Le magie della beccaccia
- Scritto da Alessandro Bassignana
- Dimensione font Riduci dimensione font Aumenta dimensione font
Sulla beccaccia s’è scritto più che su qualunque altro selvatico cacciabile, e l’hanno fatto in molti, non solo cacciatori o appassionati di quella specialità venatoria perché su di lei spesero pagine anche coloro che della scrittura hanno fatto un mestiere; infatti di quel fuggevole e splendido uccello s’è innamorato ogni cacciatore che abbia avuto la ventura d’incontrarla o d’incarnierarla anche poche volte.
Perché l’abbiano fatto è un mistero, uno dei tanti che, e qui mai un termine risultò più adatto, aleggiano intorno alla sua figura.
La beccaccia s’è meritata molti appellativi che ne fanno uccello mitico, prediletto, quasi magico: regina, maliarda, dama dei boschi, fuggiasca, arciera e chi più ne ha più ne metta.
Sarà per il suo colore, quello delle foglie autunnali che la rende mimetica nel bosco, sarà per il suo rapido volo sfarfallante che la fa apparire e sparire come un folletto tra rami e foglie, o per le sue ali, che la rendono più grande di quanto essa sia realmente, ma resta il fatto che quando la rusticola fa la sua comparsa da noi i cacciatori con cane da ferma sembrano impazzire di gioia, e a lei dedicano le massime attenzioni abbandonando tutto il resto fino a quel giorno cacciato!
Scolopax rusticola, così ebbe a definirla Linneo, al secolo Carl Nilsonn Linnaeus, medico, botanico e naturalista svedese del Settecento, colui che viene a ragione definito il padre della classificazione scientifica di tutti gli organismi viventi.
Chi però ne parlò per primo sembra essere stato il filosofo greco Aristotele, ben…avanti Cristo, che la definì “Askalōpas” derivandolo forse dal verbo “skallo” che significa scavare, frugare, ma fu il suo allievo, Teofrasto a ribattezzarla “Scolopax” (da “skolops”, palo appuntito) nella sua opera “De signis tempestatum”.
Ne scrisse successivamente Mauro Aurelio Olimpio Nemesiano, poeta latino, “Cum nemus omne suo viridi spoliatur honore, ...praeda est facilis, et amoena scolopax”, a significare, quasi letteralmente, che “quando il bosco si spoglia di ogni verde ornamento…giunge la beccaccia, preda facile e piacevole”. Linneo vi aggiunse il termine “rustĭcŭla” che stava ad indicare il beccaccino (Plinio).
La si crede astuta, e questo forse ha contribuito ad aumentarne il mito, ma resta il fatto che quest’uccello regala emozioni venatorie come pochi altri, di certo autentica selvaggina in un’epoca di caccia…pret a porter, buona per tutti, con animali da voliera o da allevamento rilasciati solo qualche giorno, se non minuti, prima d’essere abbattuti!
Cacciata in buona parte dell’Europa e non solo (in molti si recano a cercarla anche in Iran e ne esiste pure una varietà americana, più piccola di quella di ceppo euro-asiatico), la beccaccia viene insidiata per molti mesi all’anno, quasi inseguita da chi la va a cercare dove lei si sposta durante la sua incredibile rotta migratoria, oggetto di studio ormai da molti anni.
Le regine vengono catturate ed inanellate, e talvolta anche dotate di dispositivi gps, per essere seguite od abbattute a migliaia di chilometri di distanza, tracciando percorsi che si ripetono quasi eguali da secoli.
Chi la trova in un angolo di bosco lì va a cercarla le stagioni seguenti, con buone possibilità di successo, credendo sia la stessa, quella che si portò via la fucilata dell’ultimo giorno di caccia, o che da anni lo fa impazzire.
Allo stesso modo s’è creato un mito intorno a quelle definite “impaesate”, uccelli che vivono quasi stabilmente in un posto conoscendolo alla perfezione, e così sfuggendo a cacciatori e cani prima che quest’ultimi riescano a bloccarla e i primi a spararle.
Negli ultimi decenni è un po’ in diminuzione, seppur ne vengano uccise ancora moltissime, e si stima che siano tre o quattro milioni all’anno i soggetti abbattuti ogni anno in Europa, con francesi e italiani a farla da padroni in questa graduatoria dei carnieri, seguiti a breve distanza da greci e spagnoli.
Da noi un tempo la si cacciava anche durante il ripasso primaverile, ma ormai è ricordo di pochi mentre in tanti ci raccontano di quella tradizione che vedeva nel “giorno dei Morti”, il 2 novembre, l’inizio vero e proprio della stagione. In realtà le beccacce appaiono ben prima, talvolta già in settembre, inizialmente in montagna per poi abbassarsi di quota, mano a mano che fanno la loro comparsa neve e gelo, e le piogge autunnali hanno ammorbidito il terreno dove lei infilerà il lungo becco alla ricerca dei lombrichi di cui è ghiotta.
Ora molto è cambiato, con temperature medie in forte aumento e che consentono loro una presenza ad alte quote, in alcuni casi io le ho abbattute sino ai 2.300 mt, anche oltre ottobre, e comunque permanendo in bassa o media montagna (1.000/1500 mt.) sino alla fine della stagione venatoria che per me, cacciatore piemontese, si chiude il 31 dicembre.
Anche l’ambiente è mutato, e così là dove un tempo la beccaccia trovava rifugio prediletto, e terreno a lei adatto, con pascoli e coltivi, prati irrigui, i boschi puliti dall’uomo che le offrivano la possibilità di muoversi agevolmente alla ricerca del cibo, tutto è cambiato, ed ora molto è un intricato incolto dove cespugli e gerbidi hanno coperto ogni spazio libero e le foreste si sono riappropriate di monti e colline abbandonati negli ultimi decenni.
