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L’evoluzione della Gestione Faunistico Venatoria: la storia, l’importanza e i cambiamenti necessari.

L’evoluzione della Gestione Faunistico Venatoria: la storia, l’importanza e i cambiamenti necessari.

Ospitiamo questo interessante intervento sulla gestione faunistico venatoria di Giovanni Batisti, giovane studente universitario della provincia di Firenze.

L’attuale gestione faunistico venatoria è figlia di un’evoluzione socio-economica, e ambientale che si può identificare prima nel blocco delle due guerre mondiali e, successivamente, nel blocco anni ‘60-‘90. Nel primo periodo si è assistito, causa maggiore, a un approccio all’ambiente e alla fauna dettato dalla sopravvivenza e non certo dalla necessità di gestire e mantenere il patrimonio faunistico; invece, nel secondo periodo, caratterizzato da intensa urbanizzazione e industrializzazione, si è verificato un lento progredire che è nato da una cultura racchiusa totalmente nell’ambito venatorio spesso poco regolamentato e fine a sé stesso. Successivamente, con un aumento delle conoscenze tecniche riguardo la gestione ambientale e conseguentemente della fauna, si è arrivati ad una sensibilizzazione del caso. Negli anni ’90 si conclude questo breve excursus storico con l’emanazione della legge principe della gestione faunistica e più genericamente dell’ambiente, ovvero la L.N. 157/92 del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Il titolo stesso della legge “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” indica che in quegli anni nasceva una nuova esigenza, ossia quella di tutelare in primis la fauna e in relazione ad essa regolamentare l’attività venatoria. Per quanto possano apparire recenti, questi sistemi sembrano diventare sempre più fallaci e lacunosi, molto probabilmente per i sempre più radicali e frequenti mutamenti ambientali che per forza di cose si tramutano anche in cambiamenti sulla fauna. È quindi necessario cercare di trovare nuove metodologie e nuovi approcci a questo sistema sempre più in trasformazione. Nonostante oggi l’interesse per l’ambiente, e più specificatamente per il mondo faunistico, stia aumentando, non si riescono a trovare metodologie di approccio verso tali questioni capaci di stabilire un equilibrio o quanto meno una situazione di parziale stabilità. La parola chiave è “gestire” e i motivi sono molteplici: la fauna, così come la componente vegetale di un sistema naturale, rappresenta una risorsa finita, ma con una caratteristica fondamentale, la rinnovabilità.

Pertanto, qualsiasi intervento di conservazione deve essere finalizzato in primo luogo verso la sostenibilità, mantenendo però tutti i benefici possibilmente ricavabili nel modo più duraturo e nella quantità più elevata possibile. Le attività rurali, soprattutto quella venatoria, possono così diventare strumento importante ai fini della gestione faunistica, nel perseguimento dell’obiettivo di un ecosistema stabile e quanto più naturale possibile. La gestione faunistica non deve essere solo politica e teorica, ma il più possibile tecnico-applicativa e rapportabile alla realtà. In un’epoca come quella attuale, di forte cambiamento su tutti i fronti ambientali e non solo, è improponibile pensare di trovare un equilibrio ideale, ma è fondamentale costruire un metodo di gestione che si adatti ai vari cambiamenti che, nel migliore dei modi, trovi un compromesso per mantenere il più stabile possibile il sistema uomo-natura poiché ad oggi usi e tradizioni sono cambiati risentendone anche il sistema agro-forestale e quindi quello faunistico. Dopo questo excursus storico è dunque lecito definire cosa sia la gestione faunistico venatoria. Si potrebbe quindi definire come “la disciplina tecnico-scientifica che persegue la conservazione dei vertebrati terrestri e delle acque interne, mediante interventi nei confronti della fauna stessa, dell'ambiente e della società”. A questa definizione deve conseguire una contestualizzazione. Attualmente in questo tipo di gestione l’aspetto economico sembra prevalere sempre più su tutti gli altri (soprattutto su quello scientifico), per cui i soggetti legati a tale settore, che siano professionisti, uomini di scienza, cacciatori o semplicemente cultori, dovrebbero attribuirgli maggior rilevanza. Ciò non solo perché porterebbe ad una più facile applicazione delle tecniche e decisioni venatorie visto il possibile ritorno economico, ma anche perché certe attività, spesso contestate, ad oggi, sarebbero più facili da giustificare. Per questo tipologia di approccio flora e fauna sono da considerarsi come due sistemi che generano ricchezza, basti pensare ai carnieri dei cacciatori, agli agricoltori e agli allevatori (in riferimento sia ad allevamenti zootecnici che faunistici). Oggi il mondo è principalmente basato sull’economia e la natura, in tal senso, può essere considerata un sistema economico che genera ricchezza. La gestione faunistico venatoria può essere il mezzo che, meglio di altri, può portare a questo input economico tramite il controllo dell’ambiente e quindi delle produzioni che da esso derivano.

