Diversi fattori concomitanti possono determinare lo scambio di patogeni tra animali e uomo, ma lasciare abbandonata a se stessa la Natura non è sinonimo di garanzia che ciò non avvenga
Roma, 24 aprile 2020 - Durante questo drammatico periodo che vede tutti noi lottare contro il Covid-19, agente causale della pandemia da coronavirus, si discute del ruolo che la fauna selvatica può avere nel determinare la comparsa di nuovi patogeni in grado di infettare anche l’uomo.
Crediamo che, nonostante il popolo italiano si sia scoperto brulicante di virologi e epidemiologici, debba essere fatto un po’ di ordine, in primis definendo cosa siano le zoonosi, cioè una qualsiasi malattia infettiva che può essere trasmessa dagli animali, selvatici e domestici, all’uomo.
È un dato da tempo assodato che le zoonosi originanti dalla fauna selvatica rappresentano una minaccia significativa per la salute umana globale e la crescita economica, e combattere la loro comparsa dovrebbe essere da tempo una priorità per la salute pubblica. A supporto di ciò, deve essere considerato che più del 60% delle malattie infettive umane sono causate da agenti patogeni condivisi con animali selvatici o domestici. Circa l’80% dei virus, il 50% dei batteri, il 40% dei funghi, il 70% dei protozoi e il 95% degli elminti che infettano gli esseri umani sono zoonotici. Tuttavia, la nostra comprensione dei meccanismi alla base del loro emergere rimane elementare.
I ricercatori partono da una semplice considerazione: il minimo comune denominatore di tutte queste patologie è indubbiamente la trasmissione animale. La maggior pare delle malattie zoonotiche diffuse a livello mondiale (Covid-19, Sars, Nipha virus, Ebola, Aids etc.) derivano da un’interazione più o meno diretta all’interno di ambienti in rapido cambiamento fra animali selvatici, animali domestici e uomo. Ne è da esempio il virus dell’Hiv-1, meglio conosciuto come Aids, emerso da scimpanzé in Africa e trasmesso ripetutamente sugli esseri umani prima della sua diffusione globale. La fase iniziale dell’emergenza è stata verosimilmente dovuta alla caccia di sussistenza delle popolazioni locali finalizzata ad ottenere carne di animali selvatici (anche primati) che ha garantito il passaggio del virus all’uomo. Una seconda fase di emergenza, una volta che il virus aveva trovato la via per infettare l’uomo, è stata guidata dall’aumento dell’urbanizzazione e dall’espansione delle strade nell’Africa centrale a partire dagli anni ’50 con una conseguente dispersione di uomini portatori di un virus mutato, trasmissibile da persona a persona. Il virus è entrato quindi nella rete di trasporto aereo globale, in rapida espansione in quegli anni, ed è diventato (come tristemente sappiamo) una pandemia, con la sua comparsa in Nord America, Europa e Asia, accelerata dai cambiamenti nel comportamento sessuale, nell’uso di droghe e dalla mobilità della popolazione.
Talvolta la trasmissione di un patogeno, sia esso parassita, batterio o virus, può essere diretta, tramite il contatto con pelle, peli, sangue o secrezioni infette da materiale patologico, come avvenuto per l’Hiv. La trasmissione può avvenire anche indirettamente, o meglio, tramite altri organismi vettori che possono o fungere meramente da veicolo meccanico, o infettarsi a loro volta permettendo al patogeno di mutare e adattarsi a nuove specie, uomo compreso.
Quest’ultimo meccanismo è ciò che è avvenuto con il Covid-19, ma non è certo l’unico caso: ad esempio il Nipah virus, comparso in Malesia per la prima volta nel 1998 e caratterizzato da tassi di mortalità nell’uomo fino al 70%. Le indagini genetiche hanno permesso di scoprire che il virus era caratteristico dei pipistrelli giganti della frutta, ma a causa di contatti costanti e ripetuti con i suini, tale virus divenne non solo in grado di infettare questi ultimi. Infatti, i pipistrelli lasciavano cadere manghi contaminati dalla loro saliva e feci in zone dove erano presenti i suini allevati allo stato semibrado, e questo ha causato l’infezione dei suini. Il virus è poi mutato nuovamente e ha infettato le persone a contatto con i maiali, e da lì è partita un’epidemia.
I meccanismi alla base della trasmissione di patogeni tra animali e uomo sono decisamente complessi e si verificano in contesti che sono caratterizzati da una scarsità di dati raccolti sistematicamente. L’emergenza delle malattie zoonotiche si verificano spesso in più fasi, come descritto per l’Aids, con una serie iniziale di eventi di ricaduta, seguita da ripetuti piccoli focolai nelle persone e un successivo adattamento del patogeno per la trasmissione da uomo a uomo. Ogni fase è caratterizzata da uno o più driver, o “motivi scatenanti” diversi.
I ricercatori hanno studiato i fattori scatenanti e hanno incluso in questi la modernizzazione delle pratiche agricole, in particolare nei Paesi in via di sviluppo, la perdita degli habitat, così come la maggior possibilità di contatto tra uomo e animali e la modificazione del clima.
È abbastanza ovvio che i cambiamenti di uso del suolo, l’incremento degli allevamenti intensivi e l’utilizzo sempre maggiore di pascoli, specialmente in regioni cruciali per la biodiversità, sono fattori che intensificano i rapporti diretti tra uomo-animali domestici-fauna selvatica e la possibilità di trasmissione di patogeni tra loro. Deve però essere considerato che i ricercatori hanno anche evidenziato come l’abbondanza di specie selvatiche e quindi l’abbondanza di biodiversità, non solo facilita il passaggio di agenti patogeni tra diverse specie, ma anche la possibile mutazione dei virus.
I risultati di diversi studi internazionali suggeriscono come le zoonosi emergenti originate dalla fauna selvatica hanno maggiori probabilità di verificarsi in regioni con una maggiore densità di popolazione umana e una maggiore diversità della fauna selvatica (ricchezza di specie di mammiferi).
Concludendo questa riflessione, esiste un’enorme letteratura scientifica che cerca di definire l’origine e le modalità di emersione di ogni malattia zoonotica. Se da un lato perché avvenga il passaggio di un patogeno presente nella fauna all’uomo è ovviamente indispensabile un contatto tra questi, dall’altro possono esistere dei vettori (come alcune specie domestiche) che permettono ai virus di modificare il proprio spettro d’ospite.
La deforestazione, il “rubare” spazio vitale alla fauna per far spazio ad attività umane sicuramente diminuisce la distanza fisica tra fauna e uomo, potenzialmente facilitando la trasmissione di patogeni. Ma a monte di ciò, una grande abbondanza di mammiferi selvatici può determinare lo sviluppo e l’emersione di virus nuovi che, se modificati nei diversi salti di specie in modo da poter essere trasmessi all’uomo, possono causare devastanti epidemie.
Non è quindi mantenere sempre lo status quo delle biodiversità che può dare certezza sulla possibilità che non emergano più patogeni come il Covid 19, il Nipah virus, l’ebola, etc...
I patogeni esistono, circolano nella fauna e, purtroppo, possono accidentalmente infettare l’uomo.
Ufficio Studi e Ricerche Faunistiche e Agro-ambientali