LO STAMBECCO SULLE ALPI LOMBARDE, UN PROGETTO DIMENTICATO
- Scritto da Marco Fiore
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Correvano gli anni 80 ed alcuni pionieri della biodiversità (termine allora ancora sconosciuto) si avventurarono in un progetto tanto ambizioso quanto impegnativo, utilizzando i computer dell’epoca (leggi cervello, modelli matematici, mani e calcolatrici!).
Di cosa stiamo parlando? Della reimmissione sulle alpi Orobie di una specie iconica, frequentatrice stabile di altitudini elevate e di rocce impervie e scoscese, che da almeno cinquant’anni aveva visto il suo totale declino: lo stambecco.
Il visionario fu il compianto prof. Guido Tosi che, con il supporto di alcuni studenti (allora), di Regione Lombardia, di esperti tecnici faunistici ed un manipolo di volontari, tornarono ad immettere in aree appositamente scelte per le loro caratteristiche, le Alpi Orobie appunto, una novantina di esemplari: più esattamente 45 maschi e 45 femmine, provenienti dal Parco del Gran Paradiso, allora quasi l’unico custode in Italia di questa specie.
Eugenio Carlini, esperto in conservazione della fauna e gestione faunistico-venatoria, docente all’Università dell’Insubria e Amministratore dell’Istituto Oikos impresa sociale (uno degli studenti che partecipò allora al gruppo di lavoro), non solo è fra i pochi a rappresentare ancora la memoria storica, ma continua il lavoro di monitoraggio dello stambecco sulle Orobie. A lui devo la raccolta di gran parte delle informazioni contenute in questo articolo.
Perché questo progetto d’avanguardia? Alcuni cenni storici.
Lo stambecco ha vissuto momenti drammatici, in particolare nel 1821 in tutto l’arco Alpino erano rimasti meno di 100 esemplari e solo nel Gruppo del Gran Paradiso. Nel 1856 Vittorio Emanuele II dichiara Riserva Reale di Caccia le montagne del Gran Paradiso, istituisce un corpo di guardie specializzate e fa costruire sentieri e mulattiere, che ancora oggi costituiscono la migliore ossatura viaria per la protezione della fauna da parte dei guardaparco e formano il nucleo dei percorsi escursionistici.
Nel 1919 il re Vittorio Emanuele III si dichiarò disposto a regalare allo Stato italiano i 2100 ettari della riserva di caccia, purché vi creasse un parco nazionale ed il 3 dicembre 1922 veniva istituito il Parco Nazionale del Gran Paradiso, il primo parco nazionale italiano.
il verificarsi della Seconda guerra mondiale fece precipitare di nuovo la popolazione di stambecchi: nel 1945 si contavano solo 416 capi. Fu grazie alla tenacia e all'impegno del Commissario Straordinario Renzo Videsott se le sorti del parco si risollevarono e lo stambecco si salvò nuovamente dall'estinzione: l'area protetta, infatti, grazie al decreto De Nicola ed il 5 agosto 1947 venne definitivamente affidata alla gestione di un ente autonomo.
Da quel nucleo residuo ebbero poi origine quasi tutte le colonie di stambecco presenti sulle Alpi.
Nel periodo 1948 – 1983 iniziarono le prime immissioni di stambecco in altre aree, gli studi di allora potrebbero essere definiti di “buon senso” più che scientifici e solo tra il 1984 ed il 2005 cominciarono ad essere utilizzati i criteri della “Biologia della Conservazione”. È proprio in questi anni che prende l’avvio il rilascio di alcuni stambecchi sulle Orobie, areale ritenuto, in base alle valutazioni oggettive, l’habitat con le maggiori probabilità di adattamento della specie.
Il progetto prosegue fino al 2008 ed i risultati dei censimenti confermano il successo ottenuto
Successivamente, dopo vent’anni, sule alpi lombarde il lavoro si interrompe, se si escludono valutazioni specifiche nel Parco Nazionale dello Stelvio e sulle Alpi Orobie. Arci Caccia, al di là degli stereotipi e della disinformazione (direi spesso menzogne) che circolano intorno all’attività venatoria, si fa promotrice della tutela di una specie, per la quale non si invoca il possibile abbattimento, ma la conservazione.
Deve invece stupire che un’associazione venatoria si senta responsabile di questo principio, che sembrerebbe essere piuttosto un obiettivo di animalisti e ambientalisti, i quali diversamente spendono energie e denaro per altri fini, frequentemente effimeri e poco misurabili, ma di grande impatto mediatico.
Oggi riteniamo sia giunto il momento di riportare l’attenzione su questa specie iconica delle Alpi con l’obiettivo di mantenere la popolazione vitale e non disperdere il grande lavoro fatto negli anni.
Sarebbe necessario
• valutare la consistenza numerica degli individui, la struttura per sesso ed età delle diverse popolazioni
• effettuare un monitoraggio genetico.
Infatti, la variabilità genetica di una colonia è fondamentale per aumentare la sopravvivenza a lungo termine della stessa e prevenire l'insorgenza di epidemie (come la rogna sarcoptica e la cheratocongiuntivite) che potrebbero decimare i nuclei esistenti. La conferma di quanto sia irrinunciabile questa ripresa dei lavori viene proprio dall’analisi dei dati del monitoraggio, coordinato dal dott. Carlini, effettuato nel secondo semestre 2024 sui due versanti del parco delle Orobie (Orobico e Valtellinese), che ratifica il grande risultato raggiunto in termini di incremento delle popolazioni.
Evoluzione della popolazione 2004 – 2008 – 2024 per classi di età
Viene per altro convalidato il raggiungimento di un altro obiettivo; nelle Orobie si è raggiunta la minima meta popolazione che il progetto iniziale, nello spazio temporale di 35/40 anni, aveva stimato di 1.400 individui. Infatti, l’ultimo censimento conta 1.280 animali (escludendo 200 piccoli), numero che ne garantisce la sopravvivenza.
Si aprono contemporaneamente scenari nuovi, che hanno la necessità di essere analizzati a fondo, a partire dalle conseguenze di un innalzamento delle temperature, che per una specie evolutasi per sopportare condizioni termiche molto basse potrebbe rappresentare un ostacolo impattante, anche perché, se ora sopperiscono salendo di quota, quando ciò risultasse impossibile, che accadrebbe?
Già oggi si ipotizza che primavere precoci possano non garantire la sopravvivenza dei capretti, i quali continuando a nascere in principio dell’estate, si troverebbero a brucare essenze mature ormai prive di quegli oligoelementi essenziali a sviluppare le minime coperture immunitarie necessarie a superare indenni malattie apparentemente banali come un'infezione a carico delle vie aeree superiori.
Rendere operativo questo progetto potrebbe inoltre portare altri benefici collaterali, come, ad esempio, sostenere l’economia delle aree montane favorendo quel turismo ambientale che spinge le comunità metropolitane alla scoperta di mondi di norma conosciuti solo attraverso documentari.
Cercheremo si sensibilizzare le istituzioni competenti richiamando l’attenzione su queste riflessioni, nella speranza che risorse europee possano essere impiegate nella sua realizzazione.
Fonte dati:
Parco Orobie Bergamasche - Monitoraggio 2024
Ispra: - Linee guida per la gestione degli ungulati
Provincia di Sondrio: - Piano di conservazione, diffusione e gestione dello
stambecco sull’arco alpino
UNCZA - Progetto stambecco
Prov Autonoma di BZ - Piano gestione stambecco 2022-26