È dunque importante proporre metodi venatori che, oltre a quantificare le densità di una popolazione, quantifichino (economicamente) anche i danni che questa può causare o le produzioni (carnieri) che essa può fornire. Dunque, si dovrebbe cercare di aumentare l’interesse verso l’ambiente come risorsa da sfruttare e soprattutto da mantenere, per riuscire a poter attingere a una sorgente rinnovabile e potenzialmente inesauribile, grazie proprio a un’efficiente gestione faunistico venatoria. Ma come possiamo sfruttare la ricchezza generata dalla fauna per la salvaguardia di quest’ultima e dell’ambiente in cui esiste? Un fattore che sicuramente può essere preso da esempio è quello della caccia e delle varie attività connesse a essa. La selvaggina ha un suo valore che può essere quantificato nei carnieri dei cacciatori e nella spesa complessiva per trarne dei vantaggi. D’altro canto un singolo animale, una popolazione o una specie che è presente in una determinata area, solo per il fatto che esiste, dà all’area in questione un valore, che in economia è definito come “valore di non uso”. Questo concetto si contrappone, ma allo stesso tempo è legato fortemente, a quello di valore d’uso, fondamentale nell’ambito della caccia, ovvero quel determinato valore che si attribuisce a un animale in quanto fruibile, che in termini tecnici potremmo definire come il valore del tiro. Altro importante valore economico/monetario che potremmo collegare alla fauna selvatica è quello della commercializzazione dei carnieri. Solitamente è nota la quantità di animali abbattuti in una stagione e di conseguenza la carne ottenibile da essi, il vero problema è che questa non può o non si vuole commercializzare. Da questo tipo di attività si potrebbe ottenere un indotto considerevole che creerebbe oltretutto una nuova filiera produttiva, allargando ben oltre l’ambito faunistico venatorio tale input produttivo.
La considerazione principale, al termine di questa disamina, si basa sul fatto che nello stato attuale, come già accennato nell’ introduzione, i repentini cambiamenti ambientali hanno portato su un nuovo piano la relazione uomo-natura, quindi oltre alla tecnica sembrerebbe sempre più necessario un nuovo approccio alla gestione e rinascita ambientale, per poter facilitare soprattutto quello che sono le comunicazioni
con il grande pubblico.

Un aspetto da affrontare, infatti, è quello delle mutate sensibilità nei rapporti uomo-animale, poiché se da un lato la sensibilità verso l’ambiente e la fauna, in tutte le sue sfaccettature, è considerevolmente aumentata da un punto di vista emotivo, dall’altro ciò rende l’approccio gestionale molto complesso da un punto di vista pratico. In primis, l’elemento che maggiormente ha influito è la nascita di certi atteggiamenti “animalisti” che rendono difficile la gestione faunistico venatoria e la diffusione di una conoscenza, cultura e tradizione che spesso non sono accettate per “principio”. L’argomento è di estrema importanza perché è proprio da qui che il sistema, più o meno direttamente, può subire cambiamenti radicali. Una giusta e oggettiva trasmissione delle informazioni in questo settore è più che fondamentale per non creare ideologie scientificamente errate che conseguentemente potrebbero tramutarsi in interventi ecologici sbagliati. Come in molte situazioni, è l’ignoranza, intesa come il non essere a conoscenza dei fatti, a generare controversie inutili e talvolta violente. Ad esempio il sovraffollamento di una specie in una determinata area da molti, erroneamente, può essere visto solo come un fattore positivo e verrebbe da pensare che controllare tale situazione con degli abbattimenti mirati sia visto come un affronto all’ambiente. In opposizione a questa tipologia di controllo, vengono spesso accostate i così detti metodi ecologici (art. 19, LN 157/92), senza però mai considerare l’onere economico che tale soluzione comporta e, soprattutto, ciò può incorrere semplicemente nel trasferimento del problema. Dati tali cambiamenti e difficoltà sarebbe introdurre un approccio di tipo etico non tanto per facilitare l’aspetto tecnico, quanto quello comunicativo con il grande pubblico curando attentamente la giusta informazione da proporre. Questo potrebbe favorire una gestione venatoria eticamente più sostenibile e inoltre sarebbe importante tentare di coinvolgere le nuove generazioni portandone a conoscenza delle problematiche di questo settore. Insomma in un mondo in cui le convinzioni e le conoscenze verso la natura cambiano di prospettiva, sarebbe auspicabile, oltre che proficuo, proporre un modello alternativo al modello classico della gestione faunistico venatoria, che possa essere supportato da uno strumento soprattutto comunicativo.

