Camosci a primavera
- Scritto da Flavio Galizzi
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La primavera ormai ha segnato, con i suoi toni verdi, i fiori e la luce radiosa tutto il territorio delle nostre Alpi. La vita è tornata a scorrere dappertutto, dalle limpide sorgenti ai rivoli gelidi che si disperdono da sotto le ultime chiazze di neve, che resistono negli angoli freddi dei più nascosti canaloni tra le vette.
Il canto del tordo echeggia nelle pinete d’alta quota; è il tempo del rinnovamento e delle nascite.
I branchi dei camosci (Rupicapra rupicapra), che abbiamo avuto modo di osservare fin dall’inizio della primavera pascolare sui declivi assolati, alla ricerca del primo verde appetitoso, cominciano a disgregarsi. A fine maggio, per le femmine si avvicina il periodo del parto, così diventa sempre più impellente, per loro, il desiderio di isolarsi, di ritrovare un angolo protetto dove mettere alla luce, in tutta tranquillità e sicurezza, il loro piccolo.
Fanno forse un po’ fatica a lasciare i nati dell’anno precedente, con i quali hanno trascorso l’inverno provvedendo con ogni mezzo alla loro sicurezza, ma l’istinto materno si sta già indirizzando verso quelli che portano in grembo, nei confronti dei quali la cura e le attenzioni devono essere totali. Le femmine dei camosci sono madri scrupolose, vigili e gelose, che mal sopportano, nei primi periodi di vita dei loro piccoli, la presenza di altri conspecifici, o peggio ancora di altre specie, nei dintorni.
Alcune femmine non hanno avuto modo di portare a termine la gravidanza, per motivi diversi e restano con il gruppo, così il distacco di quante sono in attesa si fa meno traumatico: i loro piccoli dell’anno scorso conducono una gioiosa vita di compagnia e rimarranno comunque sorvegliati, trovando una guida, da quelle femmine adulte che non hanno altri nuovi impegni parentali.
I maschi, come avviene per la maggior parte dell’anno, conducono vita solitaria, e si interessano poco delle attività della colonia, salvo ovviamente più tardi, da fine ottobre a dicembre, quando l’istinto riproduttivo si farà sentire sempre più forte.
Scelta una zona protetta, dove ci sia vegetazione arborea che garantisca una certa intimità e che la tenga nascosta agli occhi di tutti, la femmina mette al mondo il suo piccolo. Questo nasce già in grado di reggersi in piedi da solo, e da subito segue la madre, zampettando dietro di lei senza staccarsi un minuto dal suo fianco. Questa unione così stretta si manterrà fino alla primavera successiva.
La coppia deve imparare a riconoscersi e ad affrontare i primi spostamenti tra le asperità dei dirupi, e il passo deve essere sempre sicuro.
I pericoli non mancano, in primo luogo l’aquila. Questo predatore approfittatore non cessa di perlustrare ogni giorno le cenge più impervie e scoscese delle vette alpine, e di insidiare i piccoli dei camosci. L’abbondanza delle marmotte li mette un po’ al sicuro, in quanto si può stimare che laddove questi roditori sono numerosi rappresentano fino all’80% delle prede di questo rapace, ma il pericolo è sempre dietro l’angolo.
Le camozze ben conoscono le abitudini dell’aquila, che non cessa di minacciarle lungo tutto l’arco dell’anno, e la affrontano sempre con coraggio estremo, alzandosi al suo arrivo sulle zampe posteriori e tentando di colpirla con le corna uncinate. Scene di vita quotidiana di notevole spettacolarità, che si possono osservare sempre con maggiore frequenza sia in estate che nelle altre stagioni.
A luglio, man mano che i piccoli acquistano più sicurezza e imparano a riconoscere i pericoli, le femmine iniziano a frequentare di nuovo i pascoli alti, tra i gruppi di subadulti e le compagne, pur rimanendo all’inizio un po’ appartate con i nuovi nati fin quando questi, d’istinto, iniziano a fraternizzare con i loro "coetanei". La colonia a questo punto è ricomposta; le femmine riprendono a socializzare.
Quelle più vecchie svolgono un importantissimo servizio di controllo su tutto il gruppo, ed è sempre una di loro che svolge la funzione di capobranco e di sentinella sui piccoli, che instancabilmente giocano, ruzzano e si rincorrono sull’erba. Essa può essere facilmente individuata in quanto è solitamente la prima a dare il segnale di allerta con un particolare fischio emesso dalle narici, e a guidare il gruppo lontano dal pericolo per quei sentieri che l’età e l’esperienza le hanno insegnato essere i più sicuri.
Una società complessa, quella dei camosci, basata sul matriarcato, che relega al maschio la sola funzione riproduttiva e lo esclude da ogni altra funzione sociale.
L’estate, se accompagnati da persone esperte, come gli accompagnatori faunistici dei comprensori alpini, è la stagione migliore per osservare le numerose colonie di camosci che vivono su tutto il territorio delle Orobie bergamasche.
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Non è facile riconoscere l’età e il sesso di questi bovidi. Ci è di aiuto la linea del collo, più grosso e apparentemente più corto nel maschio per la presenza della laringe, e le corna, di solito più sottili e meno uncinate nelle femmine. I piccoli dell’anno sono inconfondibili per il minimo accenno delle corna diritte, fino a tre/cinque centimetri a fine estate, e perché non abbandonano la loro madre se non quando giocano in gruppo, comunque poco lontani. I giovani di un anno, chiamati jarling, hanno le corna alte otto/dieci centimetri, che normalmente non superano l’altezza delle orecchie; la corporatura è snella così che le zampe paiono piuttosto lunghe.
Per l’età è comunque fondamentale osservare la struttura generale dell’animale, e in certi casi il comportamento sociale.
Per il sesso, anche se alcuni elementi ci possono aiutare, in particolare di tipo comportamentale e sociale, la certezza l’avremo osservando la posizione in cui orina: la femmina si accuccia leggermente, mentre il maschio orina in piedi.