?
Il mio pensiero è drastico, e ben diverso; io non sono abituato alle mezze misure e quest’anno per dimostrare il mio malcontento non ho partecipato nemmeno ad una gara; forse non sarà servito a nulla ma lamentarsi e fare i pecoroni non fa proprio parte del mio stile.
 
Quindi secondo te i cani da montagna hanno qualcosa in più?
Sono caratteristiche che accomunano tutti i grandi cani, di tutte le razze e per tutte le cacce. Non pensatevi che la caccia in montagna sia più difficile di altre, solo chi non ha mai cacciato la beccaccia inpaesata  e pasturona può pensare ciò.
Il cane da montagna può differenziarsi dagli altri cani per l’ardire e per l’intraprendenza, deve sapersi gestire gli spazi e controllare i pericoli. Quanti cani si sono ammazzati cacciando pernici bianche e coturnici con il terreno gelato!
 
Cosa deve fare un allevatore, od un amante della razza, per migliorare i suoi cani? 
Migliorarsi  non è mai facile, l’intento di chi fa una cucciolata é sempre quello di trovare almeno un soggetto che in tutto possa essere, se non superiore, almeno uguale al genitore; quando succede ciò si può già essere soddisfatti.
Secondo me ogni cacciatore nella veste di allevatore come prima cosa deve conoscere bene il peso di ciò che ha in mano, deve sapere a menadito tutti i pregi e difetti della sua femmina, della mamma e della nonna di quest’ultima.
Non credo nel singolo soggetto, ma su linee di sangue ben fissate, su famiglie di grandi cani, con dei denominatori comuni ben fissati, VENATICITA, MENTALITA’, VOGLIA DI SOFFRIRE, GRANDISSIMO RISPETTO DEL SELVATICO, ESSERE NATO CACCIATORE e possibilmente anche l’addestrabilità.
Dove attingere non ha importanza, bisogna andare a cercare ciò che manca alla nostra fattrice nello stallone prescelto, e nella speranza che la legge della compensazione si attui, anche se in genetica non vi e’ mai nulla di certo, sarebbe troppo facile… il campione, o meglio il grande cane non ha importanza se e’ un montanaro, un trailer, oppure un gabbiarolo, l’importante e’ che non sia costruito, ma  il più naturale possibile.
Io personalmente lo stallone lo scelgo giovanissimo, quando esterna tutte le sue qualità naturali, tutto il suo bagaglio venatorio ed e’ il più possibile aderente allo standard di razza.
 
E tu come ti comporti quando scegli una femmina per i tuoi stalloni?
A questo punto e’ molto facile ripetersi, sono cose già dette più volte da tutti, in cinofilia l’acqua calda nessuno la inventa più; io come prima cosa guardo le linee di sangue, e sono del parere che i più grandi risultati si ottengono quando si lavora con uno stretto grado di parentela. Molto importante e’ il carattere dei riproduttori e ovviamente evitare tutte le tare genetiche. Su alcune cose proprio non transigo, prognatismo, displasia e depigmentazione, quest’ultima molto meno grave, ma comunque sempre una tare che tra l’altro tutti vedono.
Negli anni ho sempre usato tutti i miei cani in riproduzione, ognuno di loro mi ha lasciato un dono tangibile, ora a distanza di venti anni e con cinque generazioni di cani alle spalle posso dire di avere il frutto più bello, più prezioso: LUPIN DELLO ZORINO, un bel soggetto tricolore con una qualità eccelsa. Il galoppo è potente e accettabile, la sua presa di punto,  la sua guidata o accostata che si voglia dire e la sua cattiveria in ferma sono veramente punti di forza.
E’ un cacciatore instancabile che caccia con la bramosia del predatore, la sua passione non ha limiti, e’ il suo comportamento nelle azioni di caccia lo differenzia da ogni altro soggetto che ho avuto.
Fortunatamente in riproduzione ci sta dando dei grandi soggetti, speriamo di riuscire a ripeterlo e, perché no, a migliorarlo.
Lupin dello Zorino 
 
Il fatto che in Italia, salvo alcune eccezioni, manchino autentici selvatici ha creato problemi alla selezione dei cani?
La mancanza di selvaggina più che condizionare il cane da caccia ha condizionato i cacciatori; quanti sono ancora in Italia  quelle persone che nel segno di Diana passano il giorno dietro alla coda di un setter nella speranza di vedere una bellissima azione su di una beccaccia o su di un volo di coturnici, è molto più semplice andare nelle riserve dove proliferano i pronta caccia, e d’altronde la maggior parte dei cani proclamati campioni di lavoro oggi giorno lo è proprio su questo tipo di selvaggina.
 
