CACCIA ALL’ORSO IN CROAZIA
- Scritto da Marco Benecchi
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Avevo finalmente realizzato il mio sogno di abbattere un orso bruno europeo già lo scorso anno, e mi ero riproposto da tempo di raccontare quella indimenticabile avventura nel momento in cui fossi stato ispirato dalla vena giusta. Di certo non avrei mai immaginato che nel frattempo Dusko, il mio amico croato, mi avrebbe nuovamente invitato per cacciare il prestigioso plantigrado nelle meravigliose foreste che circondano Delnice.
Stavo già facendo i miei programmi sull’imminente apertura al capriolo in maggio quando Dusko, con una bella lettera, mi chiese se ero intenzionato ad abbattere un orso. Il selvatico in oggetto non era un capo di grossa taglia, ma in compenso era molto vivace e forse anche pericoloso, perché appena uscito dal letargo girava un pò troppo per i gusti locali. In più di una occasione aveva rischiato di venir investito dalle auto ed inoltre era stato avvistato anche in pieno giorno non lontano dai centri abitati.
Chiedermi se ero interessato a cacciare l’orso credo che fosse come domandare a Schumacher se gli piacesse guidare! Accettai l’offerta con entusiasmo anche perché non vedevo l’ora di provare il mio ultimo acquisto: una bella e maneggevolissima carabina CZ modello 550 Stutzen calibro 9,3 x 62 Mauser, accessoriata da Horst, tecnico della Bignami, con una splendida ottica variabile DOCTER (ex Zeiss-Jena) 1,25 - 6 x 42. Arrivare in Croazia in auto non è certo un’impresa, ma dobbiamo comunque ricordare che ci sono da percorrere più di mille chilometri e attraversare ben tre frontiere, sia all’andata che al ritorno.
Quindi, affinché un viaggio sia piacevole, è d’obbligo partire in buona compagnia. Furono sufficienti due telefonate a Dusko per trovare un orso anche per il sempre disponibile “Fratello di bosco” Pietro, che in tanti anni di “convivenza venatoria” mi ha talmente viziato con la sua guida tranquilla e sicura che ben difficilmente sarei in grado d’intraprendere un lungo viaggio senza di lui. Io e Dusko decidemmo d’incontrarci a Ravna Gora per il prossimo plenilunio di aprile, in modo da organizzare a dovere l’impegnativa caccia. Arrivammo tutti puntuali, sia noi che i croati, e davanti alla immancabile sfilza di bottiglie di birra, Dusko ci presentò i nostri rispettivi accompagnatori: Slavko e Ilich.
Io sarei salito sulla Ceka con il primo, mentre Pietro avrebbe cacciato una decina di chilometri più a nord con il secondo.
Come era già accaduto durante la nostra prima spedizione all’orso, le guide timidamente ci chiesero se potevano visionare le nostre armi per conoscerne il calibro e soprattutto per controllare la qualità degli strumenti ottici, accessori questi ultimi di fondamentale importanza, considerando le condizioni di luce con cui avremmo dovuto tirare.
Gli esperti cacciatori croati furono entusiasti dei nostri “ferri”, scherzarono soltanto sull’eccessiva velocità del calibro 300 Weatherby Magnum di Pietro ma approvarono pienamente lo S. & B. 3 – 12 x 56 che c’era montato sopra.
Non si lasciarono però sfuggire l’occasione per ricordarci che in base alle loro esperienze i migliori calibri per la caccia all’orso sono il 30.06 e l’8 x 57 JS caricati con palle pesanti, mentre per i capi veramente grossi (ma guarda che coincidenza!!) “ideal” è il calibro 9,3 x 62 Mauser. Chi si è già recato a caccia nell’Est Europa in primavera ben sa che il successo di una spedizione venatoria spesso può dipendere dalle condizioni del tempo.
Appostare i caprioli con pioggia e vento non è certo né piacevole né favorevole, come è praticamene impossibile sparare di notte con la luna coperta da grevi nuvolosi. Il meteo mi preoccupava parecchio, ma fummo fortunati perché le previsioni per i prossimi tre giorni erano più che buone. A questo buon auspicio si aggiunsero anche molti altri piccoli particolari positivi che ci caricarono tutti d’entusiasmo. Ho quasi trenta licenze sulle spalle durante le quali ho tirato “qualche centinaio di pallottole a caccia” ma come immancabilmente accade quando mi appresto ad affrontare un’avventura impegnativa, il tasso adrenalinico nel mio sangue quel giorno era ai massimi livelli.