Non bisogna proporre il concetto di “gestione basata sull’ etica” in modo superficiale o privo di fondamenta solide, ma come una nuova visione che principalmente nell’immaginario pubblico ne faciliti l’applicazione, altrimenti nella maggioranza dei casi sarebbe semplicemente vista come una sorta di sfruttamento delle risorse naturali. Si potrebbe dunque pensare ad una visione etico venatoria basata sull’utilitarismo e il benessere olistico dell’ambiente e quindi sull'idea che si debba mirare a realizzare il miglior risultato; un esempio potrebbe essere la caccia di selezione nel caso in cui una popolazione di ungulati crescesse a dismisura (caso frequente in Italia) e la risorsa trofica fosse insufficiente per sostenerla, in questo caso l'abbattimento degli animali, nel modo più indolore possibile, sarebbe l’unico mezzo per ridurre il malessere, non solo del singolo animale abbattuto, ma di tutta la popolazione animale e al contempo stesso del contesto sociale umano direttamente coinvolto. Ciò che si cerca di evincere da questa teoria è che attraverso una gestione sensata e basata sull’ottimizzazione dei benefici si riesca a rendere efficiente e utile l’operato del mondo faunistico venatorio, con conseguenze positive per le popolazioni animali e per le diverse esigenze delle componenti socio-politico-ambientali. Altro esempio ancora è il percepire la gestione faunistico venatoria come mezzo di conservazione di specie autoctone spesso danneggiate e sopraffatte da quella alloctone che invece dovrebbero essere eradicate, ciò non soltanto in ottica ecologica, ma anche economica e sociale, evidenziando come le specie aliene spesso causino problemi sanitari e ingenti danni alle attività umane. La gestione e lo sfruttamento di animali selvatici generano divergenze etiche e dubbi in cui i bisogni, le preferenze e gli interessi della società si scontrano con la preoccupazione per il benessere della fauna, dunque è di fondamentale importanza riuscire a stabilire e quantificare ciò che definisce “buoni” o “cattivi” gli interventi nei confronti della fauna selvatica. Attualmente è questo il problema più importante della gestione faunistico venatoria. Ad oggi per favorire la facilità d’azione e controllo è sempre più necessaria una nuova capacità comunicativa. Purtroppo il comune senso d’ignoranza e spesso la poca sensibilità rivolta a questo settore rendono attualmente difficile un efficace e repentino cambiamento, non tanto per quanto riguarda l’intensità o la quantità dell’intervento, ma per la qualità e l’approccio utilizzato. È’ difficile riuscire a divulgare una scienza (anche a livello basilare) in cui l’ecologia, nell’immaginario collettivo, non sia vista come il mondo “Bambi”.

Diventa, dunque, fondamentale cambiare radicalmente l’approccio a questo tipo di attività, quindi a livello teorico e informativo, ma soprattutto nella sua attuazione pratica. Sarebbe dunque necessario cambiare mentalità e approfondire le proprie conoscenze, avere “più scienza e coscienza e molte meno credenze”. In conclusione di ciò oggi non è possibile demonizzare solo ed esclusivamente l’attività venatoria, insita e atavica nella natura e sopravvivenza dell’uomo. Non è la caccia la causa principe della perdita di biodiversità (basti pensare ai trend demografici decrescenti nelle popolazioni di cacciatori); ma bensì lo sono i repentini e intensi cambiamenti agro-climatici. Non per questo motivo si vuole totalmente giustificare l’attività venatoria, che a livello locale o di popolazione può comunque portare a conseguenze negative, soprattutto in un ecosistema fragile ma è anche vero che la natura non è una favola, è una dura realtà che spesso la Caccia, se ben conosciuta e attuata, meglio di altre attività può gestirla. 

 

Presentazione personale

Sono iscritto all’ultimo anno magistrale della facoltà di Agraria di Firenze al corso di Scienze e gestione delle risorse faunistico ambientali. La passione verso l’ambiente e il mondo venatorio, oltre che per gli studi intrapresi, è nata per il mio stile di vita, spesso vicino alla campagna e alla natura, per il grande interesse verso la caccia e tutte le sfaccettature che la riguardano. La regione in cui sono nato e cresciuto, la Toscana, mi ha offerto la possibilità di approfondire le conoscenze della caccia anche dal punto vista della cultura e delle tradizioni, così complicata e diversificata proprio perché in tale regione è insita nella cultura popolare. Ciò ha favorito il mio avvicinamento a questa realtà facendomi capire l’importanza della comunicazione e della diplomazia richiesta nella gestione di questa attività. Ho dunque deciso di intraprendere questa esperienza della scrittura pensando che nel settore della gestione ambientale, in cui un giorno spero di poter lavorare, uno strumento molto importante sia la capacità comunicativa a supporto di un’ottima preparazione tecnico-scientifica. Spero con questo articolo di esprimere al meglio la mia idea di come la gestione faunistico venatoria e la caccia siano strumenti fondamentali per la tutela dell’ambiente.

Giovanni Batisti

 

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