L'Aquila, Regina dell'aria
- Scritto da Flavio Galizzi
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Quando si pensa all'aquila reale, non si può fare a meno di sentire, nei suoi confronti, un profondo senso di rispetto, a volte di paura.
Scorgere la sua sagoma che si staglia nei cieli delle nostre Orobie è tornato ad essere, dopo anni di silenzi, uno spettacolo possibile, addirittura frequente per quanti hanno la sensibilità di percepire queste presenze, così austere e così nobili, che popolano i nostri cieli.
Entrare in contatto con l'aquila non è facile, né a tutti possibile, per la sua estrema riservatezza nei confronti di qualsiasi altro essere vivente; una sorta di alterigia e di regalità che la tiene lontana e distaccata dal restante popolo delle Alpi.
La tradizione popolare le ha sempre assegnato una posizione ambigua: "regina" fintanto che dominava incontrastata sul suo regno, "nemica crudele" nel momento che entrava in contatto con l'uomo e i suoi beni, armenti o altro che fosse.
Anche la mitologia greca ci presenta l'aquila in una duplice veste.
Nella leggenda di Prometeo, il Titano che aveva aiutato Zeus a plasmare con l'argilla gli uomini e che, contro il volere del dio, rubò il fuoco dall'Olimpo per aiutarli a progredire, l'aquila è la crudele giustiziera divina, che per punizione ogni giorno lacerava le carni del Titano per mangiargli il fegato.
Nella leggenda di Icaro, le aquile, alle quali erano state rubate le penne per costruirsi ali posticce che gli permettessero di fuggire dal labirinto in cui Minosse l'aveva murato con Dedalo, rappresentano il sogno degli uomini, il massimo della libertà, della potenza e della grazia nel volo, un sogno irraggiungibile, che il giovane Icaro pagò con la morte, essendosi inebriato del volo maestoso negato agli uomini.
Al di là delle immagini che il tempo ci ha tramandato nelle leggende, il mondo dell'aquila è un mondo di affetti e di drammi, come per ogni essere vivente; un mondo forse più solitario e difficile, ma non certo crudele come spesso è dipinto, poiché essa non soffre per niente di quegli eccessi sanguinari che solamente i mammiferi, gli esseri "più evoluti" del pianeta, sanno raggiungere, e limita la caccia al solo scopo di procacciare il cibo necessario, per sé e per la prole.
E' certo che il ritorno dell'aquila è un segnale altamente positivo della buona salute del territorio alpino, ed è certamente merito anche dei valligiani se le cose stanno andando in questo verso.
Merito della gente di montagna che sa convivere con il suo ambiente, spesso difficile, e con questo rapace, rispettandolo.
L'unico disturbo, per le coppie nidificanti, è costituito dalla presenza dell'uomo, o almeno di quei moderni Tartarin di Tarascona che, armati di tutto punto di costosissime attrezzature e di poche e sempre confuse conoscenze, si improvvisano cacciatori di "immagini proibite", da mostrare trionfanti agli amici.
Consiglierei di lasciare ai montanari la montagna da esplorare, e agli ospiti la montagna da conoscere e da godere, accettando certi limiti con la necessaria umiltà.
Si parlava prima di riservatezza dell'aquila, ed è certamente vero.
L'avvicinarsi al nido, nel periodo primaverile, può rappresentare un grosso rischio per la coppia, che non accetta per nessun motivo intrusioni nel suo territorio di nidificazione, pena l'abbandono anche durante la cova.
Resta un invito esplicito, quindi, quello di conoscere le zone che esse frequentano durante la primavera, proprio per starsene lontani; solo così, rispettando certe ferree regole, potremo continuare a godere della sua preziosa e incomparabile presenza.
La vita delle aquile, data la loro posizione apicale nella piramide delle relazioni tra gli esseri viventi, è in un equilibrio estremamente delicato, e ciò è dovuto proprio alla storia della loro evoluzione.
Predatori, dal punto di vista evolutivo, non si nasce, ma si diventa, e da quel momento le condizioni delle specie interessate a questa nicchia ecologica mutano, in quanto mutano i rapporti che le legano ai consumatori primari, nei confronti dei quali si vengono a trovare in posizione di dipendenza, inoltre l'assenza del pericolo predatorio e la conseguente diminuzione del rischio vitale, riduce, col tempo, anche la spinta riproduttiva.
E' quest'ultimo aspetto il più inquietante: l'aquila, al vertice della catena alimentare, si riproduce una sola volta all'anno, depone in media due sole uova, e generalmente solo uno dei piccoli riesce a completare il suo sviluppo e a conquistare il dominio dei cieli.
Se a ciò si aggiunge il fatto che la maturità sessuale viene raggiunta verso il 4°-5° anno di vita, si può comprendere come all'aspetto di potenza e di forza che sprigiona, si associ, per contrasto, una certa fragilità del suo sistema biologico.
