Dove osano gli stambecchi
- Scritto da Alessandro Bassignana
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L’occasione era ghiotta, una di quelle cui non rinunciare.
Eravamo nel CATO4 (Valli di Lanzo, Ceronda e Casternone), a Usseglio, una piccola borgata della Valle di Viù, nelle Valli di Lanzo, e dove un’interrotta catena di cime alpine fanno da corona a quella piccola regina alpina.
Da molto s’aspettava quel giorno e, come in tutte le storie a lieto fine, il momento finalmente arrivò.
Alle 15,00 d’una domenica dicembrina grigia ma non fredda, veniva tirato giù il telo dal monumento che tutti aspettavano con ansia: quello al…cacciatore!
Sì, avete capito bene, proprio il cacciatore, e nel caso specifico quello montagna, un genere della specie umana, sottospecie…cittadino, quello che qui da noi pare debba sempre dover a giustificare la sua attività e la sua passione, quando non costretto celarla, nemmeno fosse colpa o delitto cui vergognarsi.
Perché ciò accada è uno dei misteri ai quali riesce difficile dar risposta, essendo la caccia un’antichissima attività, addirittura la prima che sviluppò l’uomo quando seppe mettersi diritto su due gambe, smettendola di camminare come un quadrupede, ed imparò ad usare gli utensili; costruì le prime armi rudimentali, e poi con il fuoco forgiò i primi metalli rendendole sempre più efficienti.
La caccia accompagnò l’uomo nei millenni, sino a diventare nel mondo moderno non più strettamente necessaria, almeno per quelle popolazioni che hanno raggiunto un sufficiente livello di benessere; resta un’attività tradizionale, ricreativa e forse anche ludica, ma certo lecita, regolamentata da leggi severe e praticata quasi ovunque.
Da noi in Italia, e in Piemonte in particolare, pare non sia più così, e vi è il sospetto che il cacciatore sia ormai un soggetto poco raccomandabile, un disadattato che vive ai margini della società.
Ecco dunque che l’inaugurazione del monumento diventava l’occasione per regalare alla comunità un omaggio ad un’attività…antica come l’uomo!
E allora parliamo ora un po’ di caccia, e di quello che è l’ospite più nobile e diffuso del Comprensorio Alpino Torino 4: lo stambecco!
Sì, proprio lui, la mitica Capra ibex ibex che in realtà non è cacciabile ma da queste parti è di casa tanto da essere raffigurata nel logo del C.A.
Com’è possibile che quegli animali, vietatissimi alla caccia da decine e decine d’anni, siano così numerosi nelle Valli di Lanzo?
Per prima cosa inquadriamo geograficamente l’area.
Il CATO4 si trova a nord di Torino, tra la Valle di Susa e il Canavese, al confine con la Francia e non lontano dal Parco Nazionale del Gran Paradiso dove, ben prima dell’Unità d’Italia, venne costituita una riserva di caccia reale, per garantire ai Savoia il diritto di cacciare camosci che lì erano abbondantissimi.
C’erano anche gli stambecchi, altrove ormai estinti mentre lì ancora presenti, seppur in numeri molto limitati: quando il 21 settembre 1821 Carlo Alberto, Re di Sardegna, creò la riserva c’erano 35 maschi, 35 femmine e 30 capretti. Gli scopi erano certo venatori, ma ciò salvò dalla definitiva estinzione uno dei più straordinari animali che abbiano mai popolato le nostre montagne.
I Savoia erano tutti cacciatori e certamente lo fu Re Vittorio Emanuele II, non a caso definito “Re Cacciatore”; lui realizzò strade e strutture, costituì un corpo di guardie e pose le basi di quello che diventerà parco nazionale.
Suo nipote Vittorio Emanuele III, pure lui un …Re Cacciatore, ma certo meno appassionato del nonno, nel 1922 donò allo Stato la riserva reale, trasformandola in Parco Nazionale, quello, per l’appunto del Gran Paradiso, il primo a nascere in Italia.
