Dio salvi la Regina e gli uomini... la conservino!
- Scritto da Cacciando
- Dimensione font Riduci dimensione font Aumenta dimensione font
Carl Von Linnè, conosciuto anche come Linneo, grande naturalista svedese vissuto nel diciassettesimo secolo, e padre delle moderna classificazione scientifica degli organismi viventi, la catalogò con il nome di Scolopax Rusticola.
Sembra però che il primo a parlarne fosse stato addirittura il filosofo greco Aristotele, che definì la beccaccia Askalòpas, probabilmente derivandolo dal verbo “skallo” che significa frugare, scavare.
In pochi anni si passò da Askalòpas a Scolopax, usato da Teofrasto, pure lui filosofo ellenico e discepolo dell’altro, nella sua opera De segnis tempestatum.
L’origine è da scòlopos che in greco antico significa punta, aculeo.
Rusticola discende invece dal latino e significa gallinella; Linneo unendo le due parole classificò la beccaccia con il termine greco-latino che significava “ gallinella con l’aculeo (con il becco a punta)”.
Molti sono i nomi con cui venne chiamato nei secoli questo meraviglioso volatile, ma forse uno merita qualche approfondimento in più: arciera che poi divenne “arcera”.
La si chiama così in molte regioni meridionali, e pare che il nome derivi da arciere, ossia uomo armato d’arco e frecce.
La beccaccia in volo, con le ali convesse aperte e con il lungo becco che la caratterizza, pare proprio assomigli ad un arco munito di freccia pronta a scoccare. (“Beccaccia”. Matteo Califano. Editoriale Olimpia 1971)
La beccaccia nel panorama venatorio nazionale, dove gran parte della selvaggina viene immessa a pochi giorni dall’apertura, è ancora uno di quei pochi selvatici veri che sono cacciabili in forma vagante con il cane da ferma.
L’ambiente suggestivo e difficile del bosco rende appagante per l’uomo questa forma di caccia, richiedendo l’utilizzo di ausiliari addestrati, e facendo d’ogni vero beccacciaio un vero e proprio specialista.
Si tratta dunque d’una delle cacce con il cane più ambite, e molti sono gli appassionati disponibili a inseguire questo magnifico uccello nelle sue lunghe rotte migratorie, insidiandolo anche ove trova le sue aree di svernamento.
Crimea, Estonia, Romania, Bulgaria, Russia, Georgia, Iran, Scozia e altri paesi ancora, sono ormai diventati meta di viaggi venatori alla ricerca dell’ambito scolopacide; lì cacciatori italiani, francesi, spagnoli realizzano carnieri giornalieri che in patria nemmeno si potrebbero più immaginare; questo, insieme alla prelibatezza delle carni, fa sì che la beccaccia debba ormai essere gestita e tutelata con attenzione.
Vive nei boschi, meglio se misti a caducifoglie, con prevalenza di betulle, frassini, carpini, robinie, ontani, querce, castagni, faggi, ma anche di conifere come larici, abeti, e pini.
Si trova con frequenza pure nei noccioleti e nei pioppeti.
Gradisce i boschi non molto folti dove può trovare terreno morbido, meglio se umido e privo di erbe alte, con buona possibilità di alimentazione e di quiete, dove riesce facilmente a nascondersi e salvarsi mettendo in atto tutte le furberie che l’hanno resa famosa, camminando prudente tra la vegetazione prima d’involarsi lontano da cane e cacciatore.
Il sottobosco dev’essere ricco di lombrichi, con strati di foglie morte o aghi di pino, felci, frutti di bosco e rododendri.
Con la pioggia insistita e il vento forte cerca rifugio nei prati e nei terreni incolti, nelle radure e nelle carbonaie, lungo i corsi d’acqua.
La presenza di bestiame brado, e che siano bovini od equini cambia poco, è per le beccacce fortemente attrattiva, permettendo loro di nutrirsi con facilità di tutta quella microfauna che prolifera negli escrementi in decomposizione.
Durante il periodo della nidificazione però predilige abitare i boschi misti di resinose e caducifoglie con livelli di umidità bassi e al riparo dai forti venti
Quando poi le giornate s’accorciano, e l’autunno screzia coi suoi fiammeggianti colori montagne e boschi spogliandoli dal verde fogliame, ecco le prime migrazioni, il passo che inizia a settembre e prosegue sino a dicembre, con il picco collocato tra la metà d’ottobre e i primi di dicembre.
Freddo e gelo al nord, preannunciato dai taglienti venti di tramontana, segnalano ai cacciatori l’arrivo, l’attesa calata delle prime beccacce.
I boschi umidi e ricchi d’humus, dove crescono i funghi e gli uccelli possono trovare in quantità insetti, molluschi e lombrichi, come ogni anno si preparano ad accogliere le loro Regine.
Ma anche l’habitat non è più quello ospitale e favorevole d’un tempo, di quando l’uomo abitava e coltivava ancora l’alta collina e la montagna ripulendone i sentieri, falciando i prati, estirpando i rovi.
I boschi d’alberi a medio fusto con rari cespugli ed erba bassa che un tempo caratterizzavano gran parte della nostra penisola, e che facilitavano gli spostamenti a terra delle beccacce, si sono ormai inselvatichiti e infittiti, favorendo il ritorno dei grandi ungulati come cinghiali, cervi, caprioli ma a discapito di tutta quella piccola selvaggina che viveva maggiormente in simbiosi con l’uomo abbisognando della sua presenza, delle sue coltivazioni, dei suoi armenti.
Un tempo, sino al 1977 legalmente ma ancor oggi in violazione delle leggi, la beccaccia si cacciava anche alla posta, all’aspetto.
Si trattava d’una forma di caccia praticata al tramonto, sostando lungo gli itinerari conosciuti che gli uccelli compiono per uscire dal bosco e recarsi in pastura; percorsi ripetitivi, sempre uguali quando durante il giorno non siano state disturbate da cani e cacciatori. La stessa cosa al mattino presto, ma in senso inverso.
Questa pratica di bracconaggio, odiosa quanto dannosa, consente d’abbattere un gran numero di beccacce ma dev’essere avversata con forza da ogni vero cacciatore che si rispetti, mettendo a repentaglio questo prezioso selvatico che ha nelle sue astuzie la principale difesa dall’uomo.