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Il fagiano al tempo del colera

Il fagiano al tempo del colera
Prosegue la collaborazione tra Cacciando.com e Roberto Mazzoni della Stella, esperto di gestione faunistica. 
Questa volta si parlerà di fagiano, cui Mazzoni della Stella ha dedicato un interessante manuale.
 
Il fagiano al tempo del colera
 
Se agli ungulati va di lusso; se la lepre non sta tanto bene; se la starna è morta e sepolta; nel caso del fagiano verrebbe la voglia di dire che siamo davvero “al tempo del colera”. Il fagiano è infatti il grande malato dei nostri giorni.
Molti dei guai che affliggono questa specie vengono da lontano, ma altri sono più recenti. 
L’elevata mortalità dei pulcini, per fare un esempio, è un problema che assilla la specie fin dal tempo dell’introduzione in agricoltura dei diserbanti. Questi pesticidi, infatti, innescano una micidiale catena di morte. Eliminando le erbe infestanti, essi eliminano anche gli insetti che di queste si nutrono. A sua volta, l’estrema rarefazione degli insetti porta, ahinoi, a morte i pulcini, che per loro sventura nelle prime settimane di vita hanno una dieta quasi esclusivamente proteica.
Anche gli effetti derivanti dall’appiattimento del paesaggio campestre non sono certo una novità. La quasi totale distruzione dei margini erbosi, che un tempo costeggiavano campi, boschi, siepi, fossi, strade campestri, ecc., ha privato le fagiane di siti ideali per la nidificazione.
Una mezza novità sono invece i terreni lasciati a riposo obbligatorio e soprattutto la crisi sempre più acuta della cerealicoltura, con la conseguente espansione, soprattutto in collina, di terreni lasciati incolti o addirittura abbandonati.
Queste trasformazioni colpiscono pesantemente il fagiano che è una specie granivora molto legata alla coltivazione dei cereali.
foto Batti GAI
 
Per identici motivi, la scomparsa, o comunque la rarefazione, sempre nelle aree collinari, delle stoppie cerealicole gioca un ruolo a dir poco nefasto. Durante l’autunno, l’inverno e la prima parte della primavera, infatti, la dieta delle fagiane è strettamente legata ai semi che residuano in questi ambienti. Questa nutriente dieta consente loro di accumulare delle abbondanti scorte di grasso indispensabili per affrontare con successo la produzione e l’incubazione delle uova, nonché il successivo allevamento dei pulcini. Le precarie condizioni fisiche, conseguenti alla carente alimentazione invernale, finiscono invece per rendere le fagiane facili prede della solita micidiale congerie di predatori: volpi, cani e gatti randagi, ecc.
E qui veniamo ad un altro punto dolente. Il fagiano oggi si trova a dover fare i conti con una squadra di temibili predatori, rinforzatasi di recente con l’acquisto di un vero fuoriclasse: il cinghiale.
Questo ungulato, infatti, ormai indebitamente diffuso in gran parte delle aree coltivate, svolge un ruolo predatorio non secondario nei confronti del fagiano. Se a tutto ciò aggiungiamo le oggettive difficoltà incontrate oggigiorno da un’azione di contenimento di questa pattuglia di predatori, è facile rendersi conto delle scarse aspettative di vita sulle quali possono fare assegnamento i moderni fagiani.
Tuttavia, una bella mano ai predatori viene anche dalle continue immissioni di ingenti quantità di fagiani allevati in cattività.
E non tanto perché questi ultimi differiscano in modo sostanziale nel loro comportamento dai loro confratelli selvatici, quanto piuttosto per l’estrema fragilità antipredatoria che mettono in mostra sia al momento dell’immissione sia, nel caso riescano a salvare la pelle, nella successiva primavera.
I problemi più acuti infatti si fanno sentire con l’arrivo della buona stagione. La riproduzione è infatti, sia per i maschi sia per le femmine, un periodo di grande stress. Ed è proprio lo stress riproduttivo, unito ad un’insufficiente alimentazione, che facilita nei fagiani immessi l’esplosione di gravi malattie intestinali e respiratorie. Tali patologie, che non sono certo il colera ma nemmeno un semplice mal di testa, facilitano enormemente la predazione e con ciò il fallimento riproduttivo di questi fagiani.
Continuare a cercare di incrementare le popolazioni di fagiano con le sole immissioni di fagiani allevati in cattività, sottovalutando i problemi con i quali questa specie deve dare i conti, equivale quindi, come si è usi dire dalle mie parti, a “bruciare i lenzuoli per fare la cenere”. Tradotto: a sperperare soldi. Sarebbe assai più saggio puntare, sia pure gradualmente, ad un incremento della riproduzione naturale dei fagiani tramite un’oculata politica di miglioramenti ambientali. E in questo campo non mancano certo delle efficaci ed economiche “cartucce”.
 foto Batti GAI
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