Aspetti di etica: Sacralità di Caccia
- Scritto da Michele Bottazzi
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Ci sono cose nella vita che vanno fatte secondo una logica superiore, una ragione che va oltre il singolo interesse ed il mero guadagno, un comportamento da tenere che nasca da dentro, nel profondo d’ognuno, quella voce soffusa che alcuni chiamano coscienza ed altri anima, una linea retta senza interruzioni o sbavature, un solco tracciato nel giusto, indipendentemente dall’essere credenti o atei.
L’ho sempre pensata in questo modo e, di conseguenza, secondo questi dettami ho agito, non imponendo nulla a nessuno ma irritandomi quando vedevo un dogma calpestato o deriso da chiunque e scartando coloro che insozzavano ciò che, a parer mio, è gioia e soddisfazione, delusione e tormento e che in una parola sola si concretizza in Caccia.
Prima di iniziare a sviluppare concretamente il discorso, voglio narrarvi un fatto che accadde un pomeriggio di qualche giorno addietro ed ebbi la fortuna d’osservare in prima persona.
Affacciato alla vetrata di una finestra chiusa del mio studio, situato al piano rialzato in centro, zona di transito maggiormente pedonale, mentre ero intrattenuto al telefono da un interlocutore del quale poco c’interessa nomea e vicenda, notai un bimbo di cinque o sei anni, stretto nella materna mano, uscire dalla cartoleria che dà di rimpetto al mio stabile, separata solo da una striscia grigiastra d’asfalto.
Il piccino, non ancora uscito totalmente dall’uscio, mostrava un sorriso contagioso, una smorfia rosso vivo che faceva pendant con due occhi lucidi di gioia.
Da lì a pochi secondi uscì l’altro arto e vidi ciò che stringeva, condividendo con esso la ragione dell’immensa sua enfasi.
La piccola mano impalmava un fuciletto in plastica ben finito, sormontato da un sistema di mira che i saccenti definirebbero olografico.
L’ometto lo guardava con occhi sognanti, immaginando nella sua mente priva di malizia, forzature e compromessi, tutte le avventure che avrebbe vissuto con quel piccolo e meraviglioso oggetto.
Ancora oggi, come nel momento in cui accadde il tutto, non so se il padre o qualche suo parente siano cacciatori, se lui stesso senta la fiammella della passione ardergli nei minuscoli visceri o se lo abbia acquistato per la bellezza che l’oggetto esprimeva ma, ancor adesso, pur non conoscendo lui né i suoi avi, spero che il fuoco della caccia lo pervada, qualsiasi ne sia il motivo scatenante.
Anche per lui e per quelli che avranno il coraggio e la costanza di perseverare nello scopo, dobbiamo far sì che la caccia resti viva in ogni aspetto e, soprattutto, nella sua inscindibile ed inviolabile Sacralità.
Comportamenti deplorevoli.
1) Collari GPS (apparentemente) per la ricerca dei cani.
Questa diavoleria, a parte il fatto che non ne è del tutto lecito l’impiego (in Italia non si possono usare nemmeno se li comprate all’estero perché interferiscono con frequenze di sicurezza Nazionale) ha le seguenti funzioni che riporto papale-papale dal sito di un rivenditore: - Il sistema xxxx (metto le x perché non vorrei mai fare pubblicità occulta o palese ad un mezzo che aborro) è formato da due dispositivi, un trasmettitore da attaccare al collo del cane e da un ricevitore utilizzabile dall'utente.
Il trasmettitore può essere applicato al collo (attaccato sul collare) o sul dorso del cane tramite degli appositi sistemi di fissaggio. Una volta che il trasmettitore e il ricevitore acquisiscono il segnale gps, l'utente riesce immediatamente a sapere la posizione del cane tramite una schermata che mostra la direzione precisa e la distanza dal cane indicando anche se sta correndo, se sta seduto o magari puntando o bloccando una preda.