In pochi anni il numero di stambecchi crebbe, passando dai 2.370 capi del 1924 sino ai 3.865 del 1934.
Durante il secondo conflitto mondiale la gente patì la fame, e così il bracconaggio portò quasi all’estinzione la nostra “Capra ibex ibex”. Da un censimento fatto nel 1945 se ne contarono appena 419.
Da allora molto è cambiato, e lo stambecco oltre ad aver ripopolato tutte le Alpi Europee, dalla Francia alla Svizzera, Germania e Austria sino alle più recenti reintroduzioni in Slovenia e Bulgaria, si è espanso all’esterno dei confini del parco.
E dalle pendici del maestoso Gran Paradiso (4.065 mt.) era naturale migrasse più a sud, dove le Alpi Graie sgranano cime altrettanto imponenti e maestose come il Rocciamelone (3.538 mt.), il Ciamarella (3.674 mt.), il monte Croce Rossa (3.566 mt.), il Lera (3.355 mt.), e tante altre vette che superano la fatidica…quota tremila, il regno dello stambecco!
Già negli anni cinquanta e sessanta le formidabili capre alpine fecero la loro apparizione nelle Valli di Lanzo, ma fu nell’ultimo decennio del secolo che il numero aumentò, arrivando a raggiungere consistenze davvero elevate, e certamente compatibili…con un prelievo venatorio.
Sarebbe così quasi ovunque, e infatti all’estero lo si caccia regolarmente, ma non in Italia, perché lo stambecco risulta specie non cacciabile, anzi “particolarmente protetta”, godendo con la l. 157/92 di una particolare tutela; come l’Italia fa la Francia, mentre in Svizzera, Austria e Slovenia, lo si può prelevare con criteri selettivi.
Eccezione fa la Provincia Autonoma di Bolzano, da sempre molte avanti nella gestione venatorie e dove, godendo i privilegi dello Statuto Speciale, da una ventina d’anni se ne autorizza il prelievo d’alcune decine di capi, principalmente vecchi e malati.
Chi frequenta le montagne dove loro sono presenti li può avvistare con facilità, i grandi maschi con le loro lunghissime corna a sciabola con quei particolarissimi anelli d’accrescimento nodosi, che consentono d’attribuirne l’età con una certa facilità, ma specialmente perché lo stambecco risulta animale piuttosto confidente, lasciandosi avvicinare sino a poche decine di metri.
Se questo accada perché da molto tempo lui…non sente più sibilare il piombo, oppure per caratteristiche proprie della specie, questo risulta difficile a sapersi, certo spiegherebbe facilmente le ragioni del suo declino nei secoli passati, sino al limite dell’estinzione.
Lo stambecco è un animale imponente, capace di scalare pendii impressionanti e da tempo gira su Youtube (fate una breve ricerca sul web e vi garantisco che rimarrete impressionati) un filmato incredibile girato in Piemonte, in Valle Antrona, nel Verbano, e dove questi formidabili arrampicatori offrono uno spettacolo quasi circense, risalendo la ripidissima parete della diga del Cingino per leccare il sale che fuoriesce in forma di salnitro; gli animali paiono…appesi ad una muraglia, con pendenze che arrivano sino al 90%!
Sono le zampe a consentire queste mirabolanti imprese, quasi fossero delle ventose, con zoccoli larghi ed elastici, dotati di cuscinetti adiposi che fanno presa sulle rocce come tenaglie.
I maschi sono dotati di formidabili trofei, permanenti e che possono superare il metro di lunghezza, mentre le femmine sono pure loro portatrici di corna, lunghe al massimo 30/35 cm.