Come saluti i cacciatori greci?
Miei cari amici greci vi dico solo questo: avete una fortuna enorme, terreni da favola, tanta selvaggina e tutta con la S maiuscola.  
Godetevela e pensate che tutto ciò che sa fare un grande cane da caccia lo può fare UN GRANDE SETTER; se vi rendete conto che vi manca ancora qualche cosa per dipingere il grande quadro della caccia rivolgetevi a chi pensate la sappia più lunga di voi, nella cinofilia e nella caccia, cosi pure nella vita c’è sempre da imparare.
Occhio che quello dei cani è un mondo pieno di truffaldini e accomodatori, cercatevi una persona seria, meglio ancora un amico, e collaborate con lui, i risultati prima o poi arriveranno.
Ora vi saluto e perdonatemi se vi ho stufato con le mie fantasie, ma sono alcune delle cose che dopo quarant’anni di caccia e cinofilia mi stanno più a cuore.
                                                               

CROAZIA: I LUPI FANNO STRAGE DI CANI

Spinti dalla fame e dal clima rigido, con gelo e neve, un branco di lupi ha fatto strage di cani, divorandone cinque e ferendone un sesto.
E' accaduto giovedì scorso in Dalmazia nei dintorni di Imotski, una cittadina vicina a Spalato, e più precisamente nel piccolo villaggio di Gudelji.
I cani uccisi erano di Hrvatin Gudelj, un ex calciatore di Hajduk Spalato e Borussia Dortmund, appassionato cacciatore.
L'attacco dei lupi, almeno cinque, è stato fulmineo e per i cani non c'è stato nulla da fare, ed in meno di dieci minuti segugi istriani e posavatz sono stati sbranati dalle belve.
L'episodio non è nuovo in zona, ma questa volta è avvenuto di giorno, alle 7,30, e quando i bambini si stavano preparando per andare a scuola.
I lupi in Croazia sono stati cacciati sino al 1994, ma dall'anno successivo protetti e stanno crescendo di numero.
Molte le predazioni ormai, e non solo di bestiame domestico, tanto che in questi ultimi due anni sarebbero oltre sessanta i cani da caccia finiti nelle pance dei famelici predatori.

