IL TABU' LUPO
- Scritto da Alessandro Bassignana
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Canis lupus italicus, questo è il nome scientifico del lupo che…popolerebbe l’Italia, e il perché di questo condizionale lo capiremo tra poco, illustrando alcune teorie sulla sua diffusione che ormai circolano da qualche anno. Si tratta di una sottospecie del lupo grigio, diffuso in Eurasia, America ed Africa, praticamente in quasi tutto il mondo.
Il rapporto che lega l’uomo al lupo è antichissimo, anche perché è un animale “sociale”, che vive in gruppi formati da genitori e figli; in più è uno straordinario cacciatore, al vertice della catena alimentare, un “superpredatore” o se si vuole usare altro termine un “predatore alfa” che nei territori ove vive ne teme solo altri due, a lui superiori: la tigre e l’uomo!
Sarà per questo, o forse per altre ragioni, che nei millenni la competizione tra uomini e lupi si sviluppò sempre, con i primi che cacciandolo cercarono d’eliminare i secondi. Ma la natura li aveva dotati di qualità straordinarie e così questi animali riuscirono a sopravvivere, seppur confinati in qualche recesso montano o in boschi e foreste impenetrabili.
In Italia ebbe un drastico declino, cacciato, ma forse si potrebbe anche dire perseguitato, per secoli, con il pagamento di significative taglie per il loro abbattimento, sino a che all’inizio degli anni settanta del passato secolo non ne restavano che un centinaio d’esemplari, confinati tra Sila e Abruzzo: un areale, secondo il prof. Boitani, tra il 3 e 5% dell’originario. Anche in Europa il lupo non ebbe migliore destino, mantenendo la sua presenza solo nei Balcani e in Spagna, dove esisteva una popolazione piuttosto importante.
Proprio in quel periodo si cominciò a proteggerlo in maniera sempre più convinta tanto da inserirlo, prima con la legge sulla caccia n. 968 e successivamente nella l.157/92, tra le specie “particolarmente protette”; la stessa Convenzione di Berna, elaborata nel 1979 e resa esecutiva in Italia dalla l. 503 del 05/0/81, lo inserì nell’Allegato II come specie faunistica “assolutamente protetta”. Infine, dal 1997, il lupo è nell’allegato D del CITES, come specie di interesse comunitario.
Da allora però, Ezechiele di strada ne ha fatta parecchia, certo buona parte con le sue gambe, ma anche grazie all’azione dell’uomo ed ora, a distanza di una quarantina d’anni la situazione si presenta in maniera ben differente, tanto da mettere in discussione lo stesso “status legale” di questo atavico predatore, in piena ripresa numerica quasi ovunque e divenuto serio problema per le popolazioni che si trovano a conviverci.
Vediamo dunque di capire cosa sia successo nel frattempo; quali le ragioni di questa esplosione numerica e quali le possibili soluzioni, considerando la recente decisioni di molti Paesi europei di riaprirne la caccia, prima tra tutti la Francia, proprio ai confini dell’Italia e nei confronti di lupi che si direbbe…giunti dall’Italia! Basti qui ricordare le recenti polemiche legate al rischio che “lupi italiani” si potessero cibare di cadaveri dei passeggeri del volo tedesco fatto precipitare sulle Alpi Francesi dal secondo pilota.
Che il carnivoro, con progenitori comuni al nostro cane domestico da cui si differenziò circa 15.000 anni fa, sia animale particolarmente attrezzato a sopravvivere, ce lo dice la storia, perché in passato fu uno dei mammiferi più diffusi del pianeta, con un areale praticamente illimitato e presente in quasi tutto l’emisfero settentrionale. La sua biologia, e la capacità d’adattamento, l’hanno reso capace di rifugiarsi in recessi inaccessibili da cui, godendo di protezione, è poi riuscito infine a espandersi nuovamente, colonizzando territori da cui era stato eradicato secoli prima.