Chi ne ha potuto assaggiare le sue carni riferisce siano succulente, e questa potrebbe essere un’altra delle ragioni che ne comportarono il declino, così come tutte le credenze e superstizioni che aleggiavano intorno alla sua figura, rendendolo animale ambitissimo per amuleti o medicinali. Bezoar cercati avidamente nelle sue vie digerenti perché ritenuti potentissimi antidepressivi, capaci pure di contrastare i veleni; corna sminuzzate e tritate, viste come un antico Viagra, in grado di riattizzare…potenze perdute; sangue bevuto perché benefico per i calcoli renali; lo stomaco anche lui in grado di agire contro la depressione; insomma un vero e proprio toccasana per malanni autentici ed altri immaginari.
Non è dunque difficile capire come mai questi straordinari animali, oltretutto facili da vedere e avvicinare, divennero preda facile, troppo facile pur se insidiati con le armi di duecento anni fa, prive delle ottiche mirabolanti che ormai fanno bella mostra sulle moderne carabine in grado di scagliare micidiali proiettili ad oltre mille metri secondo, con traiettorie tese e tanto precise da rendere possibili tiri da valle a valle.
I montanari del settecento e ottocento non disponevano certo di calciature sintetiche, torrette balistiche, calibri magnum, palle a deformazione controllata, ma sparavano sfere di piombo cacciate a forza nella canna di fucili lunghi e pesantissimi, imprecisi quanto insicuri eppure in grado di abbattere animali robusti come queste formidabili capre alpine.
Io non caccio nel CATO4, ma nel CATO1 quasi all’altro estremo dell’arco alpino torinese, nelle Alpi Cozie. Anche da noi gli stambecchi sono presenti, in numero più contenuto ma in costante crescita. Furono immessi negli anni sessanta in poche unità e da allora si sono diffusi con una certa regolarità favoriti dal fatto di non essere cacciati e d’aver pochi nemici naturali. Lo stesso lupo, ormai presenza frequente ed ingombrante nelle nostre valli, non li privilegia nella sua dieta vista le difficoltà di andare ad insidiarli su rocce e strapiombi (vedere i famosi video di cui sopra per capire), salvo i soggetti vecchi o malati.
A me è capitato di vederli molte volte, i primi tanti anni fa avvistandoli fugacemente sulle creste che orlavano i valloni che frequentavo, mentre ora l’incontro è quasi garantito ogni volta che si vanno a cercare i camosci a quote che superino i 2600/2800 metri.
Il fatto di non cacciarli più se da un lato li ha difesi, consentendogli di riappriopriarsi dei territori da cui erano spariti, ne ha certo limitato la selezione e, negli ultimi anni, ha pure comportato una diminuzione del loro numero.
E’ eclatante quanto accaduto proprio all’interno del Parco Nazionale del Gran Paradiso dove da…cinquemila e rotti, che erano nel 1993, il numero s’è ormai dimezzato tanto che l’ultimo conteggio effettuato ne ha registrati “solo” 2.563, comunque molti in assoluto e per un’area di oltre 70.000 ettari.
Il calo demografico ha colpito lo stambecco ovunque (vedremo dopo le tabelle del CATO4) e non solo in Valle d’Aosta; le ragioni sono molte, ma nessuna da sola è in grado di spiegare il fenomeno.
Di certo i cambiamenti climatici, con l’elevarsi delle temperature medie che anticipano la stagione vegetativa rendendo l’erba meno nutriente quando i maschi dovrebbero alimentarsi per affrontare la faticosa stagione degli amori e tutta la popolazione prepararsi per i rigori dell’inverno. S’è notato come vi sia uno squilibrio nei branchi di stambecchi, con molti vecchi maschi che vanno alla riproduzione e, al contrario, pochi capretti che passano il primo anno di vita (fenomeno che da noi sta colpendo anche i camosci).
E poi le malattie, con la cheratocongiuntivite che anni fa ne falcidiò un gran numero, o la rogna sarcoptica infestazione che colpisce i bovidi alpini; le patologie respiratorie e polmonari e altro ancora.
Migliaia di animali muoiono ogni anno, aumentando la popolazione di animali “opportunisti”, quelli che si cibano delle carcasse, come i rapaci, i corvidi, lupi e volpi. Le aquile reali, al contrario, vivono un momento felicissimo, basti pensare che nel Parco del Gran Paradiso si sono contate ben 22 coppie!
