Cacciare la lepre: il "Cravin" piemontese
- Scritto da Alessandro Bassignana
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Per l’appassionato cinofilo l’arrivo della primavera porta appresso la ripresa dell’attività, con le prime gare di stagione che vedono nuovamente impegnati i nostri amici quattro zampe.
E che questi siano inglesi o continentali, impegnati ad emozionarci con i loro ampi lacets e ferme scultoree, piuttosto che nevrili mute di segugi che scagnano dietro a qualche orecchiona, lanciata come un missile tra campi e coltivi, cambia poco, perché ogni fine settimana a partire da fine febbraio ogni angolo d’Italia è ricco di impegni per tutti gli appassionati.
E non è solo l’ENCI con le sue prove ufficiali a darsi da fare, ma pure le associazioni venatorie o i singoli circoli locali di cacciatori che le organizzano attraendo moltissimi appassionati.
Domenica 12 marzo le Langhe, recentemente assurte al ruolo di “Patrimonio indisponibile dell’Umanità Unesco”, sono state occasione per vedere all’opera i segugi in un’importante manifestazione organizzata da Federcaccia Piemonte.
Cacciare la lepre è da sempre tradizione venatoria piemontese, insieme alla caccia a starna e pernice rossa, ormai quasi scomparse, e quella alla tipica fauna alpina, ancora praticabile nei comparti alpini della regione; ma i segugi e la lepre si può davvero dire che siano nel cuore degli appassionati subalpini.
Chiusa la vecchia stagione s’attende quella nuova, e la possibilità di gareggiare diventa quindi l’opportunità irrinunciabile per far nuovamente lavorare gli ausiliari, e così molti conduttori-cacciatori hanno sciolto i loro magnifici cani sui dolci pendii dei colli albesi, ansiosi di vederne le azioni, ammirarne le tecniche di scovo, udirne lo scagno rabbioso incalzare la lepre, ormai costretta alla fuga.
Molte sono le razze di segugio adatte a cacciare la lepre, italiane ed estere, ma mentre i francesi possiedono oltre 25 razze di cani da seguita, molte delle quali inventate o nate dall’incrocio tra alcune di esse e successivamente riconosciute a livello internazionale (FCI, Fédération cynologique internationale), da noi oltre al magnifico segugio italiano nelle sue due varianti di mantello (raso e forte) e colore (fulvo e nero-focato), e il segugio maremmano (pelo raso e forte), più adatto al cinghiale che alla lepre, si è recentemente riusciti a riconoscere anche il segugio dell’Appennino, anche questo in due differenti varietà di pelo.
Non è finita lì, ed altre ve ne sono di razze ancora di non ancora riconosciute, sebbene alcune di queste vantino una storia molto antica, ed una consuetudine al loro uso che ha attraversato generazioni di cacciatori.
Una di queste è proprio nata in Piemonte, ed ebbe un grande sviluppo durante le due guerre e per il decennio immediatamente successivo all’ultimo conflitto mondiale: il “Cravin”, al momento ritenuto una variante a pelo duro del segugio dell’Appennino.
Quando mio padre iniziò a cacciare, e si parla di metà anni cinquanta, lo fece proprio con i segugi, ed allora le campagne attorno a Torino pullulavano di lepri, tanto che quella era la specialità venatoria cui si dedicavano quasi tutti.
Le mute di segugi non erano certo quelle selezionate cui siamo abituati ora, ma tra essi si vedevano molti soggetti che avevano un’impronta comune a caratterizzarli, e che i cacciatori definivano per l’appunto “Cravin”, quasi esso fosse un sinonimo del termine “segugio da lepre”.
In realtà, oltre a fantasiosi incroci che avvenivano senza alcun preciso criterio, le caratteristiche di questo capacissimo segugio, diverso dall’italiano anche perché più piccolo di esso, erano già molto nette e delineate, fissate con una certa omogeneità.
Il nome gli deriva dal pelo, semi ruvido, che nel suo caso è un po’ più lungo del normale, specialmente all’altezza di gomito e ginocchio, e simile a quello di alcune capre alpine presenti in Piemonte.
Anche il colore, fulvo chiaro ed uniforme, lo rende facilmente distinguibile da soggetti simili.
