Alpi Svizzere: i laghi di Chiera
- Scritto da Luca Bettosini
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I laghi di Chiera, il Piz Pécian e Pécianett
Testo di Luca Bettosini
Parte sulla zona palustre: Pannello didattico all’Alpe di Chiera
Foto di Luca Bettosini, Vittorio Dellea, Ely Riva e Fabio Ticozzi
«Colore di cenere, intorno, le lische, i licheni, le rupi: tu acqua, rotonda nel mezzo, colore d'acciaio brunito. Tu piana nel mezzo dell'irte macerie; tu gelida immobile, come di marmo» Francesco Chiesa, 1918
La visita ai laghi di Chiera è una proposta escursionistica adatta a tutti vista la sua facilità. I metri di dislivello sono circa 620 e si raggiungono in poco meno di due ore, salendo da Somprei (1'848 m). Prima di arrivare ai laghetti si passa davanti all’Alpe di Chiera e alla sua zona palustre che trova in un territorio di grande importanza: i preziosi contenuti naturalistici, la forma particolare delle rocce e la presenza di un alpe secolare, ne fanno un paesaggio unico nel suo genere e per questo incluso in diversi inventari nazionali e cantonali.
La parte naturalistica piú pregiata è il terrazzo dove le rocce montonate, opera dell’azione del ghiacciaio, emergono tra boschetti di Pino montano e Pino silvestre. Alcuni di questi alberi sono testimoni di condizioni vitali estreme. Intercalate tra i pini, le depressioni del terreno raccolgono la pioggia e formano laghetti e zone paludose con la caratteristica vegetazione da torbiera. Il pendio che sovrasta il terrazzo conduce ai laghi di Chiera, situati in una conca racchiusa da picchi frastagliati mai raggiunti dal ghiacciaio. I torrenti che scorrono lungo il pendio arrivano sul piano e scompaiono nel sottosuolo, ricco di fessure nascoste dalla vegetazione. Dall’estremità sud del paesaggio palustre possiamo osservare in modo privilegiato la sottostante Valle Leventina e lo stupendo panorama delle Alpi all’orizzonte.
Rocce che parlano
La zona palustre dell’Alpe di Chiera è dominata da scisti e gneiss, la tipica roccia grigia a macchiettatura scura. L’azione del ghiacciaio dell’ultima glaciazione, circa 10'000 anni fa, ha levigato e arrotondato le rocce del terrazzo (per questo sono dette rocce montonate). Toccando la roccia possiamo sentire la presenza di elementi sporgenti: i granati. Questi minerali di colore rossastro affiorano perché, piú duri della roccia sottostante, resistono all’erosione. Il pendio che porta ai laghi è formato dai detriti morenici lasciati dal ritiro del ghiacciaio. Qui sono numerose, anche le sassaie, composte dalle pietre staccatesi dalle pareti rocciose circostanti. La zona di Chiera si muove lentamente verso valle. Le grandi e piccole fratture nelle rocce sul terrazzo ne sono una manifestazione. L’area è conosciuta dalla gente del posto per queste voragini che possono rappresentare un pericolo per chi vi si avventura imprudentemente.
Tracce del passato
L’alpe di Chiera, di proprietà della Degagna generale di Osco, fu costruito attorno al 1200 come alpe per il pascolo dei cavalli da soma. Questi erano utilizzati nei trasporti lungo l’antica via che raggiungeva Freggio e proseguiva, verso Catto e Lurengo, una via parallela a quella utilizzata lungo la sponda destra del fiume, passante per Dalpe e per Prato Leventina. In seguito l’alpe fu poi sfruttato per vitelli, manze e capre in modo intensivo. I pascoli alpini erano piú produttivi rispetto ad ora: il bestiame vi restava piú a lungo, si produceva fieno e prodotti caseari. Oggi l’alpe è utilizzato estensivamente con pochi capi di manze, vitelli e pecore, che vi permangono solo durante il mese di agosto. In tempi passati, per estendere le zone adatte al pascolo, furono scavati diversi canali di drenaggio che prosciugarono alcune zone palustri sulle aree pianeggianti. I segni di questi canali, oggi ancora ben visibili per la loro linearità, si stanno cancellando, lentamente, con la crescita naturale della vegetazione.