Certo in questo fantastico percorso, nonostante gli studiosi abbiano individuato un vero e proprio “corridoio ecologico” che snoda lungo la dorsale appenninica e va a saldarsi con le Alpi Marittime, esistono dubbi e perplessità, non fosse altro che il lupo è riapparso prima nelle provincie di Cuneo e Torino, piuttosto che La Spezia, Genova o Savona, città che s’incontrano prima sulla strada che…da Pescasseroli porta sino a Bardonecchia o Sestriere!
Spieghiamoci meglio: i primi avvistamenti “alpini” avvennero all’interno del Parco del Mercantour, in Francia e al confine con l’Italia. Successivamente furono osservati, e filmati, nel Gran Bosco di Salbertrand e nel Parco Naturale della Val Troncea, in provincia di Torino. Da quel momento una crescita inarrestabile, che ha portato il lupo a spostarsi sull’altro versante dell’arco alpino, verso oriente.
Un problema collegato è quello della presenza di ibridi, potendo il lupo incrociarsi con cani domestici, che arrecano danni e inquinano la purezza genetica del canis lupus italicus.
E veniamo ai dubbi: sebbene i francesi “accusino” gli italiani di aver favorito la diffusione del carnivoro, senza ostacolarla, di qua delle Alpi non pochi, e tra questi anche alcuni studiosi, sostengono l’opposta tesi, e cioè che il lupo sia stato immesso volontariamente dai cugini transalpini per tenere sotto controllo il numero di ungulati, in primis i mufloni diffusissimi a seguito di reintroduzioni nel Mercantour e zone limitrofe.
In effetti il lupo risulta efficacissimo contro la pecora selvatica proveniente dalla Sardegna, come ben sanno i gestori dell’Azienda Faunistica dell’Albergian, a Fenestrelle (TO) dove, riapparso il lupo, i mufloni sono crollati drasticamente di numero, passando in un paio di decenni da quasi 1.500 a…poche decine di esemplari, in pratica l’eradicazione completa, proprio come vorrebbero ora coloro che propendono per tale pratica nei confronti delle specie alloctone.
Dall’altra parte i sostenitori della migrazione spontanea ci raccontano come il lupo sia animale erratico, capace di muoversi per centinaia di chilometri alla ricerca di territori nuovi territori di caccia, dispersione questa che riguarda i soggetti giovani, capaci così di formare nuovi branchi. Gli stessi però non ci spiegano come l’abbiano potuto fare “saltando” centinaia di chilometri di montagne e colline liguri senza farsi vedere o lasciare segni della loro presenza, e questo pur attraversando zone, come il savonese, dove la consistenza di cinghiali e caprioli (sino a 40 capi ogni 100 ettari!) risulta tra le più elevate d’Italia. Ora è ampiamente diffuso anche nella stessa Liguria, ma molti anni dopo aver imparato ad…ululare in piemontese e francese.
Altri poi sostengono come la morfologia dei lupi alpini sia differente da quella del “cugino” appenninico, con dimensioni maggiori, mantello di diverso colore e sfumature, ma anche di come la maggiore facilità d’avvistamento (chi frequenta regolarmente la montagna, pastori, cacciatori o escursionisti, li vede spesso) denoti…maggior confidenza con l’uomo; a loro si contrappongono altri che, raccogliendo feci, o esaminando le spoglie dei soggetti trovati morti, sostengono si tratti d’animali con…DNA appenninico, nemmeno se questo fosse facilmente distinguibile da quello di ogni altro lupo grigio europeo!
Comunque sia chiudiamola qui, non essendo questo l’elemento determinate, anche perché è indubbio come poi da Torino e Cuneo molti soggetti abbiano effettivamente migrato sino alla Svizzera o al Veneto, dove pare si stiano “saldando” con le popolazioni dinariche: è noto il caso del recente “matrimonio” di…Giulietta, elegante lupa d’origine piemontese, e Slavc, robusto maschio sloveno, avvenuto nei boschi della Lessinia, a due passi da Verona.
Quello su cui invece pare il caso soffermarsi è capire quale sia il punto d’arrivo che si prefiggono tutti questi “lupologi”, entusiasti per il ritorno del grande predatore, e quali invece gli obiettivi di coloro che, viceversa, pretendono la “gestione” del lupo.