Quando, dopo esserci salutati con un “Forza e onore”, vidi Pietro allontanarsi con Ilich sulla sua Mercedese ML 4000, cominciai ad agitarmi. Rimasto solo con Slavko non avevo più nessuno con cui scambiare una parola.
Alle 17,45, caricati zaino e carabina sull’Opel Corsa del croato, ci inoltrammo nella foresta lungo un sentiero coperto da un soffice strato di neve che io non avrei percorso nemmeno con un buon fuoristrada. Immaginai che da quelle parti i meccanici e i gommisti facessero affari d’oro!
Dopo una quindicina di minuti di guida spericolata, tra buche e sgommate varie, finalmente Slavko parcheggiò la generosa utilitaria.
Silenziosissimi proseguimmo a piedi nella foresta di altofusti, incontrando subito diverse impronte lasciate dagli orsi nella coltre bianca. Una di esse aveva le dimensioni di un freesby e non riuscii ad immaginarmi la mole dell’animale che l’aveva lasciata. Con un fremito provai un sentimento contrastante, perchè avrei desiderato con tutto il cuore poter vedere dal vivo un orso così grande, ma allo stesso tempo avevo il brutto presentimento che quando l’avrei avuto a tiro ben difficilmente mi sarei trattenuto dallo sparargli.
Chissà quanta legna mi avrebbero fatto tagliare i dirigenti dell’Ente di Stato croato della Caccia per saldare la salatissima tassa prevista per il suo abbattimento!! In poco tempo raggiungemmo una piccola Ceka che sovrastava una radura di una cinquantina di metri per settanta dove, al centro di essa, si trova un piccolo cratere pieno di carne putrescente, pane secco e grano turco. A differenza dell’altana, dove avevamo cacciato lo scorso anno, quella era veramente molto piccola, riuscivamo appena a starci relativamente comodi in due.
Slavko a gesti m’invitò di provare l’imbracciatura all’interno dell’angusto spazio per controllare il coordinamento dei miei movimenti.
Non so se lo sapevate, ma il novanta per certo degli insuccessi nella caccia all’orso al carnaio è dovuto ai rumori che si possono provocare proprio durante la fase di puntamento. A tale proposito la mi cortissima CZ 550 Stutzen non aveva nessun appiglio superfluo, avendogli rimosso persino i perni porta cinghia. Camerai una cartuccia in canna e misi la sicura sulla prima tacca, poi riposi la 9,3 a portata di mano sulla mia sinistra.
Slavko si ritenne così soddisfatto di tutte le mie operazioni preparatorie che dopo aver chiuso le due minuscole finestre mi offrì mezza mela come premio per la mia correttezza. Per ultimo sistemai la bottiglia per la pipì vicino alla sedia e mi preparai ad una lunga attesa. So per esperienza che i primi minuti, come le prime ore, sono i peggiori, per fortuna non avevo lo stimolo a conversare perché se io non parlavo una parola in croato Slavko non ne conosceva una in italiano. Ci accordammo a gesti che: “OK” era l’autorizzazione allo sparo e se si fossero presentati contemporaneamente più animali, un dito sollevato significava che dovevo tirare al capo di destra, mentre due dita a quello di sinistra.
Lo scorso anno abbattei un orso con il mio Express sovrapposto BETTINSOLI calibro 9,3 x 74 R dopo essermi appostato per tre notti consecutive. Sperai con tutto il cuore che ciò non si ripetesse. Un enorme corvo imperiale si posò vicino alla carcassa di un maiale e rubò qualche boccone con dei violenti colpi di becco. Attraverso le limpidissime lenti del mio Leica 8 x 50 BA spiavo i suoi movimenti grato che involontariamente quel grosso uccello mi offrisse una distrazione. Mentre il poderoso corvide consumava il suo macabro pasto a spese della nostra organizzazione, per la prima volta ricontrollai l’ora, erano le diciotto e venti ed il sole era ancora alto. Mi sembrava di esser lì da una vita, quando invece c’ero soltanto da venti minuti. Ripresi a guardare pigramente la radura sulla mia sinistra, quando ad un centinaio di metri da noi mi colpì un movimento.
