Etica Venatoria e...il tiro
- Scritto da Flavio Galizzi
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Il tiro è il momento conclusivo di una complessa azione di caccia, intesa non solo come azione di cerca del capo da prelevare per quella specifica giornata, e ciò vale ovviamente anche per la caccia all’aspetto, ma con un significato molto più ampio per coloro che partecipano attivamente, come gli accompagnatori, a tutte le attività gestionali della fauna, dal giorno dopo la chiusura del calendario al periodo di prelievo. Questa azione chiude un percorso complesso e intenso, come si trattasse del taglio del nastro all’arrivo per un maratoneta, per un ciclista che ha scalato un passo alpino dopo numerose tappe, oppure lo sventolamento della bandiera a scacchi per un ferrarista, per raggiunger il quale si è impegnato per mesi e a cui ha dedicato tempo e passione.
A un appuntamento così importante non si può giungere impreparati!
Quante volte accade che invece non si sia stati sufficientemente previdenti controllando la taratura dell’arma, oppure la fretta ci abbia fatto perdere la concentrazione necessaria, oppure l’emozione ci abbia giocato un brutto scherzo?
Per quanto riguarda gli aspetti emozionali, trattandosi di una caratteristica del tutto soggettiva, essi sono vissuti da ogni cacciatore con intensità e controllo emotivo diversi; solo gli anni e la pratica aiuteranno a dominarli. Conosco amici che alla vista di un selvatico, nonostante i molti anni di caccia, vengono presi da ansia respiratoria così intensa da provocare agitazione e persino difficoltà di controllo dell’arma. Basta ovviamente un minuto per riprendere il controllo, ma bisogna che questo minuto passi senza che qualcuno intervenga con sollecitazioni o peggio mettendo fretta, come a volte qualche accompagnatore fa, peggiorando così la situazione e pregiudicando l’esito del tiro. L’incontro con la preda deve essere vissuto con la massima tranquillità, direi quasi con naturalezza. Ma perché ciò avvenga le uscite di osservazione dei selvatici devono essere frequenti, i luoghi devono essere conosciuti oppure, qualora ci trovassimo ospiti in ambienti nuovi, si deve avere acquisito una certa confidenza con chi ci accompagnerà, direi meglio una certa amicizia e piena fiducia affinché l’immersione nello scenario in cui avverrà l’incontro sia quanto più naturale possibile, senza nulla togliere al fascino dell’ignoto. Bosco o scenario alpino non dovrebbero avere segreti, anche nella grande e inevitabile diversità di ogni luogo, con i suoi colori, i suoi rumori, con profili e orizzonti sempre di grande bellezza. Sì, perché ogni luogo in cui si caccia è carico di fascino, è carico di un’aura propria, di vita e di emozioni. Emozioni che vanno lasciate emergere con discrezione, e assaporate, ma anche dominate, non certo represse. Fino al momento dell’incontro. Nei ricordi del "dopo caccia" potranno riaffiorare con tutta la loro originaria intensità. La frequentazione dei luoghi nelle diverse stagioni, così come gli incontri che si fanno nei diversi periodi dell’anno, in cui gli animali hanno comportamenti diversi, stimolerà il desiderio di conoscerli meglio, e solleciterà la nostra attenzione. Quando ritorneremo negli stessi luoghi per la caccia, le emozioni vissute si rivestiranno di sensazioni nuove, cariche di tensioni e di responsabilità, ma anche di rispetto nei confronti di qualcosa di sacro che stiamo compiendo, che richiede rispetto, attenzione e concentrazione. Al tiro dobbiamo giungere preparati anche sul piano emotivo.
Un aspetto impostante da bandire nel modo più assoluto è la fretta. Velocità di esecuzione non vuol dire assolutamente fretta, semmai vuol dire abilità e destrezza nel coordinare alcuni gesti che ci devono venire spontanei: per raggiungere l’abilità necessaria non c’è altra via che la concentrazione e l’esercizio. La concentrazione deve rivolgersi non solo verso l’individuazione del selvatico, per una veloce quanto corretta valutazione del capo, ma contestualmente anche nei confronti del "luogo", inteso sia come conformazione geologica, per l’individuazione rapida di un possibile appoggio sicuro per il tiro, ma anche di eventuale direzione di fuga del selvatico, sia come contesto vegetazionale, mappando tutti gli eventuali ostacoli che si possono trovare lungo la traiettoria del tiro. L’individuazione del selvatico non deve quindi farci prendere da un’eccessiva emozione, sempre in agguato; sarà possibile se la nostra attenzione e concentrazione sarà rivolta a come muoverci per trovare un appoggio sicuro per il tiro, e a come non farci sorprendere dai sensi sempre in allerta del selvatico. Non sempre avremo il tempo necessario, ma un esercizio serio e un’attenzione interiore viva ci permetteranno nella maggior parte dei casi di non sprecare l’occasione. Da ciò si capisce come la "cerca" non è da tutti, e resti una pratica venatoria da lasciare al cacciatore maturo, al quale, semmai, dovremmo desiderare di affiancarci per comprenderne e apprendere i segreti e lo stile.