Inoltre è possibile avere una visualizzazione della mappa dei movimenti del cane, in relazione alla posizione del cacciatore, per permettere a quest'ultimo di recuperare l'animale velocemente.
Il sistema xxxxx può tracciare il movimento di 10 cani con aggiornamento della posizione ogni 5 secondi e con un raggio di azione di circa 8 chilometri. Le batterie hanno una autonomia di 17 ore per il trasmettitore e 20 ore per il ricevitore. –
Beh, ragazzi miei, ditemi voi se questo mezzo è sportivo o meno.
Nel caso in cui non abbiate una risposta pronta o propendiate per quella errata, voglio narrarvi ciò che accadeva ad un paio di viandanti (chiamarli canai è offesa assai grave per chi veramente lo è!) prima e dopo l’acquisto e l’utilizzo di questo prodigio della tecnica.
Nella stagione Ante, i due personaggi muniti di coppiola, ebbero l’occasione di cimentarsi in duelli corpo a corpo (sparo a fermo o dopo incontro improvviso) 10 volte in tutto e fra entrambi, l’anno Post, a metà stagione, gli episodi erano già 12 mentre, alla fine della stessa, quando il sipario della neve chiudeva i giochi non bastavano tutte le dita in dotazione ad un normodotato per conteggiarle; ventisei conflitti ravvicinati.
Se considerate che la zona praticata era sempre la medesima dell’anno prima, che il numero degli abbattimenti totali della squadra è stato superiore a quello dell’anno che l’ha preceduto solo di 3 unità, che i cani impiegati dai due "tecnologici" erano gli stessi usati in precedenza e che i soggetti in questione praticavano la caccia da anni ed erano nati in loco, con la conseguente e perpetua conoscenza dei luoghi, non resta che fare una semplice operazione matematica e scoprire che il saltone di qualità non l’ha fatto fare la May ma l’oggettino che, nel nostro scritto, denominiamo xxxxx.
Per i due terzi abbondanti delle volte, i due cibernetici, si sono trovati a bombardare lo stesso animale, pur sciogliendo i rispettivi ausiliari in zone drasticamente distanti tra loro; Dio benedica il fuoristrada e il xxxxx!
Da sapere, come vi promisi, per essere tutelati.
Art. 433 Codice Penale - Chiunque attenta alla sicurezza (1) delle officine, delle opere, degli apparecchi o di altri mezzi destinati alla produzione o alla trasmissione di energia elettrica o di gas, per la illuminazione o per le industrie, è punito, qualora dal fatto derivi pericolo alla pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni.
La stessa pena si applica a chi attenta alla sicurezza delle pubbliche comunicazioni telegrafiche o telefoniche, qualora dal fatto derivi pericolo per la pubblica incolumità.
Se dal fatto deriva un disastro, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.
Articolo 617 bis - Installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche. Chiunque, fuori dei casi consentiti dalla legge, installa apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti al fine d’intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche tra altre persone è punito con la reclusione da uno a quattro anni.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni se il fatto è commesso in danno di un pubblico ufficiale nell’esercizio o a causa delle sue funzioni ovvero da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o servizio o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato.
Tenete presente che, essendo un apparecchio non omologato per l’Italia, anche il semplice possesso comporta la sanzione!
2) 9/0 11/0 e altra minutaglia.
Già ebbi a dirlo in precedenza nel numero di codesta rivista allorché scrissi "Vademecum Venatorio" ma, poiché la reputo una cosa assurda, pericolosissima, antisportiva e totalmente spregevole nei confronti dell’animale cacciato, lo ribadisco a gran voce narrandovi ciò che ho "visto" e sentito accadere .
Cinque cinghiali avanzano decisi ma lenti verso una vedetta che presidia un posto obbligato (unica via di transito di quel determinato luogo, una volta giunti in quel preciso punto).
Il tizio (cacciatore non lo è di certo, secondo il mio modo di vedere le cose) brandisce un vecchio Franchi calibro 12, li vede sopraggiungere, aspetta gli vengano brevilinei e poi apre il fuoco.