Tra la neve, sotto le conifere, un bellissimo orso bruno dalle sfumature biondo – grigiastre gironzolava tranquillo. “Medvjed, Medvjed” sussurrai a Slavo, che senza scomporsi chiese in prestito il mio Leica e prese a valutare il selvatico con calma. Dopo pochi secondi sentenziò “Dobro!! Ok, ok” Come un mimo mi fece capire che se si fosse avvicinato al carnaio avrei potuto sparargli.
Il cuore mi batteva a tremila ma dovevo evitare che l’emozione prendesse il sopravvento. Mi feci restituire il binocolo per potermi godere appieno il meraviglioso animale nel suo ambiente naturale in un’ora decisamente insolita. L’orso, di media mole, era splendido.
Appena uscito dal letargo aveva una pelliccia folta e lucente e ciò che mi colpì in modo particolare furono i movimenti fluidi e silenziosi, le dimensioni della testa e i suoi piccoli occhi porcini. Incantati da quella magica visione non ci accorgemmo che l’orso non aveva nessuna voglia di recarsi a mangiare, perché con il suo lento camminare procedeva nella direzione opposta alla nostra.
Quando mi resi conto che il plantigrado stava allontanandosi rimasi molto deluso e rimpiansi di non avergli tirato. Come un novellino, invece di provare a prenderlo di mira, ero rimasto paralizzato ad osservarlo come se fossi stato allo Zoo Safari. Il croato, al contrario, non si scompose più di tanto, ma dalla espressione che avevo capì il mio stato d’animo così si preoccupò di tranquillizzarmi. Mi fece capire che gli orsi vivono sempre nelle vicinanze del carnaio, ma che gli piace mangiare soltanto al calare della notte. Slavko alzò le due mani mostrandomi otto dita, per dirmi che a quell’ora sarebbe arrivato al “Cento per cento”, come se avesse un appuntamento con lui!! Il tempo trascorreva al rallentatore e attraverso il vetro appannato della finestra che si affacciava sulla radura cominciavo a distinguere malamente sia i contorni del bosco che quelli del carnaio. Quando le lancette luminose del mio Breil segnarono le venti in punto, constatai che la visibilità era vicina allo zero, anche con il misero riverbero della neve, perché la luna non si era ancora alzata e le folte chiome degli alberi oscuravano la radura. Cosa avrei dato per aprire la finestra in modo da saziarmi di aria fresca e pura e per provare l’imbracciatura della mia arma.
Slavko controllò l’ora e pulì per l’ennesima volta con la spugnetta il vetro della finestrella alla sua destra.
“Medvjed” Disse subito dopo con un bisbiglio, aggiungendo “Ok, Ok”. Il mio povero cuore saltò tre o quattro battiti e sentii una scarica di adrenalina invadermi tutto il corpo.
D’istinto allungai il collo verso quella direzione, ma per quanto mi sforzassi non riuscivo a vedere niente e lo capì anche Slavko perché mi strinse il braccio indicandomi una sagoma nera che avanzava lentamente lungo il confine destro della radura. L’orso si intravedeva a stento, mentre con una calma apparente fiutava la zona circostante il cratere con il carnaio.
Dovetti fare un enorme sforzo per destarmi dallo stato d’ipnosi che mi aveva provocato quella visione surreale. Slavko seguiva i movimenti dell’orso con il mio Leica incollato agli occhi senza professare una sola parola. I secondi trascorrevano lenti in una posizione di stallo, con l’orso a quaranta metri da noi a ridosso di un albero caduto. Il furbo animale non si decideva di attraversare la spiazzo innevato che lo separava dal succulento pasto, e mi diede l’impressione che sembrasse intuire il pericolo incombente. Si alzò sulle zampe posteriori annusando l’aria, poi appoggiò gli arti anteriori sul tronco dell’albero ed infine scivolò di nuovo a terra per grufolare con il muso tra la neve. Se avesse percorso pochi metri lo avrei avuto perfetto a “cartolina” su uno sfondo grigio scuro, ma non se ne parlava nemmeno. Interrogai Slavko con lo sguardo e lui, allo stesso modo mi fece capire che se volevo potevo tentare il tiro. Annuii e lui immediatamente aprì la minuscola finestra. Una piacevole folata d’aria fredda e cristallina mi colpì il viso facendomi quasi lacrimare. Lentamente sollevai la carabina facendola aderire al mio colpo e poi la sporsi dalla feritoia.