Scuola di sopravvivenza
La zona pregiata Nei Pini è temprata da inverni rigidi e lunghi e da stagioni riproduttive miti ma corte. In aggiunta ad un terreno saturo d’acqua, povero di sostanze nutritive e acido queste condizioni favoriscono la presenza di una flora e di una fauna esclusive. All’inizio dell’estate dominano nella paludi le distese di fiocchi bianchi dei Pennacchi (Eriophorum angustifolium ed E. vaginatum). Altre piante palustri sono le carici, i giunchi e i muschi, tra cui gli sfagni (Sphagnum sp.) che, crescendo molto lentamente, formano la torba, il caratteristico terriccio nero composto esclusivamente dai resti di questo muschio. Nelle acque di alcuni laghetti troviamo lo Sparganium angustifolium, una pianta galleggiante dagli strani frutti a riccio. Il sottobosco è composto di mirtilli, ginepri e rododendri sui cui rami si possono notare strane formazioni giallo-rosa: non sono frutti, bensí funghi parassiti (Exobasidium rododendri). Gli animali che popolano i biotopi umidi sono numerosi. Tra gli anfibi troviamo la Rana rossa e il Tritone alpino, una specie quest’ultima minacciata d’estinzione. Fra gli insetti risaltano le libellule: temibili predatori sia come larve negli specchi d’acqua, sia come adulti dominatori degli spazi aerei. Alcune, come Aeshna juncea, sono frequenti in questi ambienti umidi d’altitudine. Nelle zone asciutte delle paludi è comune anche la Formica rufa, dai caratteristici formicai a forma di campana. Il pendio che conduce ai laghi e le zone attorno all’alpe sono ambienti piú secchi e piú fertili rispetto al terrazzo, e la vegetazione che vi cresce è tipica dei pascoli alpini: Poa alpina, Phleum alpinum e Festuca rubra sono apprezzate dal bestiame mentre il Nardo (Nardus stricta), un’erba dura e pungente, non è gradito e di conseguenza si espande. Le rocce delle pietraie e dei muri a secco sono coperte dalle formazioni colorate dei Licheni, organismi composti di un fungo e un’alga che vivono in simbiosi. Alcuni di questi crescono anche sul terreno, come Solorina crocea. I prati sono animati da varie farfalle, come quelle del genere Erebia e Hesperia, con i loro colori semplici ma ricchi di toni naturali e spesso iridescenti. La quiete caratteristica degli ambienti alpini è interrotta da suoni naturali e gradevoli: il canto del Codirosso spazzacamino (Phoenicurus ochruros) o del Culbianco (Oenanthe oenanthe), oppure, sui pendii sovrastanti l’alpe, i fischi delle marmotte in allarme.
Obiettivi di protezione
La zona palustre dell’Alpe di Chiera è considerata d’importanza nazionale e di particolare bellezza perché è unica nel suo genere ed è una delle piú pregiate. I biotopi presenti, iscritti in inventari nazionali e cantonali, sono vitali per molte specie rare e minacciate d’estinzione. La sua tutela è quindi essenziale per la conservazione della biodiversità. In Ticino, oltre all’Alpe di Chiera, si trovano altre quattro zone palustri d’importanza nazionale: il Piano di Magadino, l’alpe di Zaria, i Monti di Medeglia e, la piú estesa, la zona palustre Lucomagno-Dötra.