Da dove sono di posta io, circa un chilometro più a monte, sento brillare tre colpi fiacchi, cariche strane e nessun fischio di proietto.
Pochi attimi di silenzio e poi arriva il responso; il meticcio dichiara di averne ribaltati tre ma poi, stranamente, a detta sua, li ha visti alzarsi e levarsi dall’impiccio.
All’arrivo del canaio, con relativo ausiliare, il bosco è tutta una via di sangue; strisciate sui rami e gocce a terra pervadono il panorama nel quale si stanno per addentrare alla ricerca dei feriti.
Uno è esanime a circa trenta metri dal punto di sparo mentre degli altri due si trovano, come fosse scoppiato un ordigno micidiale, pezzi di gambe, tranciate appena sopra l’attaccatura del piede ed una parte di mandibola, lasciata penzoloni ad oscillare, attaccata per la pelle, vicino ad un folto roveto.
Dei due mutilati, chissà che bella fine vivere senza piedi e mangiare senza mandibola, prendono due fruste diverse e, nonostante l’abbozzo di ricerca, di loro non s’ha più notizia.
L’unico caduto, alla macellazione, presenta diversi fori sparsi tra lo spazio renale, dorsale e del basso ventre; il caposquadra non dice niente!
Dottrina
Ministero della Salute - L'Ordinanza 18 dicembre 2008, "Norme sul divieto di utilizzo e di detenzione di esche o bocconi avvelenati" modificata dall’Ordinanza 19 marzo 2009, impone divieti e obblighi a fini della prevenzione e della tutela della salute dell'uomo e dell'animale. Ecco un quadro della nuova disciplina completo delle sanzioni, a cura dei Carabinieri dei Nas.
Art. 21, comma 1, lett. u) E' vietato a chiunque usare munizione spezzata nella caccia agli ungulati, usare esche o bocconi avvelenati, vischio o altre sostanze adesive, trappole, reti, tagliole, lacci, archetti o congegni similari; fare impiego di civette; usare armi da sparo munite di silenziatore o impostate con scatto provocato dalla preda; fare impiego di balestre.
Non costituisce esercizio di caccia con mezzi vietati il solo trasporto e la detenzione di munizione spezzata all'interno della cartucciera indossata dal cacciatore nel corso della battuta agli ungulati, ma occorre quanto meno il caricamento dell'arma con quelle cartucce. Corte di Cassazione, Sezione III penale, sentenza n. 2714 o 3656 del 27 novembre 1998, registro generale n. 19321/98, depositata in cancelleria il 1° marzo 1999, imputato Papera.
Orbene, ragionando prima da uomini e poi da cittadini di uno Stato apparentemente democratico, vi pongo questa domanda:
Che senso ha portarsi appresso, sia essa nella cartuccera, nel marsupio od in ogni anfratto disponibile, munizione spezzata se non si ha intenzione di usarla?
Può essere si usi il medesimo abbigliamento indossato per la caccia alla stanziale, concessa la dimenticanza o la pigrizia ma, caricamenti di questo tipo vengono inseriti volontariamente nel viatico perché, converrete con me che, nessuno sano di mente tirerebbe ad un fagiano, ad una lepre o ad un tordo con siffatta granitura.
Caccia alla volpe? Penso sia chiusa nel periodo in oggetto!
Prescindendo dall’etica, tirare con una rosata dove gli altri lo fanno con un’unica "scheggia" è palesemente manifestazione di inferiorità, un handicap che, al contrario di alcuni sport, il giocatore si concede da solo.
Tralasciando la cultura, chiaramente costui non ha mai nemmeno letto la parola balistica perciò diviene superfluo parlare di, velocità, radenze, coefficienti di penetrazione, effetto terminale sull’animale e rimbalzi.
