5 Stelle e la legge sulla caccia
- Scritto da Alessandro Bassignana
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Grande scalpore ha destato in questi giorni la notizia che in Piemonte vi sarebbe una proposta di legge regionale sulla caccia depositata dal Movimento 5 Stelle, e che definir restrittiva sarebbe puro eufemismo perché questa di fatto decreterebbe la fine della caccia nella regione subalpina.
La notizia non è nuova, ma qui è opportuno fare chiarezza, facendo il punto sulla situazione della legge piemontese sull’attività venatoria.
È noto a tutti come il Piemonte sia privo di legge regionale sulla caccia, e questo dal 2012 quando la giunta di centrodestra, guidata dal leghista Cota, abrogò la l.r. 70/96 che sino a quel momento aveva regolato la materia.
La ragione che aveva spinto a quella soluzione estrema era quella di scongiurare un referendum sulla caccia accolto dalla Cassazione a ben 25 anni dalla raccolta delle firme.
Il quesito referendario non era volto all’abrogazione totale della caccia in Piemonte, e nemmeno avrebbe potuto esserlo essendo l’attività venatoria consentita da leggi dello Stato Italiano, ma l’avrebbe limitata fortemente, riducendola nei tempi e nei modi, escludendo la domenica e consentendo il prelievo di sole quattro specie: lepre, fagiano, cinghiale e colino della Virginia.
Venne fissata anche la data, tanto che il referendum avrebbe dovuto svolgersi il 3 giugno 2012.
In verità molto difficilmente si sarebbe potuto raggiungere il quorum necessario a rendere valido il risultato, e cioè metà degli aventi diritto al voto più uno, ma ci si appellò al risparmio di una ventina di milioni d’euro e così s’abrogò la legge, togliendo con un colpo di spugna dal campo l’oggetto del contendere.
Nella peggior tradizione della politica italiana la pezza fu peggiore del buco che doveva coprire, perché il Piemonte rimase senza legge e la maggioranza non seppe farne una nuova in tempo utile, mandata a casa anzitempo da TAR Piemonte e Consiglio di Stato per una questione di firme false.
A raccontarla tutta anche l’amministrazione attuale, quella di Sergio Chiamparino, è stata travolta da analogo scandalo di firme false, ma questa volta il Tribunale Amministrativo ha deciso diversamente, e così per ora continua a governare tra le polemiche dell’opposizione.
Com’è come non è, sta di fatto che i cacciatori piemontesi privi di legge regionale furono costretti a cacciare con la legge nazionale, la 157/92.
Per un paio d’anni ai nembrottini piemontesi tutto sembrò funzionare alla perfezione, perché la legge nazionale 157/92 era decisamente più vantaggiosa rispetto all’abrogata 70/96, ma la 157/92 è una “legge quadro”, ed esiste l’obbligo per le Regioni di legiferare in materia.
E così la palla è finita nel campo della nuova maggioranza di centrosinistra, che nel 2014 vinse le elezioni, e tocca ora all’assessore Giorgio Ferrero giocarla, portando al voto del Consiglio Regionale la nuova legge sulla caccia.
I disegni di legge su cui sta lavorando la Commissione sono tre: uno presentato dalla maggioranza di centrosinistra, l’altro del centrodestra all’opposizione, e il terzo, per l’appunto, dei 5 Stelle.
In realtà loro null’altro hanno fatto che recepire il famoso quesito referendario, togliendo in più dalle specie cacciabili il colino della Virginia perché nel frattempo, e cioè da quando nel 1987 furono raccolte le firme, è stato vietato dalla legge nazionale.
Si tratta dunque di una proposta “provocatoria”, e non certo frutto dell’accurato lavoro di eccelse menti presenti tra i novelli legislatori, selezionati e votati sul web da qualche manciata naviganti; un ddl definito “irricevibile” da quelle Associazioni Venatorie riconosciute (FIDC, Enalcaccia, ANLC, EPS, ANUU) che subito si sono schierate contro la folle proposta grillina.
Chi scrive era presente all’audizione in Regione con le parti coinvolte (mondo venatorio, agricolo, ambientalisti), e fu delegato a parlare proprio a nome delle cinque associazioni.
Come andrà a finire non è certo dato saperlo, anche perché l’assessore Ferrero reduce da brucianti sconfitte contro il mondo venatorio sembrerebbe pronto a farla pagar cara ai cacciatori e da tempo minaccia accordi con i grillini sulla caccia, o l’inserimento in legge di divieti o norme sulle quali ancora si debbono esprimere ancora il TAR e addirittura la Corte Costituzionale.
In Piemonte siamo ormai abituati alle prepotenze e persecuzioni della politica, ma la sensazione di chi frequenta il “Palazzo” è che su quella materia in passato più d’uno si sia fatto molto male, e che dunque difficilmente si riuscirà a votarla prima di fine legislatura prevista nella primavera del 2019, anche perché la maggioranza sembra molto spaccata al suo interno.
Se poi guardiamo con obiettività a tutto il nostro panorama politico per la caccia in generale non c’è molto di cui gioire: forse con l’eccezione di Lega e Fratelli d’Italia, che non sembrano ostili al nostro mondo, da una parte abbiamo i pentastellati di cui v’abbiamo appena raccontato, ma dall’altra, all’opposto il…rinascente uomo di Arcore, ormai avvinghiato alla “rossa pasionaria” nella sua pazzesca battaglia animalista.
In mezzo c’è il PD, che su quegli argomenti non dimostra d’essere né carne e nemmeno pesce, ma specialmente in forte difficoltà e con un netto calo dei consensi un po’ ovunque.
Un’ancora di salvezza può giungerci dall’Europa, dove la caccia è ancora vista come attività lecita, e chi la pratica non viene giudicato un pericoloso criminale.
Per la caccia…mala tempora currunt e non solo in Piemonte, ma, per favore, non fasciamoci la testa troppo presto!