Tutto ciò vale non solo quando ci troviamo in ambiente boschivo a caprioli o a cervi, ma anche per l’alta montagna nei confronti del camoscio, sempre vigile, scaltro e smaliziato. Sono gli animali i veri conoscitori dell’ambiente, dai quali tutto abbiamo da imparare, e nei confronti dei quali dovremmo sempre continuare ad accrescere le nostre conoscenze, specie sotto il profilo comportamentale e sociale, troppo spesso sottovalutati. È per questo che la chiave per giungere a concludere la nostra azione di caccia in maniera eccellente non può prescindere dalla nostra frequentazione dell’ambiente di caccia, così come dalla conoscenza specifica della specie che ci apprestiamo ad insidiare. Al momento del tiro giungeremo preparati solo se abbiamo una elevata conoscenza dell’animale che stiamo cacciando, della sua etologia nei diversi mesi dell’anno e del contesto ambientale e stagionale in cui svolgiamo il prelievo. Il tiro, di per sé, senza queste emozioni vissute e gestite correttamente, può non significare nulla; meglio allora sarebbe sparare a delle sagome, così saremo certi di non fare danni. Sì, perché, se la nostra preparazione non è completa, di danni ne potremo fare anche parecchi. Un animale ferito è di per sé un danno, anche se poi lo recuperiamo. Un danno per lui, ma anche per il cacciatore: il ferimento non è mai un esito venatorio da giustificare con leggerezza, anche se fa parte purtroppo degli eventi possibili.
Un bravo accompagnatore si sente in dovere di riprendere sempre il cacciatore che ferisce, anche se per lo più in tono bonario, e chiude la giornata, anche quando il capo viene recuperato, con un po’ di amaro in bocca, proprio perché non vorrebbe mai veder soffrire un animale. La passione e il desiderio di conoscenza non possono che accrescere le abilità di ogni cacciatore; saremo bravi cacciatori nella misura in cui avremo la certezza, la voglia e la tensione interiore di avere ancora qualcosa da imparare. Il presuntuoso non potrà che rimanere un cacciatore modesto, superficiale, dal quale non si avrà nulla da imparare, nonostante l’ingloriosa enfasi con cui condisce spesso i suoi racconti di caccia.
L’azione conclusiva del tiro richiede infine, oltre a questo bagaglio esperienziale e di conoscenze della fauna, anche un bagaglio tecnico, legato alla conoscenza della propria arma, delle sue qualità intrinseche, delle sue potenzialità e della sua precisione. Per questo motivo non si può prescindere dalla pratica del tiro, anche saltuariamente, con la propria arma. Acquisire confidenza e dimestichezza con l’arma che si utilizzerà a caccia significa avere maturato un pieno senso di responsabilità per il momento magico che conclude l’azione di caccia. Anche qui si rileva spesso un livello alto di irresponsabilità da parte di troppi cacciatori, quando iniziano la stagione del prelievo senza aver mai sparato nemmeno un colpo dall’anno precedente. Alcuni comprensori chiedono che prima dell’inizio dell’attività venatoria si pratichino delle sezioni di tiro per controllare la precisione della la propria arma e l’abilità del cacciatore, altri organizzano della gare di tiro proprio per permettere a chi partecipa di tarare, nell’occasione, la loro arma, altri ancora stanno pensando di farlo. Se si valuta il costo minimo che tale impegno comporta, irrilevante in rapporto a tutte le altre spese, non si capisce perché molti restino superficialmente poco attenti a questo aspetto, al contrario così importante!
Chiudere con piena soddisfazione un’azione di caccia con la consapevolezza piena di aver raggiunto una necessaria preparazione emotiva, di conoscere approfonditamente il selvatico che si sta cacciando, e di aver riacquisito la giusta confidenza tecnica e pratica della propria arma, rappresenta quell’aspetto etico-valoriale e di soddisfazione morale che qualifica e appaga pienamente ogni cacciatore serio e responsabile, ben al di là della stessa preda, che si tratti di un Kitz o di un magnifico trofeo.
Flavio Galizzi