La zona palustre dell’Alpe di Chiera è un paesaggio di rara bellezza e non vi sono grosse minacce che rischiano di comprometterne il suo stato. Essa è raggiungibile unicamente tramite un sentiero, perciò l’area è poco frequentata dal turismo. Inoltre, grazie alla sensibilità del proprietario dell’alpe – La Degagna generale di Osco – anche la principale fonte potenziale di disturbo, rappresentata dall’alpeggio è convenientemente regolata. La qualità di questo paesaggio palustre potrebbe, infatti, essere alterata da una pascolazione incontrollata: il calpestio degli animali causa danni diretti alla vegetazione palustre e di torbiera, l’apporto di sostanze nutritive modifica la composizione floristica, favorendo le specie poco esigenti e a scapito di quelle – piú rare – che crescono meglio su terreni poveri. Di conseguenza, l’alterazione della composizione vegetale si riflette sulla diversità delle specie animali ad essa legata.
L’inventario delle zone palustri di particolare bellezza e d’importanza nazionale ha origine da un articolo della Costituzione federale, votato da popolo e cantoni nel 1987, conosciuto come articolo costituzionale di Rothenthurm. Esso mira a proteggere i biotopi ed i paesaggi umidi di particolare valore per la Svizzera. Con l’entrata in vigore nel 1996 dell’Ordinanza di protezione delle zone palustri, sono stati creati i presupposti per una protezione attiva di questi ambienti pregiati; essa favorisce la gestione consapevole e duratura dei paesaggi palustri. Nella zona palustre dell’Alpe di Chiera le misure di protezione mirano a salvaguardare le zone umide. Al fine di impedire i danni da calpestio e da concimazione, si attua la limitazione dello scolo, confinandolo nelle zone meno pregiate dal punto di vista naturalistico, usando recinzioni elettriche attorno agli elementi da proteggere (di scarso valore nutritivo per il bestiame). Nelle zone riservate al pascolo si auspica di intervenire con provvedimenti per contenere l’espansione del Nardo e favorire specie foraggiere migliori. Tagli mirati o il pascolo di capre, che si accontentano anche di questa pianta, potrebbero essere una soluzione. Tutti possono contribuire alla conservazione di questa importante area comportandosi in modo corretto e rispettoso, ad esempio portando a casa i propri rifiuti ed evitando di accendere fuochi.
Laghi di Chiera (2'344 m e 2'361 m)
"Il fianco nord della Leventina – se si considera la Val Piora un’unità autonoma – è poverissimo di laghi, quattro in tutto: è quindi tanto piú stupefacente l’apparizione dei due laghi di Chiera (o "Lei di Chiera" per dirla in modo ortodosso), sopra Rodi e la Gola del Piottino, al centro di un imbuto incantevole attorniato dalle cime del Pécianett (con la croce di ferro a coronarlo), del Pécian e del Pizzo Sole come sospesi sopra il fianco della valle e separati da questo terrazzo dell’Alpe di Chiera. Il lago superiore, il piú grande, ha una forma quasi perfettamente circolare e con un diametro di circa 300 metri, dominato dalla sagoma caratteristica del Pécianett e del Pécian, separati da un’importante faglia che forse ha facilitato l’azione erosiva del ghiacciaio nello scavare l’imbuto del lago". (1)
I due laghi sono separati da appena 17 metri di dislivello e sono di origine glaciale. Il Chiera grande è profondo una settantina di metri. Le specie immesse sono la Trota iridea e la Trota fario. In passato il lago grande è stato ripopolato anche con trote canadesi e salmerini fontinalis.
"L’acqua di uno dei due laghetti va, sotterranea, ad alimentare quella del Brenno, uscendo dalla grotta di Pertusio (l’Alpe di Pertusio è in prossimità del Passo del Lucomagno di fronte a bianche pareti di dolomia cariata: lí il Brenno, dimostrando bene la presenza di numerose cavità e doline di origine carsica, esce improvviso da una bassa apertura tra le rocce). L’incredibile fenomeno del passaggio di acqua al di là di una barriera rocciosa è spiegabile ricorrendo alla tettonica, con le sue teorie sulle coltri, le faglie, i ricoprimenti, lo scorrere delle acque sopra i rilievi di gneiss e il successivo passaggio nel sottosuolo non appena raggiunta una striscia calcarea facilmente solubile nell’acqua". (2)
Piz Pécian o Pizzo Pettine (2’662 m)
Piz Pécianett (2'764,2 m.)
