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Becchi piatti e zampe palmate

Becchi piatti e zampe palmate

Chi scrive un articolo, o un libro su un qualsiasi argomento viene sempre ritenuto dal lettore un “competente” in materia.
Devo subito dire che non mi ritengo affatto "competente", ma unicamente ricco d’ esperienze nelle cacce agli anatidi. E devo aggiungere che del resto la vita d’ un uomo è troppo breve per imparare a fondo i mille segreti necessari all’esercizio... dell’arte di Diana.

Non solo, ma anche quando si sia finalmente riusciti ad imparare qualcosa (e solo qualcosa ...), si tratta spesso di una conoscenza esclusivamente teorica, l’atto pratico travolto dalla passione che pone nel nulla i ponderati ragionamenti.
Nel susseguirsi dei miei interventi cercherò di dare un quadro il più possibile generale e completo sulle diverse cacce alle anatidi, dando la prevalenza a quelle d’appostamento rispetto a quelle vagante perché è proprio nella prima si coglie la poesia e la magia della palude.
D'altro canto è quasi impensabile poter cacciare i palmipedi a mezzo della caccia vagante, e senza quei particolari impianti che per la loro complessità non possono essere che fissi.
Ed è proprio dai piccoli e grandi miglioramenti quotidiani all’impianto, dalle cure alle varie attrezzature, dai tentativi, dalle prove, dalla ricerca dell’optimum che il cacciatore generalmente trae maggiore soddisfazione.
Compresi di posizioni contrare, con un’attuale politica venatoria (vedi Piemonte che non permette e non ha mai consentito la caccia d’appostamento fisso, caso unico nelle varie regioni italiane e nella realtà europea).
Si ricordi bene che un appostamento fisso per palmipedi e trampolieri, una volta che sia ben tenuto e curato, giova enormemente al cacciatore vagante che può trovarvi nella zona il beccaccino o l’anatra, arrivati nella notte, con l’irresistibile richiamo dello specchio d’acqua, magari d’ un lago artificiale e che poi si sono “impaesati” in qualche fosso delle vicinanze.
Non dimentichiamoci che quasi sempre la selvaggina stanziale deve...essere fabbricata, ma per la migratoria il discorso è differente e i selvatici non si producono.
A mio parere le buone “tese” sono, per la funzione di sosta e di nidificazione dei i migratori giunti nord, ancora essenziali e insostituibili sul nostro territorio.
Ma cosa s’intende per ambiente e habitat? Si tratta di quel territorio dove il selvatico trova gli elementi essenziali alla sua vita, e cioè:
    Possibilità d’alimentazione;
    Tranquillità;
    Possibilità di difesa e di rifugio.
Palmipedi e trampolieri richiedono per le loro caratteristiche ambienti del tutto particolari, con acque più o meno profonde, ma preferibilmente le acque basse perché lì è maggiore la possibilità d’alimentazione.
Nelle cacce di palude poi la vegetazione non ha soltanto valore estetico, ma pure valore risolutivo perché è alla base dell’alimentazione, oltre che ad offrire un rifugio per i selvatici che si sentono nascosti e protetti.
Molti palmipedi si nutrono di erbe palustri, germogli e semi, e a volte le radici; la vegetazione può aver luogo dove si annidano larve, insetti, chioccioline, piccoli crostacei.
Senza garantire ai selvatici un minimo di tranquillità risulterebbe perfettamente inutile preparare loro un ambiente ed offrire una ghiotta pasturazione.
Essi così si abbasseranno sull’acqua, quel tanto per ricevere le fucilate e poi andarsene definitivamente.
Quando molti colleghi cacciatori si scagliano contro i ... cospicui carnieri degli appostamenti fissi non si rendono conto che questo altro non è che il risultato di una caccia razionale. Perché va detto chiaramente, senza reticenze: la caccia libera ai palmipedi è quanto più irrazionale possa farsi.
E se i risultati sono quelli che sono, la colpa è soprattutto nostra, per l’eccessivo disturbo che arrechiamo ai selvatici non lasciando loro la possibilità di fermarsi, d’ambientarsi e infine aumentare di numero.
E come possiamo dar loro tranquillità in un territorio libero se non appena arrivano li prendiamo a fucilate da tutte le parti?
Una seria regolamentazione potrebbe dare frutti insperati nelle zone palustri superstiti ma, al momento, non se ne vede la possibilità.
Sarebbe sufficiente si facesse strada il concetto di cacciare soltanto fino a mezzogiorno, lasciando la zona tranquilla nel pomeriggio e consentendo ai selvatici che apparissero in quelle ore, di fermarsi fino al mattino dopo. Sarebbe un primo passo, piccolo ma importante.
Le fucilate nelle ore serali, seppure legittime, data la scarsa visibilità difficilmente portano a qualche risultato concreto, mentre pongono in volo i pochi uccelli che potrebbero fermarsi stazionando per la notte.
Alla prossima puntata e... un cordiale "nel becco dell’anatra"

Vito

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