E’ indubbio come la sua grande crescita sia stata favorita dalla presenza di ungulati in numero elevatissimo; questo sostiene lo stesso Luigi Boitani, professore de “La Sapienza” di Roma e uno dei massimi esperti europei della materia, affermando come da quattro/cinquecento anni in Italia non vi sia mai stato un patrimonio così importante di fauna ungulata.
Le ragioni si spiegano facilmente se si pensa come l’abbandono di terreni montani e pedemontani un tempo coltivati abbia favorito la crescita di boschi e foreste, habitat ideale per cinghiali, caprioli e cervi.
Là dove l’uomo terrazzava per seminare grano e orzo o mettere piante da frutta, ora si trovano faggi, castagni, salici e arbusti d’ogni genere; e così alla selvaggina tipica delle nostre zone, lepri e starne in primis, sono venuti a sostituirsi gli ungulati, preda favorita per i grandi carnivori.
I magnifici scatti che corredano il pezzo sono stati realizzati in Alta Val Chisone (TO) da Batti Gai, e la dicono lunga sulle qualità di cacciatore del lupo.
Esistono però aree ove l’uomo è ancor molto presente, e si pensi alle nostre montagne ove ogni estate pastori e allevatori salgono agli alpeggi con pecore e vacche, e dove ancora si vive come un tempo, producendo latte, formaggi, o anche solo alimentando il bestiame che poi verrà ricondotto a valle in autunno.
E’ proprio in queste zone che la presenza del lupo sta creando problemi serissimi, tanto da provocare una vera e propria ribellione da parte margari, costretti a difendere il loro “patrimonio quattrozampe” dai continui attacchi del predatore; per farlo si ricorre all’utilizzo di recinti elettrificati e all’uso di cani da guardianìa, principalmente i robusti pastori maremmani-abruzzesi, bianchi come le pecore e che con queste vengono abituati a vivere sin da cuccioli.
In realtà questi cani creano di per sé problemi, risultando pericolosi per chiunque s’avvicini alle bestie, siano essi escursionisti, ciclisti o anche cacciatori, perché abituati a difendere la proprietà; ciò nonostante i lupi riescono ancora a predare moltissimi capi, talvolta uccidendo gli stessi cani.
Abbiamo tralasciato di raccontare quale sia stato l’impatto di Ezechiele sulle popolazioni selvatiche, perché in questo caso si sta assistendo a fenomeni davvero pericolosi, almeno per quanto riguarda il Piemonte, regione in cui vivo da sempre. Il muflone, come già scritto, è ormai vicino alla sparizione; altri come il capriolo, in alcune zone registrano fortissime difficoltà, mentre un numero crescente di predazioni si stanno rivolgendo a cervi, camosci e in alcuni casi persino gli stambecchi. Dalla sua dieta poi non manca mai il cinghiale, colpendo preferibilmente piccoli e giovani, ma talvolta anche grossi verri, con zanne che parevano sciabole, sono finiti sotto le sue fameliche fauci.
Un dato numerico per tutti: il numero di caprioli in alcune aree d’alta montagna è crollato, riducendosi d’un 80/90% in poco più di un decennio (Pragelato 386 capi censiti nel 2001 e poco più di 40 quest’anno).
A dire il vero la pressione esercitata dal lupo ha spinto gli ungulati più a valle e verso le pianure, in aree marginali ora abbandonate dai coltivi e riappropriate a boschi e foreste e che da secoli non vedevano più la presenza di quei selvatici.
Caprioli e cinghiali allora diventano un vero flagello, e qualcosa ne sanno gli agricoltori ormai sul piede di guerra per danni a campi e vigneti di pregio, creando uno squilibrio sul territorio.
Ma un altro grave rischio ambientale si profila all’orizzonte, sbandierato da pastori e margari che minacciano di non salire più per la monticazione se le autorità non affronteranno velocemente il problema lupo: abbandonare gli alpeggi, con la certezza che in quelle aree alla cotica erbosa, continuamente rinnovata dal pascolare delle bestie, vadano in breve tempo sostituendosi rododendri ed arbusti, con grave danno alle popolazioni pregiate di tipica fauna alpina e dello stesso dissesto idrogeologico, per la comprovata maggior capacità di trattenere l’acqua delle piogge di un terreno pascolato rispetto all’incolto.