Il Pécian è il monte panoramico situato appena a sud del Pécianett. Sulla sua cima si trova una grande croce. Il Piz Pécianett è un’importante vetta leventinese che si presenta in diverse forme osservandola da piú parti. Sovrasta in modo meraviglioso, assieme al Piz Pécian, il fondovalle leventinese tra Quinto e Varenzo con le sue vaste e ripide pareti colorate a seconda della stagione. Un’importante faglia tettonica separa il Pécianett dal Pécian. I nomi di queste due vette hanno una storia interessante: il Pécianett "nel 1700 si chiamava Pettina (nome dato a quel tempo anche al Pizzo Lucendro, a Ovest del Passo del San Gottardo). Nel 1805 si trova il nome di Pecano e Pettano sulla carta Dufour del 1858; riferito per la precisione all’attuale Pécianett; sulla Carta Siegfried del 1871 si chiama ancora Pettano e poi Pettine nelle successive (sempre riferito al Pécianett, con nessun nome per l’altra cima a sud). Sulle prime carte nazionali il nome Pécian viene dato alla cima piú bassa e Pécianett a quella piú alta. Sulla CN 1: 25'000 Ambrí-Piotta edizione 1977, su suggerimento di qualcuno che riteneva giusto seguire la logica della grandezza, il nome Pécian viene attribuito alla cima piú alta e quello Pécianett a quella piú bassa. L’ultima edizione della CN, rispettando l’usanza locale, rimette Pécian sulla cima 2'662 m e Pécianett (piccolo Pettine, riflettente la sua immagine in certe prospettive) a nord". (3)
Luigi Lavizzari, nel 1850, a spasso in Val Piora chiama Monte Pettine l'odierno Pecianét, dandogli anche la quota di 2’766 metri (Escursioni nel Cantone Ticino, ed. Dadò 1988, p. 341).
"L’idea di posare una croce su questa cima (a nome e coll’unione di tutta la cattolica Leventina) fu discussa l’8 luglio 1901 nella riunione della Società Piana svoltasi nella Chiesa dei Cappuccini di Faido. La croce venne realizzata il 6 agosto 1901 nella ferriera Cattaneo di Faido. Era lunga 13,50 metri: le braccia raggiungevano i 6 metri e la larghezza era di "centimetri 90 in quadro"; pesava 20 quintali, verrà a costare quasi 2'500 franchi. La croce fu trasportata, a pezzi, sul posto, il 26 agosto, da un gruppo di robusti fedeli. L’inaugurazione si svolse il 25 settembre 1901 con la partecipazione di centinaia di persone". (4)
È stata poi smontata e ristrutturata nel 1991 grazie alla supervisione e direzione lavori di Edo Tagliabue. Questa croce ha reso la cima una tradizionale meta di pellegrinaggio. Sul versante sudovest si trova una faraonica opera di muri antivalanga costruita negli anni 1889-1892 su iniziativa del Patriziato di Catto e Lurengo.
