Il ghiro
- Scritto da Luca Bettosini e Ely Riva
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Il Ghiro: un grazioso dormiglione dei nostri boschi.
Testo e foto di Luca Bettosini e Ely Riva di " vivere la montagna"
Una caratteristica che viene subito in mente riguardo a questo animaletto, grazie anche al suo nome, è il sonno. L’espressione "dormire come un Ghiro" è conosciuta da tutti ed, infatti, il Ghiro quando entra in letargo può dormire fino a sette mesi.
Uno dei piú graziosi roditori presenti in Ticino è senz’altro il Ghiro (Glis glis). Nell’estate del 2012, per la prima volta, sono arrivati i ghiri nel mio giardino che è situato accanto ad un grande bosco. Hanno preso dimora stabile nella voliera causando gravi danni agli alberi da frutta e alla vigna. Cosí mi sono dato alla cattura e in pochi giorni sono riuscito a prenderne tre. Prima di liberarli in un altro bosco, con Ely Riva ho fatto un servizio fotografico a questo simpatico animale difficilissimo da fotografare a causa delle sue abitudini notturne. La foto della copertina mostra uno dei tre, fotografato su una Robinia.
Nelle cascine di montagna e anche in diverse capanne e rifugi del Ticino non è difficile individuare la sua presenza, mentre durante la notte scorrazza nei solai e sottotetti! Il Ghiro appartiene alla famiglia dei Gliridi che a sua volta comprende circa 30 specie e 10 generi suddivisi in tre sottofamiglie. I ghiri hanno una notevole somiglianza con gli scoiattoli. Si tratta però di una somiglianza apparente, perché ghiri e scoiattoli non solo formano due famiglie distinte, ma fanno anche parte di gruppi diversi: Sciuromorfi e Mioforfi. I Gliridi sono diffusi prevalentemente in Europa e, in minor misura, in Africa e Asia. Sono una famiglia di roditori di piccola taglia con una folta coda, lunga quasi quanto il corpo, ed una fitta pelliccia. Una caratteristica tipica di questo animaletto è il lungo letargo, che dura fino a sette mesi, da novembre all'inizio di maggio. Da ciò nasce l’espressione "dormire come un Ghiro". Se cercate in Google "Filmato Ghiro che russa" troverete una graziosa ripresa di un Ghiro che sta russando pacificamente nelle mani di una persona. Il filmato è stato realizzato da Dave Williams, responsabile del Surrey Wildlife Trust Mammal Project per raccogliere fondi destinati ad aiutare i ghiri ed altri animali in via d'estinzione. Il Ghiro è diffuso in tutta Europa specialmente in ambienti boschivi e a quote tra i 600 e i 1’500 metri di altitudine. Il suo habitat ideale è quello con boschi di querce, lecci, castagni e frassini misti a pini, dove un’abbondante fruttificazione si accompagna ad un’ampia disponibilità di cavità naturali nei tronchi di vecchie piante. Durante l’estate, infatti, il Ghiro può costruirsi direttamente fra i rami degli alberi un nido globoso fatto di fronde e di stecchi, oppure riutilizzare quelli abbandonati da alcuni uccelli. Tuttavia, dove è possibile, preferisce sistemarsi nelle cavità dei tronchi, soprattutto in quelle rese accessibili dai buchi dei picchi. Le femmine prediligono queste cavità per partorire. Durante la bella stagione questi rifugi possono essere occupati simultaneamente da piú individui che vi trascorrono inattivi le ore di luce. La maggior parte dei ghiri sceglie però piú spesso come rifugio una cavità fra il groviglio delle radici di vecchie piante, dove piú individui possono raccogliersi stretti gli uni agli altri. Il Ghiro è un animale crepuscolare e notturno; lascia il suo nido poco dopo il tramonto e vi fa ritorno prima dell’alba. Molto spesso lo si trova anche in solai, intercapedini e cavità di muri, tetti di case e cascine confinanti con boschi dove si può rintanare durante il suo letargo invernale. Quando non trovano rifugi naturali, due o talvolta anche tre femmine condividono lo stesso nido per partorire e allevare insieme i piccoli. Si è pure visto che le femmine allattanti, se disturbate da qualcosa, sono in grado di trasferire rapidamente, nottetempo, i loro piccoli trasportandoli con la bocca in un luogo piú sicuro. Il periodo riproduttivo si situa in primavera, al risveglio dal letargo. Le femmine partoriscono di regola una sola volta l’anno, da due a otto piccoli, dopo una gestazione di circa un mese. Lo svezzamento avviene dopo circa un mese e mezzo e la maturità sessuale è raggiunta a partire dai 10 mesi. Il Ghiro è un animaletto agilissimo, elegante nei movimenti, capace di scendere lungo i tronchi con la testa all’ingiú o di girare attorno ai rami disposti orizzontalmente; salta da una fronda all’altra con la stessa sicurezza degli scoiattoli. Spesso si siede e, tenendo la coda curvata verso il basso e verso il davanti, compie con le piccole zampe un’accurata pulizia del musetto baffuto. La dieta del ghiro varia durante l'arco dell'anno ed è costituita principalmente da castagne, ghiande, nocciole, bacche, frutti di bosco e tutta la frutta che può trovare nelle coltivazioni; in autunno mangia anche i funghi. Una minima parte dell'alimentazione del Ghiro comprende alcuni invertebrati (insetti e molluschi), uova e uccellini. In autunno l'animale aumenta notevolmente di peso, accumulando cosí una quantità di grasso che gli sarà essenziale per sopravvivere durante il lungo letargo invernale. In Ticino i suoi nemici piú accaniti sono la Martora, il Gufo e la Civetta.