Cacciare i calvi di capriolo in inverno

“Cacciare i calvi in inverno…”, la prima volta che ebbi a sentirlo rimasi interdetto.
I calvi, e perché mai? Cos’hanno fatto? E chi sono i calvi? In inverno poi?
Tutto questo, più o meno in quei toni, lo chiesi molti anni fa all’amico che ne parlava e alle mie sciocchezze sembrava più disgustato che divertito, ma volle comunque spiegarmi come per “calvi, nel caso, andassero intesi femmine e piccoli di capriolo, notoriamente privi di palco.
Non ch’ignorassi come sia il solo maschio adulto di capriolo a portare trofeo, caduco, ma per me che appena m’affacciavo alla caccia di selezione in un comparto alpino il problema non si poneva in quei termini, perché in Zona Alpi la stagione di caccia si svolgeva in periodi differenti da quelli della fascia appenninica e dunque in inverno dalle mie parti le carabine…tacevano!
Dove cacciavo all’epoca, e caccio tutt’ora, il Comprensorio Alpino Torino 1, il capriolo lo si poteva abbattere solo a partire da metà settembre, e complessivamente per due soli mesi l’anno, con il rischio che si trovassero maschi che avevano già deposto il palco (ricordiamo qui come le…"corna"- termine impropriamente usato da molti per indicare i palchi- comincino a cadere all’inizio dell’autunno nei soggetti più anziani, per proseguire tutto ottobre e talvolta sino a novembre per i maschi più giovani), femmine allattanti o piccoli ancora…troppo piccoli per sopravvivere una volta rimasti senza madre.
In realtà in quasi o tutti i CA diventerebbe impossibile cacciare in pieno inverno, a causa dell’eccessivo innevamento che penalizzerebbe troppo gli animali oltre al fatto di favorire gli sport invernali rendendo piuttosto…trafficato il territorio; allo stesso modo, ma per ragioni che nulla hanno di scientifico, si rinuncia a cacciare i maschi adulti nel periodo estivo, con monti e foreste alpine che pullulano  di turisti ed escursionisti,  come viceversa consiglierebbero le regole della sana gestione di fauna ed attività venatoria.
Negli ATC di pianura e collina il discorso cambia, e così molti di questi consentono il prelievo degli ungulati, già a partire da giugno, quando si possono abbattere i caprioli maschi adulti, riservando a femmine e piccoli il periodo invernale.
Dunque quando ormai i cacciatori alpini hanno riposto le loro carabine negli armadietti blindati dove resteranno sino al settembre successivo, altri loro colleghi le tirano nuovamente fuori, potendole usare generalmente dai primi di gennaio fino a metà marzo.
Quest’esperienza ancora mi mancava, ed era lacuna da colmare al più presto, quantomeno come spettatore.
L’occasione arrivò con l’invito di un amico che cacciava il capriolo sull’Appennino Ligure-Piemontese, nella provincia di Alessandria.
Ovviamente la nostra ricerca avrebbe riguardato i soli…calvi, e cioè le femmine o i piccoli, giacché i maschi erano stati cacciati durante la stagione estiva.
Distinguere maschio e femmina di capriolo adulti quando il primo ha già deposto il trofeo è difficile ma non impossibile, specialmente se si dispone di ottiche di buona qualità.
A parte la struttura fisica, più massiccia ed imponente per il maschio, o la visione del “pennello”, peli prepuziali che sono piuttosto visibili anche a lunga distanza, esiste lo “specchio anale”, una grossa chiazza bianca che gli animali hanno sul posteriore e, quando il manto s’è infoltito e fatto bruno-marrone per l’inverno, spicca con particolare evidenza.
Il maschio lo ha a forma di cece, mentre per la femmina si parla di una forma…a cuore, a causa di un ciuffo di peli, anch’essi bianchi e definiti “falsa coda”, che scendono all’esterno vulva, verso il basso.
A gennaio poi nei maschi è già iniziata la ricrescita dei palchi che, pur se ricoperti del famoso “velluto”, risultano ben visibili.
In ogni caso questo periodo sembrerebbe essere quello più corretto dal punto vista scientifico-gestionale per procedere al prelievo di femmine e piccoli; infatti le prime, pur se pregne (la gran parte di queste sono state “coperte” dai maschi in agosto), saranno ancora piuttosto lontane dal parto (ricordiamo come la gestazione del capriolo duri circa…nove mesi e mezzo; infatti l'ovulo, una volta fecondato, si impianta nell'utero materno, ma rimane quiescente fino a dicembre, quando riprende a svilupparsi. Questa caratteristica viene detta ovoimplantazione differita), mentre i secondi ormai cresciuti a sufficienza per badare da soli a sé stessi.
La legge consente quasi ovunque di cacciare l’ungulato anche su terreno coperto di neve, ma le ultime annate, caratterizzate da inverni secchi e con temperature d’alcuni gradi superiori alla media, di fiocchi bianchi ne hanno regalati ben pochi, spesso verso la fine dell’inverno, limitando anche le gelate a pochi giorni in tutta la stagione.
Sistemi per cacciare proficuamente il capriolo ve ne sono alcuni, ma, escluso quelli che prevede l’uso del segugio vietato in gran parte del territorio italiano e consentito nel solo Friuli Venezia Giulia, da noi due risultano essere quelli praticati con maggior frequenza: cerca e appostamento.
Il piccolo cervide è animale territoriale e pure piuttosto abitudinario, e dunque la conoscenza del territorio diventa molto importante per garantire il successo di quella caccia.
Appostarsi quand’ancora è buio, o farlo prima che il vespro ammanti tutto quanto, spesso offre l’occasione di sparare, ma sempre che si conosca bene la zona dove gli animali si ritirano dopo aver mangiato per uscire nuovamente quando debbono alimentarsi nuovamente.
Va infatti ricordato come il capriolo sia un ruminante brucatore ma, date le modeste dimensioni del suo stomaco in proporzione a quelle corporee, debba nutrirsi più volte al giorno, selezionando vegetali particolarmente ricchi di nutrimento, quali gemme, fiori e frutti.
In inverno il capriolo ha mutato di mantello, e quel rosso che ne faceva…folletto dei boschi, è ora diventato bruno-marrone, rendendolo mimetico nell’intrico della foresta o negli spenti colori autunnali e invernali.
