Lupus in Fabula
- Scritto da Michele Bottazzi
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Un mio buon amico, uomo d’annata, è solito rammentare una certa espressione usata dal padre per fargli comprendere il modo più efficace per avvicinarsi alla verità raccontata: "C’è la campana di Tizio, quella di Caio e poi quella della Chiesa, quella che più assomiglia a quest’ultima sarà la meno falsa"!
Un tempo, quando ancora non c’erano TV, Radio e Giornali a farci scoprire i vizietti di troppi porporati, la gente umile credeva che l’imparzialità di Dio si esprimesse con la voce di coloro che lo stesso servivano e perciò, la metafora anzidetta va interpretata in siffatta maniera: Tizio tira acqua al suo mulino, Caio fa lo stesso con il proprio e La Chiesa sancisce il giusto.
Campana n° 1 – Articolo preso da Quotidiano.net – 03 Settembre 2012
Lupi, boom sull’Appennino: sono fra i 600 e i mille. "L’uomo? Lo evitano"
Nel Bolognese 148 esemplari
Il loro ululato a volte è cosi forte che sembra di averli a pochi metri. Ma loro, in realtà, di avvicinarsi alle case non ci pensano proprio. Andrea Bertolini della Polizia Provinciale di Bologna: "Sfatiamo il mito che il lupo attacchi l’uomo"
Poggio di Badi (Bologna), 3 settembre 2012 – Certe notti l’ululato è così forte che sembra di averli lì a pochi metri, dietro l’ultima curva del paese. In realtà loro, i lupi, di avvicinarsi alle case non ci pensano proprio. Da secoli sono così abituati a essere ammazzati a fucilate, avvelenati o bruciati mentre dormono nelle tane che appena nati hanno già una paura dannata dell’uomo.
E’ l’istinto, spiegano gli esperti. Quello stesso istinto di sopravvivenza che ha permesso tra gli anni Settanta e Ottanta a qualche lupo appenninico ("canis lupus italicus", li chiamano gli esperti) di rifugiarsi nelle zone più impervie dell’Abruzzo e delle Foreste Casentinesi, sfuggendo all’estinzione.
Poi la musica è cambiata. Merito della coscienza ambientalista o, forse, degli indennizzi concessi ai pastori le cui greggi venivano attaccate. Sta di fatto che da allora il più celebre predatore delle nostre montagne ha iniziato a riprodursi. E a spostarsi: dagli anni Novanta i lupi hanno iniziato a risalire la penisola lungo gli appennini, spartendosi il territorio. Difficile fare la stima di quanti ce ne siano in tutta Italia: gli studi più attendibili parlano di un numero compreso tra le 600 e le mille unità.
LA SITUAZIONE NEL BOLOGNESE – Più chiara la situazione nell’appennino bolognese, dove dal 1998 è attivo un monitoraggio della Polizia provinciale. «Tra il 2002 e il 2008 – spiega Andrea Bortolini, addetto del settore ambiente della Polizia provinciale – abbiamo verificato la presenza di 148 diversi esemplari di lupo, tutti nelle zone del Corno alle Scale e dei laghi di Suviana e Brasimone.
Grazie all’analisi delle feci siamo riusciti a ricostruire il dna degli animali, che ha escluso possano trattarsi di cani selvatici. Attualmente nella nostra zona i branchi censiti sono 14, ognuno con una media di sei esemplari». Insomma, nel solo appennino bolognese si aggirano tra i settanta e i novanta lupi, divisi in 14 "famiglie", ognuna delle quali ha a disposizione un territorio che oscilla tra i 70 e i 100 chilometri quadrati.
Avere il quadro aggiornato della loro presenza è impossibile: ogni branco si sposta continuamente, macinando centinaia di chilometri al mese. Tanto per fare un esempio, nel 2004 un lupo soprannominato "Ligabue" percorse con un radiocollare al collo oltre 1.200 chilometri, dall’appennino parmense alle alpi francesi e ritorno.