Morfologia
Il Ghiro misura, dall’estremità del muso alla fine del tronco, circa 20 centimetri al massimo; la coda ne misura circa 13. Il suo peso varia tra gli 80 e i 150 grammi. La testa è piccola ed elegante, animata da occhi grandi e vivaci, con orecchie del tutto glabre. Possiede folte e lunghe vibrisse (lunghi peli a lato del muso con funzione tattile). La coda è molto ricca di peli, che però non formano un pennacchio appariscente come negli scoiattoli. Fatto curioso, se un Ghiro viene afferrato per la coda, parte di questa si stacca di colpo e di conseguenza l’animale può fuggire "scodati", ma salvo. La pelliccia è delicata, soffice e fitta; nella parte superiore del corpo ha una colorazione grigia o castana, che contrasta con il bianco delle parti inferiori. Un Ghiro vive circa tre anni, anche se in natura sono stati osservati ghiri di 10 anni di età.
Il Ghiro nella cucina del passato
Una follia culinaria
Di Ely Riva
Gli antichi autori latini, da Tito Livio (Ab urbe condita) a Plinio il Vecchio (23 – 79 d.C.) e a Svetonio, ci informano sulle abitudini dei Romani. La qualità di una nazione o di un popolo si vede anche dalle leggi che promuove. La storia dei Romani, a mio parere, si deve dividere in tre parti: la prima dalla fondazione di Roma avvenuta nel 753 a.C. fino alle Guerre Puniche (247 – 182 a.C.), la seconda da Scipione l’Africano (235 - 183 a.C.) fino all’ultimo dei Grandi Imperatori, Adriano (138 d.C.) e la terza fino alla fine dell’Impero Romano d’Occidente avvenuta nel 476 d.C. La cosa interessante è che nei primi secoli i Romani erano gran lottatori e lavoratori che, però, grazie alle loro conquiste diventarono ricchi, benestanti e inclini al lusso… E cosí nacquero leggi contro il troppo lusso, le cosiddette Leges Sumptuariae, per riportare i romani alla semplicità delle origini. Le prime leggi contro il lusso sono contenute nelle XII tavole della Legge di Numa (Lex Numae) che invitavano a ridurre lo sfarzo nelle cerimonie funebri! Ma la prima vera legge contro il lusso esagerato fu la Legge Oppia del 215 a.C. citata da Tito Livio nei primi quattro capoversi del XXXIV libro. La legge vietava il lusso esagerato e vistoso delle matrone romane e stabiliva che nessuna donna avesse in proprietà piú di mezza oncia d’oro; non portasse vesti di vario colore, non si facesse portare in giro per la città con il cocchio… Allora le donne in gran numero scesero in piazza per chiederne l’abrogazione. Fu la prima grande manifestazione femminile della storia! Seguirono tante altre leggi sul lusso. Anche Giulio Cesare emanò la Legge Giulia che limitava il lusso del convivio, lo sfarzo delle vesti e invitava i Romani alla semplicità e morigeratezza nei costumi… Ebbene una di queste leggi proibiva persino nei fastosi pranzi «ogni sorta di uccelli esotici, rognoni, testicoli, teste di porco e… ghiri!»