Qui si apre una questione irrisolta: ma quanti sono questi lupi?
E poi: cosa fare?
Incredibilmente, nonostante lo si studi da oltre cinquant’anni, e siano stati spesi milioni di euro per i vari…progetti lupo, nessuno lo può dire con certezza!
Uno studio recente, presentato al IX Congresso Italiano di Teriologia a Civitella Alfedena (AQ) a maggio 2014, ne valutava il numero tra 1.600 e 1.900 esemplari, ma si tratta pur sempre di…stima e questo mentre gli svedesi ne hanno contati 400 e ritengono di dover abbassarne il loro numero a un massimo 270 su una superficie di circa 450 mila km², una volta e mezza l’Italia. Il bello il solo progetto “Life Wolfalps” pare abbia avuto un budget di 6 milioni d’euro, senza che vi sia la minima idea del loro numero!
Franco Zunino, di Wilderness, ha studiato il problema e stima siano molti di più, circa 4.500.
Un dato inoppugnabile però l’abbiamo, qui a Torino, ed è quello dei lupi recuperati morti nella sola provincia di torinese, dove da dicembre 2001 ad oggi il “Servizio Tutela Flora e Fauna” dell’attuale Città Metropolitana, ne ha contati ben 55; tutto però fa presumere possano essere molti di più, e questo perché nessuno immagina quanti animali siano stati uccisi da bocconi avvelenati, finiti in lacci o trappole, feriti mortalmente da qualche fucilata, investiti da auto o treni e lasciati sul posto o…nascosti!
Gli spagnoli recentemente ne hanno ripreso la caccia, nella zona delle Asturie dove si sa ne vivono tra 2.000 e 2.500 esemplari rendendo necessario “sfoltirne” il numero di almeno 200 unità;
Anche in Francia, che non ha firmato la convenzione di Berna, recentemente si è riaperta la caccia a fronte di un numero di attacchi al bestiame ritenuto insostenibile. Già anni fa si tentò di controllarne il numero, prevedendo l’abbattimento di 24 soggetti; ne furono uccisi solo 3, a testimonianza di come il problema sia di difficile gestione.
Un recentissimo articolo apparso sul noto quotidiano parigino “Le Figaro” (15/04/15) riportava il numero delle predazioni francesi: 9.033 in tutto il 2014 e ben 458 nel primo trimestre dell’anno nella sola zona Alpi Marittime; numero destinato a crescere inesorabilmente con l’arrivo dell’estate.
Anche in Svizzera è scattato l’allarme, ed ora si pensa d’introdurre nuove norme. Da loro il predatore viene vissuto in maniera molto pragmatica: non mi crei problemi ti proteggo, mi fai danni ti elimino!
Infatti al lupo viene concesso una sorta di bonus, una franchigia che consente di tollerarlo sino a…25 predazioni (da alcune parti si legge di 50); di questi giorni però, nel Canton Ticino, un lupo problematico sta accendendo il dibattito, correndo il rischio di lasciarci la pelle ben prima d’aver superato la sua…soglia di sopravvivenza.
In Italia la questione viene sollevata con forza principalmente da pastori e allevatori, ma si scontra con il muro di gomma da quell’ambientalismo salottiero e talvolta un po’ fanatico, sempre pronto a far carte false e scendere in campo a difesa d’ogni creatura vivente (o…quasi!), e a maggior ragione dell’antico nemico lupo, divenuto quasi un animale totemico! Mondo accademico e scienza cominciano ad avere qualche ripensamento, e più d’uno di questi ha messo in preventivo che in un futuro non lontano lo si possa cominciare a gestire o, se si preferisce, cacciare. I dubbi però restano, e sono tanti, perché di soldi lì attorno ne girano ancora parecchi, e il nostro lupo resta pur sempre argomento…tabù!
Articolo pubblicato su Weidmannsheil, scritto da Alessandro Bassignana con foto di Batti Gai.