Con il reticolo sui tre ingrandimenti inquadrai facilmente il grosso animale, ma non soddisfatto da quel che vidi, sempre rimanendo in punteria, con la mano libera portai il reticolo sul sei x. Vedevo distintamente la testa con il collo, così feci scivolare il reticolo poco più indietro, dove doveva esserci la spalla, azionai lo Stecher, e sfiorai il grilletto.
Sparo, rinculo e vampata m’impedirono di vedere l’esito del colpo, ma ebbi ugualmente una fugace visione di una sagoma scura che s’infilava nel bosco. Istintivamente ricaricai la CZ e misi in tasca il bossolo sparato.
La pacca sulla spalle di Slavko arrivò inattesa ma benvenuta, specialmente perché accompagnata da una frase meravigliosa:”Very good shoot, very stronk”. Risposi al simpatico croato che mi era sembrato di veder l’orso allontanarsi, ma lui mi fece capire che sotto l’urto violentissimo della palla Norma Alaska da 286 grani l’animale era stato letteralmente scaraventato indietro prima di tuffarsi nel bosco. Mi propose di aspettare una decina di minuti prima di andare a vedere, ma alla faccia della sicurezza e a dispetto della mia decennale esperienza non ne volli sapere di aspettare così tanto. Impugnata la mia pesante Mag-lite lo pregai di scendere dalla Ceka e lui con un sorriso mi accontentò. Con la 9,3 x 62 nella mano sinistra e la pila nella destra aprii io la fila perché Slavko era armato soltanto con la torcia. Nella radura regnava un silenzio talmente assoluto da sembrare innaturale.
Raggiungemmo il tronco caduto dove si trovava l’orso al momento del tiro e già da alcuni metri di distanza notammo con sollievo una grossa pozza di sangue e una striscia praticamente continua di gocce color rubino che entrava nel bosco. La vistosissima traccia nella neve ci permise di trovare l’orso morto dopo appena una decina di metri, adagiato sul fianco destro dove aveva ricevuto il colpo. Era un giovane maschio non molto grande ma pur sempre stupendo, con una pelliccia veramente meravigliosa, folta e lucente. Slavko misurandogli la larghezza della zampa anteriore e da un rapido controllo della dentatura lo stimò sui quattro anni. Per telefono comunicammo la bella notizia sia a Dusko che a Ilich e Pietro.
Mio “Fratello”, appena apprese dell’avvenuto abbattimento, volle interrompere la caccia per raggiungerci a festeggiare. Tanto, se il suo orso non era ancora venuto al carnaio per quell’ora, c’erano buone probabilità che quella notte avrebbe saltato il pasto.
Trasportato l’animale su un telo militare nel piazzale antistante la casa di Dusko, che tra l’altro è anche il Presidente dei quel distretto di cacciatori, sedetti vicino al mio orso in paziente attesa che tutto il Paese, anziani, donne e bambini compresi, venissero a vederlo e a congratularsi con il sottoscritto pronunciando la frase di rito: “Dobra Kob”, la versione croata del Waidmannsheill dei tedeschi.
Ho assaggiato non ricordo più quanti tipi di grappa locale e una interminabile serie di salcicce e salami. In quel remoto angolo di paradiso i cacciatori che abbattono un orso li festeggiano alla grande, chissà come mi avrebbero trattato i nostri connazionali se lo avessi preso in Italia!!!!. Per dovere di cronaca e per rispetto verso Pietro c’è da dire che anche lui prese un magnifico orso la notte seguente. Lo centrò in pieno con una terrificante Nosler Partition da 180 grani (ricaricata dal sottoscritto!!), ma fu necessario recuperarlo il giorno dopo, perché durate la breve fuga che fece dopo aver ricevuto la velocissima palla si era addentrato in una zona talmente folta che non sarebbe stato salutare cercarlo alla sola luce delle pile tascabili. Spero vorrete perdonarmi per l’enfasi del racconto, ma un orso non si abbatte tutti i giorni, anzi sono convinto che chi è fortunato non ne abbatte più di uno o due nella vita. Io al traguardo che mi ero prefissato di raggiungere ci sono finalmente arrivato, ma sinceramente non so se saprei resistere ad un altro invito del caro amico Dusko...
Marco Benecchi