Sulle sue origini nulla vi è di certo, ma pare essi discendano da incroci tra alcuni tipi di segugio dei tempi antichi, come i “Ciaplen”, piccoli segugi fulvi a pelo raso con maschera facciale e bianchi su zampe e punta della coda, ed altri, unicolori dorati o bianco arancio con pelo lungo e forte, tipici dell’area alpina savoiarda.
Comunque sia da questi cani nacque quello che poi divenne uno dei cani più amati dai nostri nonni cacciatori.
Il “Cravin” si presenta come un cane robusto e vivace, ma di taglia medio-piccola non superando i 47-50 cm al garrese per i maschi, ed un po’ meno le femmine. I suoi muscoli sono asciutti e scattanti, ed anche l’ossatura ne fa un ausiliare capaci di reggere pesanti ritmi di caccia anche su terreni impegnativi, siano essi di pianura piuttosto che di collina o media e bassa montagna, sgombri piuttosto che coperti di folti o spini; del resto il pelo semi-ruvido lo protegge efficacemente dalle offese della vegetazione.
Instancabile e capace di cacciare tutto il giorno, esso prima dello scovo mantiene un trotto sostenuto, alternandovi brevi momenti di galoppo.
Naso a terra ed alta concentrazione, il piccolo lepraiolo dei nostri nonni segue la pista, non indulgendo su quelle meno valide, ed accompagnando il tutto con rapide sciabolate della coda sui fianchi, e da abbaiate secche e squillanti, mai abbondanti o fastidiose come capita con talune razze di segugi.
Chi lo usa ne magnifica le doti di eccezionale inseguitore, capace di regalare soddisfazioni ed occasioni di tiro anche ai cacciatori meno propensi alle lunghe camminate, caratteristica che si sposa più che bene con il profilo del cacciatore attuale, piuttosto avanti nell’età.
I “Cravin” lavorano bene sia in coppia che al singolo, ma lui non è un cane da vere e proprie “mute”, semmai potendosi nel suo caso parlare di gruppo, e comunque quasi mai superiore ai quattro soggetti.
Il tentativo d’alcuni appassionati è quello di arrivare al pieno riconoscimento della razza, autonome e non come una variante del segugio dell’Appennino.
Per farlo servono i numeri, e questa è la sfida perché per poter aprire le procedure con l’Enci debbono esserci almeno 800 soggetti con caratteristiche di razza, e cioè omogenei, ma di almeno 8 diverse famiglie, e questo per garantire la dovuta variabilità genetica al progetto di selezione.
In Italia esiste una società specializzata che s’occupa della tutela delle razze da seguita, la S.I.P.S. (Società Italiana Pro Segugio), che venne intitolata al suo fondatore Luigi Zacchetti, e proprio a lei è delegato il compito di riconoscere il “Cravin”, quale autentica razza di segugi da lepre.
I segugi…dei nostri nonni!
Lo standard del “Cravin” è stato realizzato dal Dott. Bruno Ottino, scomparso proprio in questi giorni, e detto già dell’altezza vediamo ora quali siano i principali caratteri somatici del nostro piccolo segugio subalpino:
testa di lunghezza media; la lunghezza del muso è leggermente inferiore alla metà della lunghezza totale della testa. Il cranio leggermente convesso, non stretto, pur essendo la larghezza inferiore alla lunghezza. Lo stop naso frontale è evidente senza essere troppo marcato.
Tartufo nero. Labbra poco sviluppate.
Occhio in posizione sub-frontale, grande, rotondo, di colore marrone, molto espressivo.
Orecchio non molto lungo (arriva appena al tartufo), termina a punta; è portato quasi piatto poiché la cartilagine auricolare è di una certa consistenza.
Arti con appiombi normali e piede leggermente ovale. La coda, mai pesante e grossolana, è piuttosto corta, 1 centimetro sopra il garretto.
Il pelo è piuttosto lungo (circa 5 cm), semi ruvido, distribuito su tutto il corpo escluse le orecchie che si presentano a pelo raso e gli arti e la coda dove è duro ma corto.
Il colore è fulvo chiaro tendente al biondo dorato.
Chi fosse interessato ad approfondire l’argomento può contattare Carlo Coggiola delegato dalla Pro Segugio di Torino (011 8223614)
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