Nel programmare futuri rapporti uomo-ambiente va certamente tenuto in doverosa considerazione anche questo aspetto.
I territori alpini offrono comunque all'aquila notevoli opportunità per uno stabile insediamento, anche per svariate coppie.
E ciò è reso possibile sia per l'abbondanza delle marmotte, sue principali prede, che popolano gran parte degli alti pascoli montani, sia per le caratteristiche geografiche del territorio, che offre numerosissime località rocciose a strapiombo sulle vallate, ideali per la nidificazione.
Le aquile scelgono infatti, per costruire il loro nido, anfratti e cenge rocciose del tutto inaccessibili, collocate di preferenza ad una altitudine inferiore della fascia a pascolo, territorio ideale ed esclusivo di caccia, che permette loro, con un minimo dispendio di energie, di portare al nido anche prede di considerevole peso.
Questi grandi predatori formano coppie stabili, che coprono vasti areali e dispongono generalmente di più nidi, così da poter scegliere, secondo le annate, le migliori collocazioni.
I nidi vengono costruiti con ramoscelli, raccolti o strappati con il potente becco dagli alberi o dagli arbusti, e di anno in anno crescono di dimensione.
La cova e le cure parentali sono la principale occupazione della femmina per tutto il periodo primaverile, dalla deposizione delle uova, che avviene verso marzo o i primi di aprile, all'incubazione, che dura circa sei settimane e mezza, fino al completo svezzamento, lasciando quasi esclusivamente al maschio l'incombenza della caccia.
I piccoli, che quando nascono sono ricoperti di un fitto piumino candido, arrivano a completare il loro sviluppo dopo circa 80 giorni, momento in cui lasciano il nido per i primi voli, restando però dipendenti dai genitori per altri 2 o 3 mesi. Essi si staccano definitivamente dai genitori verso la fine dell'inverno, quando gli adulti si apprestano ai preparativi per una nuova nidiata e non sopportano più la loro presenza.
Durante le parate nuziali le aquile si esibiscono in stupende evoluzioni, durante le quali si assiste a finte picchiate dei maschi in direzione delle femmine, che a loro volta ruotano improvvisamente sul ventre e toccano, senza afferrarle, le zampe del partner.
Se pensiamo alla maestosità di questo rapace, agli spazi immensi e ai profondi silenzi che regnano sulle nostre Alpi, non possiamo che restare affascinati e rapiti dalle sensazioni che la regina dei cieli riesce a trasmetterci, ed è profondamente penoso e indegno vederla prigioniera, come a volte purtroppo accade, dentro una voliera, pur dimensionata che sia.
Del tutto particolare è invece il rapporto che si è instaurato tra l'aquila e certe popolazioni nomadi delle regioni asiatiche centro-orientali, per le quali rappresenta da sempre un insostituibile ausilio nella caccia, e le steppe infinite, fredde e desolate di quelle regioni sono il suo regno incontrastato, dove è in grado di catturare anche prede di grosse dimensioni, come volpi e lupi.
Non perdiamo l'occasione, durante le gite estive sui nostri monti o le uscite di caccia, di guardare spesso il cielo sopra di noi, e ci capiterà sicuramente di scorgerla veleggiare, mentre sfrutta le correnti termiche ascensionali, o quando, con un lento ma potente battito d'ala, guadagna con sicurezza i cieli lanciandosi da un provvisorio posatoio. Non potremo evitare un tuffo di emozione.
GALIZZI FLAVIO
SCHEDA ZOOLOGICA
AQUILA REALE
Nome scientifico: Aquila chrysaëtos
Dati biometrici
Lunghezza: 80/95 cm.
Apertura alare: 190/220 cm.
Peso: 3000-6500 g.
La sagoma è compatta e il colore del piumaggio, pur variando tra i soggetti, è generalmente uniforme e marrone nei soggetti adulti. Il becco è nero con cera gialla. I tarsi sono ricoperti di piume fino alle dita.
La femmina, come per gli altri rapaci, ha dimensioni decisamente superiori a quelle del maschio. I giovani hanno il piumaggio più scuro e visibili macchie bianche sotto le ali e sulla coda.
Laddove sono numerose si nutre prevalentemente di marmotte, ma caccia anche lepri, uccelli di taglia medio-grossa ed eccezionalmente piccoli di ungulati.
La sua vista è almeno 10 volte superiore alla nostra, e una volta individuata la possibile preda, questa viene attaccata con un volo radente, di sorpresa, cercando di non farsi scorgere dalla vittima approfittando degli ostacoli naturali del terreno.
L'artiglio del pollice, che arriva a misurare fino a 6-8 cm., è per l'aquila un'arma infallibile.