Itinerario Carí-Sompréi-Laghi Chiera-Carí
Per raggiungere Carí si prende l’uscita Faido-Lavorgo-Carí, autostrada A2, seguendo poi le indicazioni per Faido. Arrivati a Faido, continuare dritto fino alla piazza principale. Si svolta a destra subito dopo la banca Raiffeisen e si segue la strada; al bivio per Rossura si svolta a sinistra per continuare fino a raggiungere Carí. Da qui si seguono le indicazioni per Predèlp e infine per Sompréi dove, pochi metri prima di arrivarci, si può lasciare l’auto nel posteggio sterrato. Poco prima di Predèlp, in località Prodör (1'647 m) sale il sentiero che in circa 15 minuti porta alla capanna Prodör (1'740 m). La capanna, immersa nel bosco, è stata riattata nel 2008. Giunti a Sompréi (1'850 m) si prende il sentiero sulla destra delle case, segnato dal cartello (Laghi Chiera, un'ora e 40 minuti). Il tratto iniziale permette una stupenda visione panoramica sulle cime sottostanti. In pochi minuti si raggiunge una cappella di sasso, addentrandosi nel bosco dove il mio amico Vittorio, il 15 luglio 2010, ha avuto la fortuna di trovare il Porcino che vedete nella fotografia. La natura di questa zona è davvero ricca e meravigliosa, diverse sono le specie di fiori che si incontrano ai lati del sentiero come pure grandi estensioni di Ginepro. In questa regione si trovano quarzi e quarziti. Vittorio Dellea ha fatto alcuni ritrovamenti interessanti, come potete vedere nel riquadro di questo articolo. In circa 30 minuti di bel camminare si giunge al terrazzo dell’Alpe di Chiera con due fontane di acqua freschissima e il pannello didattico che spiega le particolarità della zona palustre. Passato l’alpe, si comincia a salire attorniati da una flora sempre piú ricca. In breve si arriva al primo laghetto di Chiera, quello piú piccolo a quota 2'344 metri, il secondo si trova a quota 2'361 metri. Qui vale la pena, se ci si trova nel periodo tra luglio e agosto, di osservare la flora presente sia sulle rive dei due laghetti sia nella zona circostante. Per riuscire a scattare una bella fotografie dei due laghi insieme bisogna salire o sul Piz Pécian (2'662 m) in circa 30 minuti senza molta difficoltà, o dall’altro lato in direzione Le Pipe (2'667 m), anche qui in circa un’oretta. Ma per una bella fotografia dei due laghetti non occorre proprio salire sulle due vette: basta alzarsi un poco in direzione dell’una o dell’altra. Il rientro avviene per il medesimo itinerario.
Scheda Tecnica
Dislivello in salita: 621 metri
Tempo di cammino: circa 2 ore
Dislivello in discesa: 621 metri
Tempo di cammino: circa un’ora e 15 minuti (per il rientro)
Cartine 1:25.000: Quadraconcept Alta Leventina; CNS nr. 1252 Ambrí Piotta
PARTENZA
Sompréi (1'850 m) raggiungibile in auto
ARRIVO
Sompréi (1'850 m)
Traversate verso altre capanne
Un’interessante traversata è quella che dal Passo Predèlp (2'445 m) si può fare fino alla capanna Cadagno (1'987 m) in Val Piora.
Note
1: "Laghi alpini del Ticino", di Filippo Bianconi, Società Ticinese per la conservazione delle bellezze naturali ed artistiche, 1969.
2: "Guida delle Alpi ticinesi, dal Passo del San Gottardo al Pizzo di Claro", Giuseppe Brenna, Edizioni CAS, p. 221, 222.
3: "Guida delle Alpi ticinesi, dal Passo del San Gottardo al Pizzo di Claro", Giuseppe Brenna, Edizioni CAS, p. 223.
4: "Va sentiero", di Plinio Grossi, Unione di Banche Svizzere Bellinzona.
Fonti
"Guida delle Alpi ticinesi, dal Passo del San Gottardo al Pizzo di Claro", Giuseppe Brenna, Edizioni CAS.
"Laghi alpini del Ticino", di Filippo Bianconi, Società Ticinese per la conservazione delle bellezze naturali ed artistiche, 1969.
"Laghi Chiera", cartina numero 6, Centro di Dialettologia e di etnografia (CDE), testo di Plinio Grossi, donazione Banca del Gottardo.