Le regine ne hanno preso atto, e così vanno ad infilarsi in grovigli ed intrichi dove riesce loro facile sfuggire al cacciatore, frullando via tra ramaglie che disperdono lo sciame di pallini loro indirizzato.
A tutto ciò si somma quella che sopra abbiamo definita…astuzia, la scaltrezza che fa della beccaccia l’uccello dei sogni di molti nembrottini con il cane; qualcuno la definisce intelligenza, e bisogna allora intenderci su cosa voglia dire ciò.
Ho fatto una rapida consultazione di vocabolari e lessici universali, navigando anche sul web per trovarne una adatta a questa situazione e alla fine l’ho trovata: …l'intelligenza, in un'ottica evoluzionistica, intesa come strumento che migliora l'adattamento all'ambiente, è in primo luogo la capacità di risolvere nuovi problemi, oppure di risolvere vecchi problemi in maniera innovativa.
Ecco, se questa è l’intelligenza allora possiamo affermare che anche la nostra regina ne sia dotata, e in abbondanza.
Infatti l’arcera s’adatta molto bene all’ambiente, mutando comportamenti ed atteggiamenti a seconda di quale esso sia; egualmente di fronte a situazioni difficili sa risolverle diversamente da come aveva precedentemente fatto, cacciata com’è ormai quasi tutto l’anno, ad ogni latitudine e con strumenti sempre più innovativi e perfezionati. Per insidiarla dal campano s’è passati al primo rudimentale beeper, evoluto via via in nuovi modelli sempre più performanti, per giungere ora a quelli silenziosi, che vibrano o ai collari gps, che possono regalare al cacciatore la possibilità di cercarla nel silenzio più assoluto, e con cani che così possono allargare moltissimo il loro raggio d’azione.
I suoi comportamenti stupiscono sempre, regalando emozioni ed ammirazione per un uccello che una volta pare facile e banale da cacciare ed incarnierare, quasi fosse una quaglia gabbiarola, un’altra invece diventa indemoniato ed è in grado di mettere sotto scacco anche il più scaltro dei setter, degli epagneuls, dei griffoni o dei bracchi, insomma di quelle straordinarie razze da ferma che mostrano passione ed attitudine per lei.
La beccaccia elettrizza i sensibilissimi recettori olfattivi dei cani, che insistono nella sua ricerca frugando e dettagliando nei posti ove lei ha pasturato durante la notte, trapanando il morbido ed umido terreno alla ricerca dei lombrichi e della microfauna che prospera in mezzo a foglie in decomposizione, escrementi di bovini ed equini, marcite.
Boschi dunque, meglio se misti a caducifoglie, con prevalenza di betulle, frassini, carpini, robinie, ontani, querce, castagni, faggi, oppure anche conifere come larici, abeti e pini, ma spesso la beccaccia si rifugia in noccioleti e pioppeti, vicino ad un corso d’acqua. L’importante è che possa avere una via di fuga, e quindi mai nelle erbe alte, per potersi sottrarre di pedina all’inseguitore prima dell’involo, quando magica appare la sua inconfondibile figura.
E veniamo alle sue magie, i trucchi o, se volete, l’astuzia che l’ha resa proverbiale.
La prima, una di quelle di cui s’è scritto a profusione è quella del “salto del rospo”, un voletto effettuato quando il cane l’ha ormai bloccata a distanza, o sta per farlo, sufficiente a farla sparire quasi sotto gli occhi del cacciatore che ormai s’aspetta il frullo. Personalmente non l’ho mai visto, e così fosse significherebbe che la regina al contrario è piuttosto sciocca, regalando una facile fucilata al cacciatore o una facile rimessa all’ausiliare, ma di certo qualcosa di simile lei lo fa, perché anche i cani esperti segnalano la sua presenza certa. Starà al cacciatore rendersene conto, non indulgendo troppo in quel punto ed invitando l’ausiliare ad allargare l’azione di cerca, per reperirne nuovamente l’usta. Ma l’abbiamo scritto: la regina è astuta, ed a me è capitato che lei si spostasse in direzione opposta a quella attesa, addirittura venendomi incontro ingannando i cani, ed involandosi così alle mie spalle quando imprudentemente stavo avanzando senza curarmi di quanto stava accadendo.
A volte si ha ancora il tempo di mollarle una schioppettata, ovviamente inutile come quei falli commessi dal difensore che subisce una veronica dell’avversario; insomma una reazione stizzita dettata dallo stress.
Egualmente il suo comportamento lascia stupefatti quando sparandole la vedi piombare, ali chiuse, al suolo, colpita dallo sciame dei pallini. Subito ti compiaci con te stesso e complimenti i cani e poi…e poi la cerchi dov’è caduta e lei non c’è più, avendo fatto fesso te e il tuo amico.
O peggio ancora, come capitò ad un collega accanito beccacciaio (a proposito, la regina s’è meritata pur lei un neologismo a battezzare i suoi appassionati, come perniciaio, lepraiolo o camosciaro) il quale, avvicinatosi all’uccello che pareva morto, se l’è visto decollare come un aereo a reazione quando le sue dite la stavano quasi sfiorando, lasciandolo con un palmo di naso e impedendogli d’accarezzarne lo splendido piumaggio.
Inutile dire che quelle beccacce non riesci a mai a ribatterle, nessuno lo fa, anche perché sembra che in quell’occasione lei davvero sparisca, diventi quella “fuggiasca”, l’uccello da leggenda, che si racconta.