E voltandosi oltre per non considerare la sofferenza degli animali oggetto di questa pioggia incandescente; nel caso specifico vagano per i boschi animali brutalmente mutilati, esseri che patiranno indicibili pene prima di perire, per il sollazzo e l’incapacità di un omuncolo senza dignità.
Considerando poi ciò che per l’essere umano d’oggi par essere l’unico credo, il denaro, valutiamo il fatto pecuniario-sanzionatorio.
Nel nostro bel Paese esistono norme imperative, precetti, direttive, pareri ed altre peculiarità che chi non è del mestiere (Dio ve ne scampi) non comprenderebbe nemmeno andando al cepu.
Nel Diritto Italiano, diviso per materia, codici, articoli e "derivati" esistono la sussidiarietà e la discrezionalità ed in più casi dello stesso vivere lo Stato deroga agli Organi "inferiori" di argomentare in merito a diverse questioni perciò, quasi in ogni Regione, Provincia o A.T.C., si sono, concessa delega dall’Organo supremo in materia, sviluppati divieti in peius, molti dei quali puniscono il semplice porto di codesta "ferraglia" e, oltre ad elevare sanzioni pecuniarie e di peggior genere, puniscono contestualmente il caposquadra e la di lui gente, togliendo al primo la potestà ed a tutti i secondi la possibilità di cacciare per un determinato periodo o per l’intera stagione.
Consigliandovi, come sempre faccio e riscontrando con immenso piacere il vostro gradimento, come farei con un amico, vi esorto a diffondere questo messaggio anche ai più refrattari o, per usare un termine più consono, idioti, che si ostinano ad utilizzare questi "trinciabosco", facendo comprendere loro che il pericolo per la pellaccia propria e altrui è concretissimo, per quella dei cani anche, che sul cinghiale hanno poca valenza e di non sentirsi sicuri o immuni a non mettere i pallettoni in canna ove una specifica legge inferiore non preveda in specifico un aggravamento perché non viviamo nel paese dei balocchi né in quello delle meraviglie e la sottile linea che separa il lecito da ciò che non lo è viene costantemente e facilmente varcata da molti, per i più disparati motivi.
Tanto per cominciare, nel caso in cui il soggetto cacciatore verrà trovato in possesso di questi indispensabili oggetti sferici e si vedrà elevata la contravvenzione (pensare che tutte le guardie, con tale definizione ricomprendo ogni essere che possa controllarci ed elevare contravvenzione, siano rette e a conoscenza della legge e di ogni sua sfumatura è da illusi) dovrà fare ricorso, prendersi un avvocato ed attendere i tempi biblici della giustizia peninsulare, la quale non accelererà certamente il proprio iter per agevolare il malcapitato.
Arrivati al dies a quo, non sarebbe la prima volta che ciò che appare lecito al volgo sia tutt’altro all’occhio del giudice né inutilmente pleonastico rammentare quante menzogne vengano dette e sostenute in ogni aula di tribunale, quotidianamente e perpetuamente, spesso e volentieri garantite da norme imperative.
In codesto contesto, alla stregua di un maneggio da giocoliere, il tanto desiderato e gradito feticcio contenente irrinunciabili sfere non farebbe nessuna fatica a passare da una comoda e calda tasca o stretta ed angusta cella della cartuccera alla camera di scoppio del fucile in possesso del malcapitato o, ancor con minor fatica "escopologica" farlo transumare da un pertugio alla mano dell’archibugista, scorto dal guardiano proprio nell’attimo precedente all’inserimento in canna.
Concludo dicendo a voi, miei cari amici di penna, che come me aspettate la caccia quanto il deserto la pioggia, viviamola da Uomini, Cacciatori, sognatori e poeti, non insudiciamola come tutto il resto della vita che ci circonda, gustiamola come quando ci veniva raccontata e potevamo solo immaginarne la beltà, conserviamola per coloro cui oggi si illuminano gli occhi acquistando il loro primo fuciletto o per rispetto di quelli c’ora si commuovono ripensando alla felicità c’un tempo remoto essa gli concesse.