In compenso gli alberi hanno spogliato del loro fitto fogliame e così la ricerca degli animali risulta agevolata rispetto a quando a chi s’intrufolava nel bosco si parava avanti a lui un muro verde inestricabile e insuperabile.
L’appostamento prevede si seguano le solite norme di prudenza e silenzio, al fine di non vanificare la lunga attesa con il proprio comportamento chiassoso.
Il capriolo infatti, come tutti gli altri ungulati selvatici, è dotato di sensi acutissimi, in particolar modo udito e olfatto, mentre la vista lo è molto meno, seppur percezioni visive congiunte a quelle acustiche od olfattive l’allarmino immediatamente, facendolo sparire alla nostra vista in un batter d’occhio.
Nel periodo invernale i caprioli vivono in piccoli gruppetti formati da femmine, piccoli (che ormai tanto piccoli non sono) e pure i maschi, tutti riuniti a formare il branco; molte paia d’orecchie, occhi e narici pronte a captare ogni tipo di messaggio trasportato dall’aria gelida che spira nei boschi invernali.
Appostarsi vuol dire sapere che l’animale potrà uscire con le prime luci oppure quando queste sono ormai morenti, rendendo le sagome dei piccoli cervidi difficili da distinguere alla perfezione; ecco perché il cacciatore che insidi il capriolo in queste condizioni deve essere fornito di buone ottiche, luminose, tanto per l’osservazione che lo sparo.
Un binocolo che abbia il numero giusto d’ingrandimenti, senza eccedere, come il 7x42, uno dei classici da cerca, oppure anche i modernissimi 8x30 e 10x30 che seppur dotati di un’inferiore pupilla d’uscita uniscono alla leggerezza una buona capacità di lettura dei dettagli, per arrivare a dei veri e propri “must” come l’8,5x42 o l’8x42 o a quelli dotati di lente frontale da 50 e 56 mm, capaci di regalare qualche minuto in più d’osservazione. Negli ultimi anni sono usciti binocoli dotati di lenti HD (High Definition), in grado di compensare alle aberrazioni cromatiche, insieme ad altri gioielli leggerissimi, con corpo in magnesio, o dotati di telemetro, consentendo così al cacciatore d’avere in un unico strumento due funzioni essenziali per la caccia, come l’individuazione del soggetto e la misurazione della sua distanza.
Per cacciare il capriolo nel bosco non serve avere sull’arma un cannocchiale dotato di elevati ingrandimenti, anzi in molti ATC o CA nemmeno viene ritenuta obbligatoria l’ottica montata sulla carabina; ad ogni buon conto è sempre meglio esserne dotati, anche ad evitare tiri improvvisati e che possano causare ferimenti invece di abbattimenti immediati e puliti.
Se poi lo si caccia alla cerca la distanza potrà essere di poche decine di metri, con tiri abbastanza improvvisi, così come superiore ai cento o duecento metri e quindi un’ottica variabile come il 3-9x40, o addirittura un performante 1,5-10x42, potrebbe essere più che sufficiente a coprire tutta la gamma di opportunità; ma anche il fisso ha i suoi aficionados che non vi rinuncerebbero mai, come il sottoscritto uso a cacciare il capriolo con un basculante ed un onestissimo 6x40 montato sopra, connubio leggero e pratico. L’uso dello spetkive, il classico “lungo”, non appare così determinante come lo è per altri tipi di caccia all’ungulato, come il camoscio, specialmente se si pratica un’attività venatoria di movimento.
Per quanto concerne il calibro va tenuto presente che si deve sparare ad un animale che mediamente pesa dai venti ai trenta chili e dunque non serve eccedere in potenza, partendo da quelli che la legge considera i minimi utilizzabili, e cioè il 6 mm (infatti molti ATC o CA vietano l’uso di calibri inferiori, sebbene alcuni di questi sarebbero molto adatti come il 223 Remington, il 22-250 o il 5,6x50).
Molto indicati risultano il 243 W, mio preferito e da molti considerato la scelta ideale per il piccolo cervide, il 240 Weatherby Magnum, il 6x62 Frères, il 6,5x 55 o la sua versione con collarino 6,5x57 e salendo di calibro il 270 W o il 7x64, mentre gli altri 7 energetici come il 7 mm RM o, salendo ancora di diametro, il 30-06 o il 308 W, pur questi must della balistica venatoria, francamente paiono eccessivi, e al più potrebbero essere utilizzati scegliendo la palla giusta (pesante e dura).
Quando andai ad accompagnare l’amico che aveva da fare il “pacchetto” completo, e cioè la possibilità di abbattere tanto il piccolo che la femmina adulta, il nuovo anno era iniziato da pochi giorni e per me che, cacciatore alpino, avevo smesso con la carabina da oltre due mesi, fu emozionante.
Muovendoci per quelle stradine dell’Alto Monferrato, da poco inserita insieme alle Langhe nel Patrimonio Mondiale dell’Unesco, i fari del fuoristrada cominciarono ad illuminare le sagome degli animali che muovevano nell’oscurità, facendone brillare gli occhi ogni qualvolta il fascio luminoso usciva dal manto asfaltato e s’estendeva fianco strada. Un velo di neve ancor presente sul terreno li faceva individuare ancor meglio.
I caprioli c’erano, eccome se c’erano, ma sembravano tutti molto attenti, prudentissimi e stranamente molti prossimi ad abitazioni o strade; comportamento inusuale ma tutt’altro che inspiegabile per chi sa cosa stia accedendo da quelle parti. Infatti in quelle zone negli ultimi anni è riapparso un antico abitatore, combattuto per secoli sino a farlo sparire da tutto il nord Italia: il lupo! 
Il formidabile predatore ha fatto la sua ricomparsa dapprima sull’arco alpino occidentale e poi, via via diffondendosi, è giunto anche sull’appennino Ligure-Piemontese dove sembra siano presenti diversi branchi.
Non disquisiremo qui sulle cause della sua espansione, ma resta il fatto che il lupo è ormai realtà presente; e poiché…Ezechiele non è vegano, e nemmeno onnivoro ma esclusivamente carnivoro, il capriolo è entrato a far parte della sua dieta abituale.
I boschi appenninici sono territorio prediletto di caccia per il lupo, e molte sono le predazioni, e dunque anche gli ungulati selvatici hanno preso le contromisure, allertando al massimo i loro sensi, e rendendo più impegnativa la caccia.