Insieme ai colleghi, Bortolini perlustra continuamente crinali, boschi, sentieri e strade forestali, soprattutto di notte o all’alba, alla ricerca di tracce dei lupi. Quando c’è la ragionevole certezza della presenza in zona di un branco, si tenta di capirne la composizione facendo risuonare nell’aria ululati registrati: a rispondere sono quasi sempre i cuccioli, per natura più curiosi rispetto agli adulti.
A quel punto vengono posizionate foto-trappole e video-trappole, in grado di testimoniare l’effettiva presenza del predatore. «Sfatiamo il mito – prosegue Bortolini – che il lupo attacchi l’uomo: questi animali evitano accuratamente la compagnia dell’uomo e infatti gli avvistamenti più comuni durano pochissimi secondi. Ogni branco è composto dalla "coppia alfa" (i capifamiglia), dalla cucciolata più recente (quella nata tra la fine di aprile e l’inizio di maggio di ogni anno) e da quella dell’anno precedente. I "figli" più grandicelli, invece, dopo un paio d’anni sentono l’istinto di andarsene via per creare un nuovo branco».
Reggio E.: lupi assaltano centro recupero
I lupi irrompono al Cras e sbranano daino e caprioli
Campana 2 – Articolo da Il Cacciatore.com
San Polo: assalto notturno al Centro recupero animali selvatici di Caverzana. Uccisi quattro ungulati che stavano riprendendosi grazie alle cure dei volontari
Lupo—luna SAN POLO – Assalto notturno dei lupi al Centro recupero animali selvatici Rifugio Matildico, a Caverzana. Un branco è riuscito a penetrare all’interno di un recinto facendo una strage tra gli ungulati convalescenti: tre caprioli e un daino sono stati sbranati, un quinto animale non si trova ed è difficile credere che sia riuscito a mettersi in salvo.
L’ASSALTO. «Queste cose ci demoralizzano e viene tanta rabbia: quelli erano animali che avevamo curato e guarito. Erano pronti per essere liberati e aspettavamo solo per la stagione, temendo qualche nevicata. Con l’inizio dell’anno li avremmo lasciati andare. E invece ora…». Ivano Chiapponi, fondatore del Cras, non nasconde l’amarezza per quanto accaduto nella notte tra domenica e lunedì. Il Centro di Caverzana è una sua creazione. Una piccola oasi a cui dedica ormai da più di un anno il suo tempo e la sua dedizione, con risultati importanti. «Ad accorgersi di tutto è stato uno dei volontari – racconta – Quando è venuto per dar da mangiare agli uccelli, come fa ogni giorno, ha trovato il disastro e mi ha avvertito».
I segni non lasciano dubbi: sono stati i lupi. Sono scesi ed entrati nel Centro dalla parte del rio, quindi fiutando la presenza delle possibili prede hanno scavato un passaggio sotto la rete di recinzione, dove erano rinchiusi gli ungulati. «Non li tenevamo più nei box piccoli, che sono più protetti, perché ormai stavano bene e così potevano mangiare liberamente» spiega Chiapponi.
I caprioli e i daini che arrivano al Cras sono, solitamente, vittime di incidenti stradali o di altri infortuni. Altre volte sono piccoli in difficoltà che vengono portati in salvo e che al Cras vengono allevati fino a che non diventano autonomi. «Tra gli animali uccisi c’era anche un daino, che avevamo recuperato qualche notte fa e che ormai si era ripreso – prosegue – In un primo momento pensavamo che fosse riuscito a fuggire, perché non lo avevamo trovato. Poi, invece, abbiamo rinvenuto i suoi resti sulla carraia vicino al laghetto».
Gli altri tre animali, invece, non hanno avuto possibilità di fuga: i lupi li hanno attaccati dentro al recinto e li hanno sbranati. «I caprioli vanno subito in panico in queste situazioni – spiega – la loro forza è la velocità e da liberi puntano su quella. Ma nel recinto, quando si sono visti addosso i lupi, avranno tentato di rompere i recinti buttandosi contro. La botta poi li avrà disorientati».