Un’altra ragione che appare forse più congruente con la situazione piemontese la si può ricavare da uno studio effettuato, proprio sugli stambecchi torinesi, nel 2011 (Indagine sulla patologia spontanea della popolazione di stambecchi delle Valli di Lanzo). Autore il Prof. Luca Rossi, dell’Università di Torino.
Dalla lettura del documento si evince come negli adiacenti Gran Paradiso e Parc National de la Vanoise, oltre confine, il problema sia rintracciabile in una “onda lunga demografica”, con mortalità senile molto bassa; al contrario la popolazione del CATO4 appare più stabile, oltre ad essere “…la più numerosa popolazione di stambecco presente sulle Alpi, al di fuori di aree a regime permanente di protezione…”.
Il Prof. Rossi fa ancora notare come lo stambecco delle Valli di Lanzo faccia parte dell’unica metà popolazione mai estintasi di Capra ibex ibex, quella che dal nucleo sparuto della Valsavarenche ripopolò tutta l’Europa; quelli che scalano le rupi del Rocciamelone o della Torre d’Ovarda sono arrivati qui da soli, senza che nessuno ce li portasse, ma migrando spontaneamente lungo le creste che costellano le Alpi Graie. Sono una popolazione antica e che da duecento anni vive libera e senza…patemi d’animo!
Ciò nonostante anche qui l’apprensione per la loro salute sta aumentando, e si cercano soluzioni.
Una, auspicata certamente da molti, e avversata da altrettanti, sarebbe la riapertura della caccia.
I numeri lo consentirebbero proprio nelle Valli di Lanzo se si pensa come nel 1997 fossero stati già censiti 666 capi, saliti a 997 nel 2000, 1.291 nel 2004 sino al picco di 1.528 nel 2006 per “crollare” a 1.060 l’anno successivo (malattie?); da allora il numero è sempre oscillato tra i 946 del 2009, l’anno successivo al terribile inverno 2008 (con precipitazioni nevose record), e i 1.261 stambecchi contati quest’anno.
Lo stambecco potrebbe essere proficuamente cacciato, facendo pagare quote commisurate al valore del selvatico e del suo trofeo, riservando ai cacciatori che lo richiedessero un piano di prelievo che non metta minimamente a rischio la sopravvivenza delle popolazioni torinesi. Questo consentirebbe ai Comprensori che li ospitano, e dunque il CATO4 in primo luogo, d’avere un elevato flusso di reddito, con risorse che andrebbero a vantaggio di tutti, in primo luogo del territorio.
Ma si sa, l’idea potrebbe essere troppo innovativa ed intelligente in un Paese, l’Italia, che si muove a commozione per orsi e lupi e poi accetta d’essere saccheggiato da amministratori e governanti, ferito nel territorio, vilipeso nella sua storia e tradizioni, comprese quelle venatiche; la caccia, e quella alpina ancor più, è gestione del territorio e delle risorse da questo prodotte e non basta più scriverne o raccontarselo al bar, bisogna dimostrarlo con i fatti.
Per i cacciatori del CATO4 fortunatamente alla nobilissima Capra ibex ibex s’affianca altrettanta pregiata selvaggina ungulata quali il camoscio, pur lui molto diffuso, il capriolo presente anche in bassa valle, il muflone e il cervo (reintrodotto quest’ultimo dall'ex presidente Aldo Fantozzi in un centinaio d’esemplari dopo il 2000, ed ormai cacciabile) e il cinghiale, molto invasivo e oggetto di piani di contenimento durante tutto l’anno. Si caccia anche la tipica fauna alpina, e così pure la beccaccia, ma da qualche anno a questa parte vi è un nuovo ospite: ha fatto…irruzione “Ezechiele Lupo”, con incursioni continue e non solo a danno delle popolazioni selvatiche ma pure di quelle domestiche.
Ma questa è una storia che vi racconterò la prossima volta!