CACCIA / EUROPARLAMENTARI INCONTRANO ASSOCIAZIONI VENATORIE. “EUROPA E GOVERNO ITALIANO LAVORINO PER RISOLVERE CONTRADDIZIONI REGOLE TRA PAESI. VALORIZZARE DATI SCIENTIFICI”.

COMUNICATO STAMPA
 
Da Bruxelles a Milano, continua l’impegno sui temi venatori degli europarlamentari, Lara Comi, Renata Briano, Salvatore Cicu, Paolo De Castro, Remo Sernagiotto e Damiano Zoffoli. Questa mattina nel capoluogo lombardo si è tenuto un incontro con tutte le associazioni venatorie nazionali. Scopo della riunione chiarire lo stato attuale di alcune problematiche, con particolare riferimento ai temi dello storno e dei calendari venatori, e decidere insieme un percorso condiviso con le associazioni. 
“Apparteniamo a gruppi politici diversi a Bruxelles – dichiarano congiuntamente Comi, Briano, Cicu, De Castro, Sernagiotto e Zoffoli – ma siamo uniti per affrontare problemi che coinvolgono il nostro Paese. Siamo soddisfatti della posizione condivisa che sarà fondamentale per cercare di ottenere risposte chiare”.
I sei eurodeputati in accordo con le associazioni venatorie, scriveranno ai commissari europei Frans Timmermans e Karmenu Vella chiedendo di considerare le peculiarità dei vari territori nell’applicazione del piano d’azione annunciato dalla Commissione europea in seguito alla conclusione del cosiddetto Fitness Check. In particolare verrà chiesto di risolvere le attuali contraddizioni esistenti tra gli Stati membri, soprattutto tra quelli con caratteristiche ambientali e climatiche simili. Si pensi ad esempio allo storno, specie cacciabile in Francia, ma non in Italia, oppure ai calendari venatori, aventi date di chiusura differenti in Paesi confinanti.  
E al ministro Galletti chiederanno di lavorare nella stessa direzione e di affrontare con forza le stesse problematiche in modo coordinato con le istituzioni europee.  Sempre al ministro verrà chiesto di tenere conto dei dati scientifici forniti dall’Ispra che non sono in linea con quelli di altre istituzioni scientifiche europee.

Normative

Ambiente

Enogastronomia

Attrezzatura