I LUPI. Secondo Chiapponi ad attaccare il Cras non può essere stato un solo animale. «E’ venuto il veterinario Ausl di Montecchio a fare un sopralluogo e anche per lui non ci sono dubbi che si sia trattato di canidi. E io sono convinto che si sia trattato almeno di quattro o cinque esemplari di lupi. Lo dimostra il fatto che i caprioli li hanno divorati completamente. Sul collo ci sono segni di ferite profonde causate dai morsi».
Ma la natura, si sa, è anche questa. E al Cras, nonostante la rabbia, bisogna rimboccarsi le maniche, riparare i danni fatti dai lupi alle recinzioni e prepararsi ad accogliere nuovi animali feriti. «Non bisogna affezionarsi, perché lo scopo del Cras stesso è un altro: quello di salvarli e riconsegnarli alla natura una volta guariti. Però un fatto come questo fa male al cuore», confida Chiapponi.
Campana 3 – Considerazioni
A partire dagli anni ’60 due principali fattori contribuirono al graduale recupero numerico e distributivo del capriolo. Le aree montane vennero progressivamente abbandonate (o comunque meno intensamente sfruttate da un punto di vista agricolo e zootecnico), con un nuovo incremento delle superfici boscate e degli ecotoni ed un conseguente miglioramento delle condizioni ambientali per gli Ungulati selvatici.
La pressione diretta da parte dell’uomo sulle popolazioni relitte cominciò a diminuire grazie all’introduzione di norme tese a vietare o regolamentare la caccia alla specie. In conseguenza di ciò iniziò un fenomeno di immigrazione in nuovi territori da parte di soggetti provenienti dai nuclei residui, spesso favorito, soprattutto negli ultimi decenni, da operazioni di reintroduzione operate in più settori geografici soprattutto dalle pubbliche amministrazioni.
Attorno al 1960 si stimava la presenza di 50.000 caprioli. A partire da questo periodo si assistette (perlomeno in alcune aree della penisola) ad un vero e proprio boom demografico, che portò le consistenze a valori prossimi ai 100.000 caprioli nel periodo 1975-80.
Dal 1990 le presenze si fecero cospicue anche in alcune porzioni dell’Italia centrale (180.000 capi complessivi). Perco e Calò (1994) stimavano per i primi anni ’90 una presenza di circa 240.000 capi.
Periodo
| Tasso di incremento
|
1960-75 1975-90 1990-94 1994-2000 |
5% 4% 10% 6% |
Attualmente risulta difficile stimare con precisione la consistenza globale della specie sul territorio nazionale, in relazione alla intrinseche difficoltà di censimento della specie, alla difformità delle tecniche di conteggio territoriale; essa dovrebbe comunque aggirarsi intorno ai 400.000 capi.
L’analisi delle informazioni relative ai censimenti realizzati nel periodo 1996-2000 fornisce una valutazione di consistenza pari a circa 340.000 caprioli. Tale stima deve essere considerata un valore di consistenza minima sicuramente presente in quanto i censimenti non vengono realizzati in tutto l’areale, ma di norma solo nelle aree in cui viene esercitata l’attività venatoria. Inoltre, ben note sono le difficoltà intrinseche delle stime quantitative delle popolazioni di capriolo, legate alle caratteristiche biologiche ed ecologiche della specie, che possono determinare sottostime dell’ordine del 50-100%.
La funzione di ogni lupo è organizzata all'interno di un branco, con una struttura sociale fortemente gerarchica.
Il branco è guidato da due individui che stanno alla punta della piramide sociale, il maschio alfa e la femmina alfa. La coppia alfa (di cui solo uno dei due componenti può essere il "capo") possiede più libertà rispetto al resto del branco, anche se i due non sono capi nel senso umano del termine: gli individui alfa non prendono ordini agli altri lupi; bensì, possiedono la libertà di scegliere cosa fare, quando farlo, dove andare, quando andare. Il resto del branco, che possiede un forte senso della collettività, solitamente li segue.
