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Gestione: il Parco Nazionale dei Monti Sibillini

Gestione: il Parco Nazionale dei Monti Sibillini
Custodi della Sibilla
 
DOVE UN TEMPO DIMORAVA LA LEGGENDARIA MAGA, SI ESTENDE IL PARCO NAZIONALE SIMBOLO DELLA BIODIVERSITÀ APPENNINICA. ARROCCATO TRA UMBRIA E MARCHE, È CARATTERIZZATO DA UN PROFICUO SISTEMA DI GESTIONE: UNA BATTERIA DI SELECONTROLLORI SPECIALIZZATI PROVVEDE AL MANTENIMENTO DELL' EQUILIBRIO TRA CINGHIALI, LUPI E TRADIZIONI AGRESTI. INTANTO CRESCONO LE PROSPETTIVE PER I CERVIDI 
 
area del Bonanno interessata dal rooting
 
La salita è tosta e c'è da fare una bella sudata, ma vale la pena infilare gli scarponi per raggiungere la cresta affilata del Vettore. Da quassù la vista abbraccia l'intera catena dei Sibillini e sembra sfiorare i confini del parco. Quasi 70.000 ettari di boschi e altipiani che ricadono su quattro province: Ascoli Piceno, Fermo, Macerata e Perugia. Una terra ricca di storia (la gloriosa scuola chirurgica si sviluppa nel medioevo dall'abbazia benedettina di Sant'Eutizio) e mitologia, appunto. A questo si aggiunge un patrimonio naturale sorprendente. Ad esempio il vicino lago di Pilato ospita un piccolo crostaceo, il Chirocefalo del Marchesoni, che costituisce un endemismo unico al mondo. Così, zaino in spalla durante le escursioni tra i tanti sentieri ben tenuti, è ancora possibile incontrare animali elusivi come la martora o il gatto selvatico. Tuttavia è molto più probabile imbattersi in qualche ungulato.
La popolazione dei cinghiali è infatti cresciuta costantemente, come in tutto l'appennino centrale del resto, a partire dalla fine degli anni '70. È seguita un'accelerazione circa venti anni più tardi, per via del cosiddetto "effetto spugna": molti branchi si sono insediati stabilmente nell'area protetta, migrando di diversi chilometri per sfuggire alle battute di caccia. Per questo il primo piano di contenimento ha preso avvio a soli cinque anni dall'istituzione del parco, nel 1998 (con la collaborazione dell'Università degli studi di Perugia) ed è stato preceduto da una fase sperimentale di preparazione e valutazione dell'impatto ambientale dei mammiferi. In particolare, sono state fatte rilevazioni sui danni causati nei campi (rooting) e sull'interferenza (predazione delle uova e dei nidiacei della coturnice, tra le altre cose) nei confronti degli habitat delle specie con le quali poteva entrare in competizione. Attraverso l'esame dei dati raccolti, sono partiti due programmi  quinquennali. Questo, che si avvia alla conclusione, è il terzo piano triennale di gestione del cinghiale ed ha permesso di arrestarne definitivamente la crescita demografica.
 
A Visso, sede dell'ente parco, incontriamo Alessandro Rossetti, funzionario tecnico e responsabile del progetto attuale, che non nasconde la soddisfazione: «Gli interventi si concluderanno nel mese di ottobre, ma siamo ormai vicini alla quota di abbattimenti prevista, 800 esemplari». Ci spiega che un ruolo fondamentale è giocato proprio dagli operatori, formati direttamente dal personale del parco e arruolati anche per le operazioni di censimento. Vengono svolte due volte all'anno, attraverso la compilazione di apposite schede sugli avvistamenti, dove indicare tra le altre cose sesso e classi di età. Serve quindi una buona dose di conoscenze etologiche ed esperienza sul campo. Perciò l'organico è stato rinnovato recentemente, attraverso un corso impegnativo e la creazione di una graduatoria. Ad oggi ci sono 160 selecontrollori, ai quali si aggiungono 30 gestori delle trappole (tra dispositivi di cattura fissi e recinti mobili), ma c'è da dire che quest'ultimo sistema ha una funzione marginale. Gli uomini sono suddivisi in sette distretti: Fiastra, Cessapalombo, Visso, Amandola, Arquata del Tronto, Norcia e Preci. Hanno un  rappresentante che tiene i contatti con l'ente parco e riceve il calendario, dove vengono indicati i settori in cui concentrare le  attività. Per il resto godono di una certa autonomia all'interno del comprensorio di appartenenza: spetta a loro individuare i siti di appostamento, poi approvati dal corpo forestale dello Stato che li cataloga, geolocalizza le coordinate e stabilisce la linea di tiro consentita. Possono utilizzare attrattivi e pasture, infine si organizzano individualmente, muovendosi sulle indicazioni del responsabile scientifico. Certo, in un ambiente chiuso come questo, costellato di gole e anfratti impenetrabili, la "girata" con l'ausilio dei segugi sarebbe utile a stanare gli animali. In realtà, sebbene teoricamente prevista dal piano, non è ancora stata testata. Mentre, tra gli strumenti consentiti, alla carabina bolt action potrebbe affiancarsi nei prossimi anni l'arco, per valorizzare un metodo affascinante e tradizionale, sulla scia di quanto auspica l'Urca e di quanto già avviene in altre province.
 
Spostandoci lungo il corso del fiume Nera, ci inoltriamo nella val Castoriana per raggiungere l'antico borgo di Preci, situato sul confine occidentale del parco. Qui operano una dozzina di uomini in grado di assicurare un impegno pressoché quotidiano sui trenta siti a disposizione. Tra loro non mancano ventenni e anche diciottenni alla prima licenza, che garantiscono forze fresche ed entusiasmo per il necessario ricambio generazionale. «Diamo il massimo e cerchiamo di coprire al meglio la zona, compatibilmente agli impegni di lavoro - racconta con un certo orgoglio Giampiero Bruni, il rappresentante della sezione - e questo mese porteremo a termine le operazioni di censimento». 
Già, perché il piano prevede anche un accurato monitoraggio dei caprioli. La popolazione stimata è di 4000 unità, sono in continua espansione e superiori numericamente agli stessi cinghiali. Ma al momento non si registrano conflittualità e i danni causati sono di lieve entità, quindi eventuali piani di contenimento saranno decisi solo in futuro. Per quanto riguarda i daini, troviamo soltanto qualche sporadico capo erratico, mentre sono i cervi a godere di ottima salute: circa 300 esemplari, dopo il progetto di reintroduzione che è stato avviato con successo nel 2005. 
 
recinto di cattura
 
capi catturati
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