Il ghiro, una leccornia tutta romana
Oggi per noi sembra incredibile, ma una delle piú rinomate ghiottonerie romane consisteva nel ghiro farcito. Indagini archeologiche hanno dimostrato che l’utilizzazione dei ghiri in cucina era una pratica molto diffusa, soprattutto in età imperiale. I piccoli roditori erano allevati in campagna per il grande consumo che se ne faceva. I cosiddetti «gliraria» erano piccoli recinti circondati da muri lisci e intonacati per impedire la fuga dei piccoli animali. Erano cosí ricercati per cui non sorprende che nelle case c’erano contenitori di terracotta con dei fori per l’allevamento dei ghiri. In queste grosse giare, lungo la parete tonda vi era una specie di rampa con una sporgenza elicoidale a cerchi concentrici, larga una decina di centimetri, come una cornice, lungo la quale i ghiri potevano muoversi, correre e non sporcarsi con i loro escrementi. Nell’antichità la deperibilità delle derrate alimentari rappresentava un problema non da poco, soprattutto nelle città. Ai tempi dei Romani per la conservazione di carne, pesce, verdure, formaggi ma anche legumi si utilizzavano i cosiddetti «dolium» (dolia) che sono contenitori di terracotta. In alcuni musei italiani si trovano delle anfore definite «glirarium» dalla forma panciuta che invece sono delle particolari «giare» (dolium) citate anche da Plinio, «vivaria in doliis» ossia vivai nelle giare che servivano all’ingrassamento dei ghiri. E fino a poco tempo fa non si sapeva esattamente a cosa servissero queste giare con tanti fori.
Arbitro di eleganza
Esiste un testo latino, noto come Satyricon, attribuito ad un personaggio famoso presso la corte di Nerone: Tito Petronio Nigro detto Arbitro di eleganza (Arbiter elegantiae). L’opera è molto frammentaria. Ma una parte del racconto è arrivata intera, la famosa Cena di Trimalcione. La trama è assai complicata ma quello che ci interessa è l’antipasto: «Quando tutti erano a tavola, fu servito un antipasto di gran classe… Su un grande vassoio vi era un asinello in corinzio con tanto di bisaccia che aveva olive bianche in una tasca e nere nell’altra. Ricoprivano l’asinello due piatti d’argento sul cui bordo c’era scritto il nome di Trimalcione e il peso dell’argento. E sopra vi erano dei ponticelli che sostenevano ghiri cosparsi di miele e papavero» (Ponticuli etiam ferruminati sustinebant glires melle ac papavere sparsos). Ed erano soltanto all’antipasto…
Leonardo da Vinci
Alla fine dell’impero romano i ghiri avevano perso parecchio del loro apprezzamento. Ritornarono in voga durante il Rinascimento. Nel 2005 era apparso nelle librerie un libro intitolato «Note di cucina di Leonardo da Vinci» di Shelagh e Jonathan Routh. Sappiamo che il sommo Leonardo da Vinci (1452-1519) era stato maestro di banchetti dal 1482 al 1499 alla corte di Ludovico il Moro (1452-1508) che in Ticino conosciamo bene… Secondo questi autori sono attribuite a Leonardo diverse annotazioni contenute nel famoso Codice Romanov trovato in Russia nel 1865, ma di cui si sono perse da tanto tempo le tracce, ma che probabilmente è conservato all’Hermitage di San Pietroburgo. Shelagh e Jonathan Routh, attribuiscono a Leonardo questa ricetta. «Ghiro ripieno. Questo è un procedimento utilizzato fin dai tempi antichi: lo si riempiva con pepe, noci e germogli di cavolo, lo si cuciva e si copriva con miele e semi di papavero».
Cristoforo da Messisbugo
Messi detto Sbugo, nato a Ferrara sulla fine del Quattrocento, grazie al matrimonio con una nobildonna, Agnese di Giovanni Gioccoli, ebbe importanti incarichi alla Corte Estense di Ferrara. Ci ha lasciato «Libro novo nel qual s’insegna a far d’ogni sorta di vivande», pubblicato nel 1549. L’autore, dopo la premessa che non spenderà «tempo a descrivere minestre d’ortami e legume (…) che son cose da vile femminuccia», propone soprattutto piatti a quel tempo considerati d’alta cucina. Famose sono le sue Tomaselle grasse. Tra le carni scelte per le sue ricette si trova anche quella di ghiro.
Fonti:
"Enciclopedia Animali", di Giuseppe Scortecci, Edizioni Labor-Milano.
"Il mondo degli animali", Enciclopedia Rizzoli.
"Il regno animale, vol. 2 mammiferi", La Biblioteca di Repubblica-l’Espresso, De Agostini, 2009.