Anche se la maggior parte delle coppie alfa è monogama, ci possono essere alcune eccezioni: un individuo alfa può preferire l'accoppiamento con un lupo di importanza minore nella scala sociale, in particolare se possiede legami di parentela molto vicini con l'altro alfa (fratello o sorella, ad esempio). Si è osservato che se un esemplare Alfa muore, il compagno o la compagna spesso non forma una nuova coppia con un altro soggetto, ma rimane da solo a guidare il branco. Tuttavia a volte può succedere che il lupo o la lupa vedova prendano un nuovo compagno.
Solitamente, solo la coppia alfa è in grado di crescere una cucciolata (gli altri lupi del branco possono allevare, ma, di solito, non possiedono le risorse necessarie a portare i cuccioli alla maturità). Questo anche perché, generalmente, il maschio alfa si accoppia con la femmina alfa ed evita che gli altri maschi facciano la stessa cosa, mentre la femmina alfa evita che le altre femmine si accoppino con qualsiasi maschio del branco. Tutti i lupi del branco assistono la crescita dei cuccioli. I piccoli, quando diventano adulti, possono scegliere se rimanere all'interno del branco e aiutare ad allevare i nuovi nati, opzione di solito scelta da alcune femmine, oppure disperdersi, scelta presa in considerazione più che altro dai maschi.
La presenza del lupo in Italia ha toccato il suo punto più basso agli inizi degli anni '70. Una stima indicava che la popolazione si era ridotta a un centinaio di lupi, concentrati sui monti dell'Abruzzo e della Calabria. Grazie alle leggi di protezione, il numero dei lupi è lentamente cresciuto, e stime recenti lo calcolano in circa 800-1000 esemplari, distribuiti lungo tutto l’Appennino, dall'Aspromonte fino alle Alpi Marittime, con presenze anche sui preappennini laziali e nella Toscana centro-meridionale. A nord il lupo è tornato sulle Alpi Occidentali, sconfinando sui massicci alpini francesi e svizzeri.
Chiedo a voi, letto e considerato quanto sopra, pensate il proliferare così elevato del lupo sia da ritenersi normale espansionismo-colonizzazione o frutto di una bieca introduzione (come nel caso del capriolo e di altre specie come il cinghiale che, col passare del tempo, si è sempre più assimilato ai suoi parenti Pannonici)?
Se consideraste la prima ipotesi veritiera, saremmo d’innanzi ad una evoluzione incredibile, le nuove generazioni nascono già con il collare GPS integrato; dovranno stare allerta tutti coloro son muniti di apparecchio satellitare per il recupero degli ausiliari, potrebbero, una volta raggiunta la meta, imbattersi in un ben più pericoloso canide.
Pensate che, sempre ben tenendo presente la terza campana, essendo così tanti gli ululanti e, notoriamente maldisposti per gli intrusi, abbisognino dell’aiuto d’ altri provenienti dalle lontane terre fredde?
Se la risposta è negativa, il fatto inoppugnabile di trovare nel nostro territorio soggetti completamente differenti dal lupo Italiano, in quanto ad aspetto, vello, colore e morfologia, non lascia pensare ad immissioni?
Anche ad un orbo, parrebbe lapalissiano il legame tra l’aumento della popolazione dei lupi e quello dei caprioli (questi è stato ammesso siano stati lanciati) e perciò concludo ponendo una domanda a coloro che palpitano per tutte le specie del creato, cacciatore a parte, beninteso, e chiamano amorevolmente il capriolo "Bambi".
Chi, in base a cosa, della scelta vi dà il diritto, come stabilire che la vita del lupo ha più valore di quella del capriolo, perché concedere men dolore al patire della vittima che al perir del predatore?