"Gli animali, grande enciclopedia illustrata", vol. mammiferi, Edizioni Edipen
http://it.wikipedia.org/wiki/Glis_glis
Era appena finita la seconda guerra mondiale ed erano gli anni della fame, gli anni della gente povera che durante la guerra si era arrangiava come poteva. Noi eravamo figli di contadini e mio padre faceva anche «l’umbrelatt», l’ombrellaio. Erano i tempi che gli ombrelli e i parapioggia in generale si aggiustavano ancora. Abitavo dove ero nato, Al Guasto di Montagnola, che a quel tempo erano quattro case e tanti campi, boschi e prati… E noi si viveva di quello che la natura dava con generosità! Il bosco ci dava funghi, castagne, more, nocciole e anche carne di animali che si cacciavano con le trappole. Era il 1956 e frequentavo l’Istituto Elvetico e come direttore c’era ancora don Colombo che affettuosamente chiamavamo «panson» perché alquanto rotondetto. A quel tempo c’era l’abitudine per il prof di italiano di far svolgere in classe un componimento mentre lui correggeva altri compiti. E quell’autunno del 1956 il tema era: «Una giornata che non dimentico piú». Alla fine di ogni anno i quaderni erano rilegati per essere conservati… Tra i tanti che mi hanno ricordato i bei giorni dell’infanzia ho trovato anche questo racconto. Ho cambiato solo alcune parole che erano scritte in dialetto…
Una giornata che non dimentico piú.
Svolgimento
Dormivo nella stanzetta sopra la cucina, quella che dava sulla strada. Una scala a chiocciola di legno tutta chiusa ai lati ci portava su al piano di sopra dove c'erano tutte le stanzette rivolte verso il San Salvatore, a sud, e un gabinetto... A monte c’era invece uno stanzone aperto e arieggiato che si utilizzava per conservare il carlone, la frutta, l’uva passa… Sopra c’era il grande solaio. Io dormivo con Leandro in un solo lettone. Anche da piccolo ho sempre avuto un sonno leggero. E una notte sopra il soffitto, nel solaio (spazzacà) c'era qualcuno che faceva un rumore strano a intermittenza che si trasformava alle volte in vero baccano! Mi sono coperto la testa con le coperte ma continuavo a sentire quegli strani passi. Dopo un po' ho svegliato anche Leandro. Abbiamo confabulato sottovoce e poi ci siamo alzati piano piano per non farci sentire, e siamo andati a bussare alla stanza di papà che è venuto subito. Si è seduto sul letto in ascolto... ed ecco il rumore! "Giir!" ha detto immediatamente. Ghiri che stanno preparando il letto per passare l'inverno. "Sono in piena attività di notte, ma domani li prendiamo e ce li mangiamo". E infatti il giorno dopo li ho visti, erano cinque ma già spellati e immersi nell'acqua corrente per far perdere l'odore di selvatico e fare diventare tenera la carne. Papà ha detto che i ghiri in questo periodo sono cicciottelli perché stanno per andare in letargo e sono ottimi da mangiare con la polenta! Durante il giorno aveva montato una decina di trappole formate da una pietra piatta tenuta su da tre legnetti a forma di quattro e le aveva piazzate nel bosco sopra il lavatoio ai piedi di alcune ceppaie (scepàa: dove le piante fanno un groviglio di radici e lasciano tanti buchi per gli animali) di castagni, noccioli e querce... Quella sera poi, appena s'è fatto buio, papà con mio fratello Mario e i figli dello zio Pierin, Pino e Pasquale, sono partiti a caccia di "giir" nel bosco "Sora i cà". Cercavano le piante dove c'erano buchi e ceppaie vecchie e ricche di radici aggrovigliate. Avevano un sistema tutto particolare per cacciare i ghiri. Con un soffietto (piccolo mantice) aspiravano il fumo ricco di zolfo emanato da un sasso giallo... che bruciava in un pentolino producendo una fiamma blu. Mentre veniva spremuto il contenuto del soffietto in un buco, altri erano pronti con sacchetti di juta a catturare i ghiri che non sopportano quel tipo di fumo e fuggono e schizzano fuori a tutta velocità dappertutto... E bisogna essere pronti e svelti a schiacciarli sotto i sacchi, colpirli con un bastone o metterli nei sacchetti e sbatterli contro un albero per ucciderli immediatamente... Papà era abile a cacciarli da solo. In una ceppaia tappava i buchi che riteneva abitati con vecchie calze di lana e poi soffiava il fumo acre nel buco principale... Il ghiro usciva a tutta birra e finiva in fondo alla calza... senza possibilità di fuga o ritorno per le unghiette che si impigliavano nella lana. Il ghiro doveva subito essere ucciso perché altrimenti in men che non si dica avrebbe forato con suoi dentini la calza in cerca della libertà. La calza era sbattuta contro la pianta fin quando il ghiro non dava piú segni di vita... E poi appena a casa, ancora caldi erano spellati e messi nell’acqua corrente per il resto della notte. E la domenica, giorno di festa, li abbiamo mangiati con la polenta.